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La libertà è una crepa imprevista

di ISABELLA CONSOLATI

Pubblicata su «Il Manifesto» del 7 gennaio 2021

«Ho aperto davanti a voi una porta che nessuno può chiudere»: il versetto dell’Apocalisse che introduce il primo volume di Eleonora Cappuccilli La critica imprevista. Politica, teologia e patriarcato in Mary Astell (Macerata, Eum, pp. 263, euro 16) evoca la crepa nell’ordine costituzionale aperta dall’irruzione delle donne nella sfera pubblica durante la Rivoluzione inglese. Nonostante il pensiero politico moderno che lì prende forma si adoperi per farlo, quella crepa non può essere cancellata e l’opera di Mary Astell (1666-1731) ne è testimonianza. Questa filosofa inglese «in corpo di donna» è stata per lo più considerata un’eccezionale anticipatrice di un femminismo successivo.

Cappuccilli invece la restituisce alla sua radicalità che è tale non in quanto prefigurazione, ma perché esprime la tensione prodotta dalla presenza imprevista e impensabile delle donne sull’intero impianto del pensiero politico occidentale, dal costituzionalismo al patriarcalismo antico e moderno, dalla teologia politica alla storia costituzionale. Questo disordine si fa strada sorprendentemente considerato che Astell osteggia la rivoluzione, sostiene l’ordine costituzionale infranto e la legittimazione trascendente del potere dinastico. Astell è questo, ma è anche colei che ripensa i termini dell’ordine costituzionale a partire dall’uguaglianza di donne e uomini di fronte a Dio e dunque dalla critica alla subordinazione di metà del genere umano al dominio maschile. Come convivono queste due facce? Questa domanda attraversa il libro di Cappuccilli che riesce a tenere aperta la contraddizione e, mentre ci dimostra che la prospettiva femminista trasforma la storia costituzionale in storia di conflitti materiali e sul significato dei concetti fondamentali, ci costringe ad abbandonare l’idea che sia possibile trovare un porto sicuro in una presunta essenza femminile al di fuori della storia e dei suoi conflitti.

Astell, dunque, coniuga la difesa dell’ordine che la rivoluzione ha messo a soqquadro e la polemica serrata contro il nuovo ordine costituzionale che si sta configurando anche attraverso la rivoluzione. E lo fa attraverso un riferimento a Dio come unico depositario dell’autorità capace di togliere legittimazione alle autorità sociali che producono la subordinazione delle donne. La filosofa inglese mostra così che la cesura che segna la soglia della modernità è il luogo di una contemporanea saldatura tra il patriarcalismo antico e il contratto socio-sessuale al centro del patriarcalismo moderno.

Cappuccilli mostra come, sotto la sferzante critica di Astell, tanto il patriarca tradizionale quanto l’individuo possessivo di John Locke appaiono come due formulazioni di un dominio maschile che vuole mantenere salda la sua presa. L’intento lockeano, con cui Astell polemizza accesamente, di giustificare razionalmente la subordinazione delle donne nella famiglia non tiene di fronte alla pretesa astelliana che la razionalità sia attributo di ogni creatura di Dio, il caposaldo di quella che Cappuccilli definisce la sua «teologia politica anti-patriarcale». Il rapporto individuale con Dio rompe la catena d’autorità che lega Dio al sovrano e al padre, ma mostra anche che l’uguaglianza naturale degli individui alla base del contrattualismo moderno cela in realtà il predominio maschile.

Facendo leva sulle storie notevoli di altre donne che prima di lei hanno parlato, Astell individua l’intreccio di fattori normativi – il diritto, la religione, il costume – che sanciscono e riproducono la minorità giuridica, intellettuale e materiale delle donne, primo fra tutti il matrimonio. Pur non propugnando la disobbedienza all’autorità maschile, nelle sue opere Astell pensa quali siano le condizioni per praticare l’uguaglianza. Per riuscirci bisogna sospendere la sottomissione facendo leva sul «privilegio cognitivo» che le donne hanno rispetto agli uomini, ovvero la «libertà dalle opinioni ricevute e la capacità di rifiutare il costume». L’autonomia delle donne si costruisce attraverso il perfezionamento dell’intelletto e della morale. Per Astell ciò non significa ritirarsi in una sfera protetta dall’autorità maschile, ma prepararsi, affinarsi e disciplinarsi per la vita in un mondo di uguali.

Sulle tracce delle donne notevoli dalle quali Astell trae ispirazione, Cappuccilli si rivolge nel suo secondo libro La strega di Dio. Profezia politica, storia e riforma in Caterina da Racconigi (Aracne, pp. 160, euro 12) all’esperienza profetica di Caterina da Racconigi (1486-1547), terziaria domenicana, figura di spicco del Rinascimento piemontese, consigliera di corte dei Signori di Savoia e «musa» di Gianfrancesco Pico della Mirandola. L’autrice si confronta così con un altro momento cardine della genesi della modernità e riattiva il dispositivo interpretativo adoperato su Astell, mostrando le spinte di rinnovamento che, già prima della Riforma, sono veicolate dalla presa di parola femminile.

La vicenda alterna di Caterina tra eresia e ortodossia, tra stregoneria e devozione, riflette la tensione interna al fermento rinascimentale in cui la profezia diventa tanto momento di potenziale sovversione quanto strumento di legittimazione del potere politico e della gerarchia ecclesiastica. Entrambi questi momenti sono in ogni caso intensificati dal fatto che Dio parli per bocca di una donna. Caterina inoltre non è isolata, ma è parte di quella che Cappuccilli definisce una «soggettività corale» insieme alle altre carismatiche domenicane che manifestano come lei l’esigenza di praticare la parola di Dio in prima persona, contro il monopolio maschile della vita religiosa.

L’apertura sul futuro che la profezia comporta è prima di tutto invito all’azione, non ultimo perché pronunciata da una donna la cui autorità non è prevista dal mondo del suo tempo. Paradossalmente il carisma profetico di Caterina diventa vettore di un disincantamento del mondo di natura peculiare, perché, denunciando la rovina morale della Chiesa, riesce a porre una domanda sulle forme e le sedi del potere e contestare con ciò la sua configurazione patriarcale. Per farlo Caterina e le altre carismatiche si rendono umilmente veicolo della parola divina, ma rivendicano un margine individuale di interpretazione, che costituisce la fessura attraverso cui si fa inesorabilmente strada la soggettività femminile.

Nello stesso momento in cui la riarticolazione conciliare della pietà cristiana prova a recludere le donne nei conventi e a confinarle nelle case, la pratica profetica viene messa al servizio di quel mutamento delle forme dell’obbligazione politica che si ha con l’emergere della politica moderna, in cui l’apertura sul futuro diventa la base per dare corpo a un esercizio continuativo e costante del potere. Ancora una volta, dentro un’altra frattura e attraverso la voce di un’altra donna, Cappuccilli mostra che la differenza sessuale non si colloca fuori dal tempo, ma emerge materialmente alle prese con l’avventura del reale.

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