La polizia pensa di avere l’autorità
di uccidere una minoranza
Fuck tha police – Niggaz Wit Attitudes
Compton L.A. 1988
I sindaci di New York e di Los Angeles hanno annunciato tagli ai finanziamenti dei rispettivi Dipartimenti di polizia per destinare più risorse ai servizi sociali. A Minneapolis, dopo l’uccisione di George Floyd, nove membri su tredici del Consiglio Comunale hanno promesso che verrà smantellato il locale Dipartimento di polizia per adottare un diverso sistema di sicurezza più rispettoso dei diritti di tutti i cittadini. Il Partito Democratico ha presentato al Congresso una proposta di legge che limita l’uso della forza e della discrezionalità da parte della polizia nella gestione dell’ordine pubblico. Questi sono solo alcuni esempi degli effetti prodotti, a livello istituzionale, dal movimento sociale che sta attraversando centinaia di città degli Stati Uniti. Si tratta, com’è evidente, solo di annunci, promesse e proposte fatte per rispondere alle richieste di scelte radicali provenienti soprattutto dalle comunità afroamericane, ma non solo. I fatti e le concrete scelte politiche, come si sa, non è detto che siano conseguenti.
A sei mesi dalle elezioni presidenziali, del rinnovo dell’intera Camera dei Rappresentanti e di un terzo del Senato con in campo un movimento sociale di queste dimensioni e intensità, insieme all’invocazione del «chiunque ma non Trump», si moltiplicano promesse e impegni. La narrazione veicolata dai media mainstream, dall’establishment politico, dai leader di molte Ong, è più o meno questa: bisogna riformare la polizia per limitarne gli eccessi di violenza, rivedere le norme che garantiscono agli agenti una sorta di impunità assoluta e sciogliere le squadre e i reparti che hanno avuto comportamenti razzisti. Il razzismo della polizia è generalmente interpretato, a seconda dei casi, come un fattore esclusivamente culturale, una mancanza di una corretta formazione in servizio, una «malattia sociale» provocata dal suprematismo bianco. Sono tutti elementi presenti, ma che presi sia singolarmente sia insieme non colgono la reale natura del controllo e del disciplinamento sociale della polizia nei confronti della popolazione a basso reddito in particolar modo afroamericana e latina. Nel 1997 Bill Clinton, durante il suo secondo mandato, approva il Programma 1033 all’interno del National Defense Authorization Act. Il programma prevede il trasferimento di mezzi aerei, navali e di terra, armi, munizioni, sistemi logistici e attrezzature militari di vario tipo alle polizie delle città e delle contee. Bill Clinton, avendo ancora vivo il ricordo della rivolta a Los Angeles nel 1992 – scoppiata dopo l’assoluzione dei quattro agenti che avevano massacrato di botte l’afroamericano Rodney King e durante la quale erano intervenuti anche i marines – ha pensato che la soluzione per prevenire e sedare le rivolte non fosse far intervenire l’esercito, ma militarizzare la polizia. In pochi anni, vista anche l’ampia disponibilità di materiale bellico che proveniva dalle guerre in Afghanistan e in Iraq, la gran parte dei Dipartimenti di polizia è stata riorganizzata secondo criteri militari dal punto di vista gerarchico e operativo. Sono state istituite corsie preferenziali per assumere ex militari che avevano combattuto in Afghanistan e in Iraq. Le scuole di polizia che formano i nuovi agenti hanno progressivamente adottato modelli di addestramento militari.
La polizia – ma sarebbe più corretto dire le polizie, perché dipendono dalle amministrazioni municipali che hanno una certa autonomia nella definizione dei ruoli e dei compiti, così strutturate e organizzate, senza differenze di rilievo tra amministrazioni democratiche o repubblicane – sempre più funziona come una «macchina militare» anche nella gestione quotidiana dell’ordine pubblico e del controllo del territorio. Lo spazio urbano è equiparato a uno scenario di guerra a bassa intensità, in cui si ridefiniscono i confini reali e simbolici, senza graduare la forza usata, le modalità di intervento, le armi e i mezzi impiegati. La «macchina» funziona quasi allo stesso modo tanto in caso di contravvenzione per eccesso di velocità quanto per l’arresto di un serial killer armato. La messa in pratica, da parte della polizia, del «monopolio della forza legittima» raggiunge livelli a dir poco inquietanti quando si combina con un sistema di avanzamento delle carriere basato sul numero degli arresti effettuati, delle multe e delle sanzioni inflitte. In quest’ultimo caso, visti i deficit di bilancio di molte amministrazioni municipali, il recupero di denaro diventa uno dei principali obiettivi. E i quartieri a basso reddito abitati in gran parte da afroamericani e latini – dove per sopravvivere esistono modalità di commercio informale, non sempre si pagano i trasporti pubblici, si integra il reddito con qualche traffico più o meno legale – diventano dei veri e propri target, dei luoghi privilegiati per fare cassa. Con l’uso dei software predittivi e della profilazione razziale, che indicano giornalmente in quali zone della città c’è maggiore probabilità di reati a prescindere dalla loro natura e gravità, l’intervento massiccio e violento della polizia diventa una profezia che si autoavvera.
Affinché la militarizzazione della polizia si consolidi e si riproduca incessantemente c’è bisogno di un supporto che alimenti lo spirito di corpo, la fiducia nelle gerarchie e garantisca l’immunità. I sindacati di polizia, oltre ad essere diventati delle vere e proprie lobbies politiche, sono uno strumento importante di connessione con la governance politica, economica e istituzionale. I sindacati in quanto portatori di un interesse che ha un ruolo strategico nella riproduzione, che si vuole o vorrebbe disciplinata, di un sistema socio-economico hanno acquisito un potere di contrattazione che non è limitato ai salari, alle pensioni, alle condizioni di lavoro ma arriva a influenzare persino la Corte Suprema nella sistematica applicazione della «immunità qualificata». Un’immunità che protegge gli agenti di polizia dall’essere ritenuti personalmente responsabili delle azioni discrezionali eseguite nell’esercizio delle loro funzioni. Conta la «buona fede» dell’agente nel compiere una violazione di un diritto costituzionale e spetta alla vittima dimostrare che ha subito una violazione di un diritto garantito. Dal 2013 al 2019 la polizia ha ucciso quasi 8 mila persone in gran parte afroamericani e latini e solo lo 0,5% degli agenti di polizia è stato condannato per omicidio di primo grado o per omicidio colposo. Il tasso di sindacalizzazione delle forze di polizia è il più alto di tutte le categorie: in base a dati ufficiosi (quelli ufficiali non sono reperibili) raggiunge il 60%. E uno dei principali sindacati di polizia, l’International Union of Police Associations che ha più di 100 mila iscritti, è tuttora affiliato alla più grande federazione sindacale, l’Afl-Cio, nonostante le varie petizioni di questi anni per espellerlo. Militarizzazione, logistica e sistemi d’armi di guerra, governance territoriale, immunità qualificata, sindacati come clan costituiscono dei tasselli importanti di un sistema che si regge sul razzismo istituzionale. Un razzismo istituzionale che nelle sue manifestazioni violente mostra tutta la pericolosità e l’internità al sistema politico-economico di una struttura impersonale che sovradetermina anche i comportamenti dei singoli che ne fanno parte.
Nel 2015 dopo le rivolte di Ferguson e di Baltimora, Obama pressato dentro e fuori il Partito Democratico non è andato oltre uno dei suoi soliti interventi di facciata. Ha firmato un ordine esecutivo che vietava il trasferimento di carri armati, autoblindo e lanciagranate dall’esercito alle polizie lasciando invariato tutto il resto. Quell’ordine esecutivo è stato annullato da Trump nel 2017. Nel 2000, dopo ripetuti omicidi e violenze, è stato smantellato il commissariato di polizia di Compton, un quartiere di Los Angeles diventato famoso a livello mondiale per il brano dei N.W.A. Fuck tha Police. Dopo vent’anni la situazione non è cambiata. Nel 2012 è stato smantellato il Dipartimento di polizia di Camden nel New Jersey, con il medesimo risultato. Sono stati tutti interventi di cosmesi politica che non sono andati alla radice di un sistema che fa del razzismo istituzionale uno degli assi portanti. Sono questi i motivi che mostrano quanto siano risibili le discussioni e le proposte che arrivano dall’establishment democratico, anche di sinistra. Il movimento sociale di queste settimane nella sua estensione e radicalità ha aperto una finestra di possibilità per mettere in discussione il razzismo istituzionale della polizia attraverso la contestazione dell’intero sistema politico.