Intervista a RAFAELA PIMENTEL (Territorio Doméstico ‒ Madrid)
Pubblichiamo un’intervista a Rafaela Pimentel, lavoratrice domestica e attivista del collettivo di donne migranti Territorio Doméstico di Madrid. Mentre il governo spagnolo lavora a una versione preliminare di reddito di base universale e Pablo Iglesias si premura di chiedere intanto un reddito minimo, i sussidi che gli spagnoli stanno ricevendo sono tutt’altro che universali e anzi rinforzano le gerarchie di cui il capitale arrancante ha ora bisogno per riprodursi e di cui avrà massimamente bisogno per riprendere fiato quando la pandemia sarà finita. Se il primo pacchetto di sussidi previsti dal governo ha semplicemente ignorato il lavoro domestico –riconosciuto però come essenziale –, il secondo pacchetto, ottenuto grazie alle forti pressioni delle lavoratrici stesse, non ha voluto esagerare: sussidi alle badanti sì, ma non a quelle senza documenti o che non hanno contratti regolari. Il governo spagnolo, come molti altri in Europa e non solo, vorrebbe risparmiare sui costi della pandemia creando e rafforzando ulteriormente gerarchie tra le lavoratrici domestiche, per la stragrande maggioranza donne e migranti. Mentre molte lavoratrici domestiche si ritrovano adesso senza impiego e quindi senza entrate, molte altre sono bloccate nelle case dei datori di lavoro senza alcuna possibilità di allontanarsene. Eppure, queste donne stanno rompendo l’isolamento attraverso riunioni e assemblee virtuali, che le hanno portate a organizzare una presa di parola comune e a ottenere una risposta dal governo, che conferma però la sua indisponibilità a offrire soluzioni reali per tutte e a lungo termine. Come emerge chiaramente dalle parole di Rafaela, la lotta delle lavoratrici domestiche per essere riconosciute, per vedere valorizzato il loro lavoro, per porre fine alla sistematica attribuzione del lavoro di cura alle donne e per mettere non solo la vita, ma buone condizioni di vita davanti ai profitti, è una lotta che contesta la società e le gerarchie su cui si regge e che proprio per questo si riconosce nel processo dello sciopero femminista.
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∫connessioni precarie: In che modo il tuo lavoro è impattato dalla crisi prodotta dal Coronavirus?
Rafaela Pimintel: Io sono una lavoratrice domestica e faccio parte di un collettivo di lavoratrici domestiche a Madrid. Il mio lavoro è estremamente impattato da questa crisi. Quello che sta succedendo è che in questo momento le disuguaglianze e la situazione complessa di questo settore emergono ancora più chiaramente. Chi è più toccato dalle misure che il governo sta prendendo in Spagna siamo noi: i gruppi sociali più vulnerabili, le donne, le persone che non hanno accesso a nessun sussidio. Ora si vedono realmente le differenze sociali che già esistevano prima e pesano ancora di più i problemi a cui dovevamo già far fronte prima in quanto donne, in quanto persone che devono sempre farsi carico dei servizi, della cura, cioè in quanto impiegate nei lavori più vulnerabili, più svalorizzati e più precari.
Molte lavoratrici domestiche che alloggiano presso i datori di lavoro adesso sono dovute rimanere nei loro luoghi di lavoro per prendersi cura degli anziani e delle persone per cui lavorano, dovendo così rinunciare a stare con la propria famiglia, senza mai poter uscire a riposarsi. Ci sono famiglie che stanno pagando gli extra o i giorni di riposo, altre stanno pagando anche se non si sta lavorando e questo è il mio caso. A molte altre, soprattutto alle lavoratrici a ore, le hanno mandate a casa senza pagarle perché se i padroni non lavorano a loro volta non hanno soldi per pagarle. Chi è esclusa dal sistema di previdenza sociale non ha accesso ai sussidi concessi dal governo, quindi è davvero una situazione complicata.
Che effetti ha avuto la crisi pandemica sulle lotte che erano in corso in Spagna?
Prima della crisi il paese era attraversato da diverse lotte. Noi lavoratrici domestiche abbiamo iniziato a costruire un collettivo nel 2006, a organizzarci per formulare specifiche rivendicazioni come per esempio l’abrogazione della Ley de Extranjeria, e per la valorizzazione del nostro lavoro. Anche per noi non è stato facile dare valore a questo lavoro, ma ci siamo rese conto che è importante perché sostiene la vita della gente e permette ad altre persone di andare a lavorare fuori casa. Noi questo lavoro lo dobbiamo fare perché permette di far funzionare il mercato e tutto il sistema che sul nostro lavoro si regge. Abbiamo lottato come lavoratrici domestiche per questioni che ci riguardano in quanto donne. Abbiamo quindi preso parte alle lotte femministe, abbiamo lottato per l’aborto e la fine della violenza patriarcale, per dare centralità al lavoro di cura. Abbiamo preso parte alle lotte dei migranti e in particolare delle donne migranti. Gli ultimi due scioperi femministi sono stati molto importanti per noi lavoratrici domestiche perché lì abbiamo provato a stare tutte assieme e a intrecciare queste lotte di cui vi ho appena parlato, per avere condizioni di vita migliori, per non essere sfrattate, per avere affitti abbordabili, per una salute pubblica e universale come diritto collettivo e non individuale e differenziato. Siamo soprattutto noi donne ad affrontare le situazioni più complicate e per questo siamo state protagoniste di queste lotte. Ora la pandemia fa emergere tutto con più forza e queste lotte ora vengono a galla, la loro importanza è ancora più evidente.
Ci sono lavoratrici che in questo momento possono avere una visibilità inaspettata e che possono trovare in questa situazione delle aperture per possibili lotte future?
Ci sono figure specifiche, come le lavoratrici domestiche, le badanti, le colf, che in questo momento possono avere particolare visibilità. Da tantissimi anni stiamo portando avanti una lotta locale, nazionale e anche internazionale sul tema del lavoro domestico. In questo momento la cura è in crisi e il nostro lavoro ne è impattato. Noi non abbiamo diritti come tutti gli altri lavoratori nel nostro lavoro, quindi adesso la figura della lavoratrice domestica si sta vedendo perché noi siamo rimaste fuori dalle misure economiche prese dal governo e abbiamo dovuto organizzarci per esigere dallo Stato di non esserne escluse. Abbiamo fatto campagne, video, lettere, un manifesto firmato da tanti collettivi e associazioni per rendere evidente che le lavoratrici domestiche non venivano prese in considerazione. Solo allora ci sono stati garantite delle forme di sussidio, anche se sono molto limitate e ci saranno solo finché durerà la pandemia. È comunque un passo avanti perché noi non abbiamo mai avuto sussidi fino ad ora. È chiaramente insufficiente, ma è un primo passo per poter poi ottenere il diritto allo sciopero, perché noi non lo abbiamo. È doppiamente insufficiente questa misura anche perché non tutte ci rientrano: è rivolta solo alle lavoratrici domestiche che hanno i documenti e che sono inserite nel sistema di previdenza sociale. Quindi abbiamo fatto ancora comunicati e lettere al governo per dire che anche con questa nuova misura tantissime di noi restano fuori: quelle che non hanno documenti, quelle che pur avendoli non sono dentro al sistema di previdenza sociale perché non hanno un contratto. La particolarità del nostro lavoro è che è qualificato come essenziale, ma non come abbastanza essenziale da avere diritti. I comunicati, le campagne, le lettere e il manifesto che abbiamo scritto sono riusciti a darci visibilità e a mettere in luce come è organizzato il nostro lavoro, in quali condizioni lo stiamo facendo, e l’assenza del diritto di sciopero e a un contratto regolare (perché pur essendo in teoria obbligatorio la gente non ce lo fa).
Quali sono le vostre aspettative, le vostre rivendicazioni e progetti rispetto all’iniziativa politica che seguirà la fine della pandemia?
Noi vogliamo che questo lavoro, fatto per il 98% da donne e da donne migranti, sia riconosciuto, che abbia valore, ancor più perché il mondo e questa società hanno un debito storico con le donne che hanno svolto lavori di cura e continuano a svolgerli in condizioni davvero precarie. Saremo ancora più precarie in futuro perché la maggior parte di noi non avranno pensioni perché non abbiamo potuto versare contributi. Vogliamo avere il diritto di sciopero. Rivendichiamo questi diritti come lavoratrici domestiche, come donne, come migranti, come femministe perché crediamo che il lavoro che facciamo sia importante perché sostiene la vita e questa cosa deve essere rovesciata. Non è possibile che siano sempre le donne a dover svolgere questo tipo di lavoro. E non è possibile che si pensi solo alla riproduzione delle imprese e non alla vita della gente. Questo deve cambiare. Noi lotteremo perché la cura sia messa al centro, ma anche perché non siano le donne a doversene occupare, lotteremo perché l’accesso alle cure non dipenda da quanti soldi hai, lotteremo perché lo Stato e gli uomini si assumano la responsabilità della cura e perché essa smetta di essere a nostro carico. Queste rivendicazioni devono servire a sostenere la società in modo diverso alla fine della pandemia. La società non può essere sostenuta dal lavoro delle donne, dei gruppi più vulnerabili, dalle persone che hanno bisogno di lavorare e sono costrette a mettere a rischio la salute perché sennò non possono mangiare, perché sennò non possono sostenere sé stessi né la vita degli altri. Vogliamo che questa società cambi una volta per tutte. Non vogliamo più una società che considera la nostra vita tanto indegna da non garantirci l’accesso alla salute, all’educazione, alla casa. Bisogna capovolgere questa situazione. Questo virus ha colpito tutti: bianchi, neri, gialli, poveri, ricchi, ma ha colpito in maniera diversa. Ai ricchi va bene restare a casa, hanno i loro soldi, i loro letti comodi per sopravvivere, però il virus ha colpito in un altro modo noi che non abbiamo nulla. Per questo continueremo a lottare, perché se questa situazione si verificherà di nuovo non ci dovranno essere più persone che ne risentono così tanto come sta avvenendo ora a milioni di persone nel mondo. Stiamo pagando care le disuguaglianze in questo momento. In tutto il mondo le lavoratrici domestiche adesso stanno avendo questi problemi; adesso dobbiamo quindi lottare per mettere al centro la vita della gente. Noi stiamo provando a tenerci in contatto, facendo delle riunioni virtuali, a fare l’assemblea che di solito facciamo la seconda domenica del mese anche per spingere le lavoratrici che sono sempre chiuse nella casa dei loro padroni a prendersi del tempo libero. Proviamo a darci forza, a collaborare, proviamo anche ad aiutarci con casse comuni per far fronte alle nostre necessità. Le nostre avvocate continuano a seguire on line le lavoratrici per capire cosa fare se le hanno licenziate, è importante far sentire loro che non sono sole. Abbiamo anche cercato appoggio psicologico per dare sostegno, attraverso chiamate telefoniche, alle lavoratrici che sono dovute rimanere nei loro luoghi di lavoro e che non possono mai riposarsi e hanno magari assistito alla morte delle persone che accudivano. Noi continueremo a dare battaglia e fare pressione sul governo, anche rispetto agli affitti, agli sfratti, perché impediscano di tagliare la luce, l’acqua e il telefono se non si riesce a pagare l’affitto. Cercheremo di evitare soluzioni individuali e far fronte a tutto questo in maniera collettiva.