Dopo la pubblicazione di «Strike the Giant!», il giornale della Transnational Social Strike Platform, abbiamo intervistato A., ex-lavoratrice al magazzino Amazon di Passo Corese (Rieti), licenziata dopo due anni perché non in linea con la ‘figura amazoniana’ richiesta dall’azienda. L’intervista è stata fatta a febbraio, prima dell’esplosione della pandemia, e ne abbiamo ritardato la pubblicazione di fronte all’emergenza che ha travolto proprio i magazzini di Amazon, dove il lavoro non si è fermato, sono continuati gli assembramenti obbligati e lavoratori e lavoratrici hanno dato avvio a lotte impreviste per rivendicare la propria sicurezza. Pensiamo però che oggi, proprio di fronte a questa crisi, pubblicare quest’intervista sia estremamente importante, perché mostra come la durezza delle condizioni di lavoro a cui sono sottoposti le lavoratrici e i lavoratori di Amazon nell’emergenza sanitaria non sia altro che un’amplificazione delle loro condizioni di lavoro normali, che tuttavia in questa situazione mettono in pericolo le loro vite e quelle di tutti. In questa intervista, A. ci racconta cosa significhi lavorare nel magazzino di Amazon più robotizzato d’Italia, mostrando come le crisi del capitale pandemico si inseriscano lungo gerarchie dello sfruttamento che rappresentano la normalità del lavoro contemporaneo. A Passo Corese, i ritmi di lavoro vengono dettati da un algoritmo che stabilisce chi deve essere assunto a tempo indeterminato e chi deve andarsene, chi può restare e chi deve essere licenziato. La competizione tra lavoratori per il salario viene costantemente e normalmente incentivata a scapito della salute e della sicurezza, nonostante l’azienda cerchi di vendere, tra le altre cose, anche un’immagine di sé preoccupata del benessere dei propri dipendenti. È in primo luogo la solidarietà tra lavoratori che Amazon cerca di distruggere mettendoli uno contro l’altro. Tuttavia, proprio quando governo e imprenditori dichiarano «l’essenzialità» del settore logistico facendo della movimentazione delle merci una priorità rispetto alla vita di chi ci lavora, il rifiuto, l’organizzazione e la lotta transnazionale accelera e si intensifica. Ne è prova la rapida circolazione su scala mondiale della petizione scritta dai dipendenti del centro di distribuzione Amazon di New York. Lo dimostrano le proteste e gli scioperi degli scorsi giorni nei magazzini europei e statunitensi. Questi scioperi potevano forse sembrare improbabili, ma hanno prodotto la presa di parola di lavoratrici e lavoratori da tutto il mondo che in una dichiarazione comune chiedono ad Amazon la chiusura immediata dei magazzini a tutela della propria e della salute di tutti. Come dice A., la strada da percorrere adesso è quella di mettere in comunicazione più lavoratori possibile, perché «nessuno pensi di essere un caso isolato», e per riconoscere che solo insieme «we can Strike the Giant!»
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Ciao A., parlaci del tuo lavoro al magazzino Amazon di Passo Corese. Come sono stati finora i tuoi rapporti con l’azienda?
Io sono stata assunta all’apertura del magazzino, a settembre 2017, e all’inizio la situazione sembrava abbastanza tranquilla. All’inizio sembrava allettante come lavoro: un centro logistico, altamente robotizzato, non ti dà neanche l’idea di essere in fabbrica… In realtà è un vero e proprio lavoro di fabbrica con la catena di montaggio, dove devi svolgere lo stesso lavoro tutti i giorni. All’inizio c’era la prospettiva di una job rotation, cioè ogni lavoratore avrebbe dovuto cambiare mansione ogni 4 ore, cosa che invece non accade quasi mai, svolgi sempre la stessa mansione tutti i giorni. Diventa un lavoro usurante a tutti gli effetti. All’inizio mi trovavo bene, ero stata assunta con un’agenzia interinale con la prospettiva di essere poi assunta direttamente da Amazon, cosa che è successa dopo soli tre mesi. Ho fatto prima l’operatrice di magazzino, poi la specialista di processo. Avevo un computer e se le persone in catena di montaggio avevano qualche problema con i prodotti suonavano un campanello e io cercavo di risolvere i problemi. È una mansione che richiede un adeguamento di contratto, sei operaio non di sesto ma di quarto livello, ma non mi hanno mai cambiato il tipo di contratto. Quando ho fatto presente il problema mi hanno declassato alla catena di montaggio. Non riuscivo a mettermi in contatto con le risorse umane, ti fanno parlare solo con il tuo leader o il tuo manager, e a quel punto mi sono rivolta al sindacato. Erano molto sbalorditi quando mi hanno vista perché su 3.500 dipendenti sono stata la prima a essermi iscritta al sindacato!
Da quanto tempo era entrato il sindacato ad Amazon?
Per i primi due anni è stato praticamente inesistente. D’altra parte quando hanno provato ad entrare o a chiedere assemblee sono stati sempre respinti. Abbiamo scritto anche varie lettere per il mio problema e per i primi mesi non abbiamo ricevuto risposta. Solo quando abbiamo minacciato di agire per vie legali allora siamo riusciti ad avere un incontro con il general manager di Passo Corese. Da quando ho iniziato ad andare dal sindacato ho iniziato a subire mobbing: venivo allontanata dai miei compagni, mi veniva vietato di fare la pausa con loro, tutte cose che ho detto al sindacato che alla fine, però, ha potuto risolvere ben poco… perché non ci sono i numeri! Cosa possono fare con 100 iscritti? Piano piano sono aumentati, ma comunque un numero bassissimo, perché Amazon tende a risolvere i problemi all’interno, senza mai lasciar passare notizie all’esterno. Molti lavoratori hanno paura di parlare anche per questo, perché comunque nel contratto ci sono clausole per cui non puoi parlare dei processi e di quello che avviene all’interno. Io penso che comunque sia un diritto parlare delle problematiche… Stiamo cercando di parlare dei diritti dei lavoratori che sono di fatto inesistenti!
Come descriveresti le condizioni di lavoro nel magazzino?
Partiamo dal fatto che è tutto finto. Loro dicono “il lavoratore al primo posto” oppure “il benessere del lavoratore al primo posto” o “lavora duro ma sii felice” o “farai la storia”. Ti parlano spesso dell’importanza degli obiettivi del team o del magazzino: magari lavoriamo in un turno 190.000 unità e ci dicono che dovremmo essere contenti. Tendono molto a incitare a fare a gara tra le performance dei vari stabilimenti. I lavoratori sono divisi in squadre e li spingono molto a competere tra loro per dare sempre il massimo.
Ci sono dei briefing motivazionali prima di ogni turno vero?
I briefing si svolgono all’inizio del turno e quando ritorni dalla pausa. All’inizio di ogni turno ti dicono quante unità dovrai lavorare, gli obiettivi di ogni squadra. Poi si fa stretching, dell’attività fisica e, delle volte, il leader o il manager fa delle domande per vedere se hai capito il processo. Se fai degli errori il computer glielo segnala e viene la ‘school’ a dirti cosa hai sbagliato. Sei monitorato tutte le otto ore del turno. Non solo, se vai in bagno o se sbagli, sei sempre controllato. Sono briefing molto mirati, tendono a fomentare i lavoratori, a farti dire che la tua squadra è la migliore e che Amazon è il posto di lavoro migliore. Io ho avuto dei problemi con questa cosa, perché non mi sentivo di fare queste scenette, tipo applaudire il mio manager. Non mi è mai capitato in nessuna altra azienda, mi vergognavo… Anche per questo motivo, quando sono stata licenziata, mi hanno detto che non ero in linea con la ‘figura amazoniana’ che loro ricercavano.
Quali motivazioni ti hanno dato per il licenziamento?
Mi hanno detto che non ero il loro tipo ideale di operaio, sebbene avessi lavorato lì per due anni. Inoltre avevo una lettera di richiamo perché ero passata per il metal detector con un assorbente in tasca e sono stata accusata di averlo rubato dentro il magazzino quando non era ovviamente così.
Pensi che ci siano dei problemi specifici che devono affrontare le lavoratrici ad Amazon, per esempio per quanto riguarda ritmi di lavoro e condizioni contrattuali? Che tipo di esperienza hai avuto da questo punto di vista?
Più o meno sono tante quante gli uomini e svolgono le stesse mansioni. Amazon su permessi e congedi è molto attenta ma non sono che contentini. Io ho ricevuto da una persona di grado superiore proposte sessuali in cambio di un adeguamento del contratto che comunque mi spettava. Quando ho denunciato la cosa al mio manager mi ha detto che sarebbe stato meglio mettere a tacere la cosa, senza informare le risorse umane, per non rischiare ripercussioni. La cosa non sono riuscita a mandarla giù e ho denunciato comunque alle risorse umane anche il mio manager. Siccome sapevo che la stessa cosa era successa anche ad altre ragazze, ho cercato di indirizzarle tutte alle risorse umane e alla fine questo personaggio è stato licenziato.
Nei tuoi due anni in Amazon, quali sono le lamentele che più spesso sono state rivolte dai lavoratori?
La lamentela che ho sentito più volte riguardava la meritocrazia. Lavoratori assunti dall’agenzia interinale che facevano di tutto per essere assunti dall’azienda, non lasciando mai la postazione nemmeno per andare in bagno. Loro ti dicono che vieni assunto se hai un rate alto, se magari tu in un’ora lavori 1000 pezzi e gli altri 800 hai buone chance di essere assunto perché le assunzioni avvengono attraverso un programma del computer. Vieni assunto in base a quanto produci. Questo almeno è quello che ci hanno detto. Poi vedi persone che non fanno niente e ti rendi conto che comunque non c’è meritocrazia ma è il manager che decide in base a chi rompe le scatole e chi no.
In generale comunque tutto sembra studiato per incentivare la competizione e distruggere la solidarietà tra lavoratori…
Sì, questa è una realtà che è stata accettata. Passo Corese ha un tasso di disoccupazione altissimo e le persone, anche se si trovano male, scelgono comunque di restare ad Amazon e fare finta che vada tutto bene. Ci sono molti lavoratori di 50 anni con i figli che sanno che non li assumerà mai nessuna altra azienda.
A parte la vicinanza con Roma, pensi sia per questo motivo che hanno costruito proprio lì il magazzino? Come è stato accolto?
Sì, è proprio perché Passo Corese e tantissimi paesi limitrofi hanno un altissimo tasso di disoccupazione che lo hanno fatto lì. Hanno giocato d’astuzia.
C’è una componente di lavoratori migranti importante? Se sì, in che settori e a quali condizioni lavorative?
All’apertura del magazzino erano molto pochi, poi man mano che i giovani come me se ne andavano da Amazon, sono diventati sempre più numerosi perché sono gli unici che non possono fare altrimenti. Svolgono soprattutto funzioni di operatori di magazzino, oppure molte donne migranti nelle pulizie ma non ne trovi nessuno alla sicurezza, dove sono perlopiù ex addetti alla security dell’aeroporto di Fiumicino.
All’interno del magazzino i lavoratori sono inquadrati secondo diverse formule contrattuali: a chiamata, interinali, a tempo determinato… Pensi che questa differenziazione tra lavoratori abbia un peso sulle gerarchie interne al magazzino e sull’organizzazione dei lavoratori in generale?
Quelli assunti da Amazon hanno un cartellino azzurro, mentre quelli assunti dall’agenzia interinale hanno il cartellino verde. Quelli con il cartellino blu hanno oltre alla sicurezza del posto delle agevolazioni in più (abbonamento in palestra, sconti…), mentre quelli con il cartellino verde vengono di solito caricati di più lavoro. Tutti aspirano al cartellino blu, magari lavorano anche il doppio per cercare di arrivare al blu badge.
Qual è il rapporto numerico?
Quando sono entrata io erano molto pochi il lavoratori a tempo indeterminato, adesso penso siano comunque meno della metà. Sono molti pochi comunque quelli che riescono a passare dal determinato all’indeterminato perché c’è un ricambio altissimo. Questa in ogni caso è anche una conseguenza del ‘Decreto Dignità’: puoi lavorare 10 mesi e poi o ti assumono a tempo indeterminato o ti mandano via. È un lavoro in cui devi dare sempre il massimo e a loro conviene che ci siano sempre persone nuove. Loro lo vedono al computer il calo di rate di chi è stato assunto a tempo indeterminato. Questo pesa molto nei rapporti tra i lavoratori, è come se ci fosse del nonnismo da parte di chi ha il cartellino blu, e questo è tutto a vantaggio dell’azienda.
Amazon si vanta molto degli elevati standard di sicurezza nei suoi magazzini. È così?
No. Come in tanti altri ambiti c’è un abisso enorme tra quello che dicono e com’è realmente. Per sicurezza intendono che ogni movimento che fai deve essere fatto in un certo modo. Sei controllato continuamente dagli addetti alla safety che se ti vedono che non stai facendo il movimento smart come ti è stato detto di fare allora ti fanno un richiamo. Ovviamente è un modo per tutelarsi perché così se hai un infortunio sul lavoro ti dicono che la colpa è tua che non hai fatto il movimento smart. Il problema è che è impossibile stare al ritmo che ti impongono e allo stesso tempo eseguire i loro movimenti! Si dovrebbe lavorare con molta più calma per rispettare i movimenti che ti dicono di fare. Io ho avuto problemi ad una spalla ad esempio. Facevo il picker e dovevo spostare degli oggetti da una cassetta a poggiarli su uno scaffale alto. Secondo loro, per fare questo movimento, avrei dovuto spostare tutte le volte una scala usando entrambe le mani. All’inizio seguivo le loro indicazioni ma, quando sono stata richiamata per la lentezza, ho iniziato a svolgere il lavoro solo con una mano e alla fine ho avuto un problema alla spalla e la colpa è stata data a me. Un’altra ragazza ha avuto un problema al tunnel carpale e quando è rientrata al lavoro il medico di Amazon le ha tolto l’idoneità al lavoro e quindi è tutt’ora a casa per indicazione del medico di Amazon, non del suo. Praticamente anziché cambiarle mansione da un anno la costringono a stare a casa, con la paga più bassa, cosa puoi fare alla fine se non licenziarti? Un caso ancora più grave riguarda un ragazzo che in un incidente con il muletto ha perso le dita di un piede. Lui non sapeva che le scarpe anti-infortunistica che indossava non erano a norma, non avevano la punta in ferro ma in gommapiuma! Quando è stata chiamata l’ambulanza al ragazzo sono state tolte le scarpe e queste scarpe sono poi magicamente sparite. Alla fine la colpa è stata data a lui dicendo che girava per il magazzino scalzo, ma se fosse stato veramente così il manager se ne sarebbe accorto.
Che tipo di rapporti ci sono tra colleghi? Quanti sono più o meno i lavoratori che hanno preso la tessera di un sindacato e di che tipo è stata finora l’iniziativa sindacale?
Come ti dicevo prima non ci sono molti iscritti al sindacato. Qualcuno si è iscritto ma quando sono state organizzate delle assemblee in azienda non è circolata nessuna informazione o addirittura nei briefing qualche leader o manager diceva di non andare perché si doveva raggiungere l’obiettivo giornaliero. Se non raggiungono l’obiettivo i manager perdono dei punti che gli servono per i premi produzione. Tendono a risolvere tutto all’interno, senza poterne parlare fuori. Pensa che c’è una cabina telefonica (call-connection) dentro l’azienda dove puoi ricevere un aiuto psicologico parlando con qualcuno che ti risponde da chissà dove a cui racconti i tuoi problemi. Puoi farlo durante l’orario di lavoro, ma devi mandare una richiesta. Io per esempio l’ho utilizzato per parlare delle molestie sessuali ma ovviamente non è cambiato niente. Secondo me è l’ennesimo contentino che danno ai lavoratori per non rompere le scatole… Comunque a parte queste assemblee non ci sono state altre iniziative.
Perché secondo te è così basso il livello di partecipazione e di iniziativa?
Un po’ perché gli assunti con l’agenzia interinale perderebbero delle ore di produzione che andrebbero poi a gravare sulla possibilità di essere assunti. Anche qui la competizione tra colleghi ti porta a non perdere ore di lavoro per partecipare a un’assemblea. Ma la competizione non è solo tra lavoratori a tempo determinato, in generale tutto il sistema di divisione in squadre (blu, rossa, verde), con cui vengono divisi i lavoratori all’inizio del turno, è una gara tra lavoratori a chi produce di più, quindi non puoi assentarti dalla postazione anche se è tuo diritto, perché abbassi il rate di tutta la squadra! C’è una costante politica di terrore in quella azienda.
Nella rete di Amazon una parte importante è svolta dai corrieri che effettuano le consegne, costretti anche loro a ritmi sempre più pesanti. Recentemente hanno scioperato a Milano. Esiste qualche canale di comunicazione tra l’interno del magazzino e chi lavora per Amazon all’esterno?
A Passo Corese credo di no. L’azienda ha sempre parlato però di voler istituire un corriere interno, anziché affidarsi a corrieri esterni tipo GLS.
Amazon è un’azienda globale, con una rete di magazzini sparsi in Italia e in altri paesi europei. Questi magazzini funzionano in sinergia tra loro e Amazon organizza il lavoro in modo coordinato. Questo è noto all’interno del magazzino? Come si riflette nel modo in cui si lavora ogni giorno?
Amazon punta molto a metterla in termini di sfida tra magazzini. I lavoratori non percepiscono che in realtà si tratta di un’unica azienda che fa profitti sul nostro lavoro. Purtroppo c’è poca solidarietà, ognuno pensa al suo posto.
Pensi che organizzare una lotta a livello transnazionale, mettendo in connessione lavoratori e lavoratrici da tutta Europa e non solo, possa essere utile per migliorare le condizioni di lavoro dentro ai magazzini?
Penso sia molto utile e a nome dei lavoratori di Amazon vi ringrazio. Penso la strada giusta per risolvere i problemi sia proprio questa: cercare di mettere in comunicazione i dipendenti tra le varie situazioni così che nessuno si senta solo, che nessuno pensi di essere un caso isolato o che gli sia andata male, perché ci sono tantissime persone che non si trovano bene. Finché la maggioranza continuerà a restare in silenzio si sentiranno tutti in difetto. Questa politica di terrore dentro Amazon per cui non ti puoi neanche lamentare deve finire!
Nella dichiarazione finale dell’assemblea transnazionale che si è tenuta a Lipsia lo scorso settembre i lavoratori e le lavoratrici Amazon hanno rilanciato l’idea di scioperare tutti insieme assumendo rivendicazioni comuni. Tra queste, un salario uguale per tutti potrebbe essere un modo per presentare una richiesta di uguaglianza che attraversi i confini e le legislazioni nazionali, così da rompere la strategia di Amazon di approfittare di queste differenze per imporre le sue condizioni. Che ne pensi?
La mole di lavoro è molto alta e un compenso più adeguato sarebbe giusto. Io non prendevo neanche 1200 euro al mese. Era un salario davvero basso se pensavo a quanto facevo io e quanto guadagnava Bezos. Lui poi magari viene in video conferenza mentre sta dall’altra parte del mondo sullo yacht e tu ti dici “ah io pijo 8 euro l’ora e lavoro più di mille pezzi per fare ricco questo qua”. Quindi no, la paga non è adeguata alla mole di lavoro e penso che unirci per richiedere tutti insieme un salario migliore sia la strada giusta…