Intervista a CASA POPULAR VALERIA (Argentina) – di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Anche quest’anno l’8 marzo ha portato in piazza milioni di donne in tutto il mondo, dal Cile alla Turchia, sfidando la dittatura, il patriarcato neoliberale e il razzismo, e il 9 marzo si sono replicati ovunque scioperi e manifestazioni. Le iniziative delle due giornate si ricongiungono a queste voci dall’Argentina, che è stato negli ultimi anni il motore del processo dello sciopero femminista globale. Ripubblichiamo l’ultima intervista della serie del Transnational Social Strike verso l’8 e il 9 marzo alle compagne del centro antiviolenza «Casa popular Valeria» (Movimiento Popular La Dignidad – Olavarría, Pcia de Buenos Aires). Le donne di Casa Popular Valeria, lavoratrici dell’economia informale, denunciano la violenza maschile, che si basa su gerarchie di classe e razziste e continua a uccidere, violentare e opprimere. Costruire potenza collettiva contro la violenza è ancora la scommessa dello sciopero femminista globale.
Risposte costruite collettivamente e trascritte da Alex Herrera e Hosanna Cazola
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TSS: Che lavoro fai? Come sono cambiate le tue condizioni di vita e lavorative negli ultimi anni?
Casa Popular Valeria: Noi compagne che militiamo e attraversiamo la «Casa Popular Valeria» lavoriamo nell’economia popolare. Come donne e soggettività dissidenti, organizziamo collettivamente i nostri compiti di cura, tipicamente a carico delle donne, per rivendicare politicamente questo ruolo che ci troviamo a ricoprire. Spesso infatti non vogliamo smettere di prenderci cura dei nostri figli o dei nostri genitori, nonni etc. per andare a lavorare nell’economia formale. Vogliamo che attraverso la nostra organizzazione questo lavoro sia riconosciuto e tutelato e intendiamo rivendicare politicamente il nostro di diritto a essere valorizzate per il compito che ci viene assegnato nella famiglia e nella società. Molte volte sentiamo che, come classi popolari, ci viene richiesta una forma di liberazione che non necessariamente ha a che vedere con i nostri desideri immediati o con la costruzione collettiva della nostra soggettività a partire al lavoro, dalla maternità, dall’organizzazione dello spazio domestico. Anche se negli ultimi anni in termini materiali abbiamo perso, siamo riuscite a guadagnare uno spazio politico e simbolico. Abbiamo occupato lo spazio pubblico come femminismo popolare, femminismo che rispetta i processi di tutte le compagne e si rifiuta di lasciare indietro qualcuna.
TSS: Come influisce il tuo essere donna / e migrante / e indigena su come vieni trattata a lavoro?
CPV: La questione etnica, come quella di classe, inasprisce le disuguaglianze e ci espone a situazioni di estrema vulnerabilità e violenza. Nella nostra città, a Olavarría, la collettività delle donne e delle soggettività dissidenti delle classi popolari è esclusa geograficamente da tutti i circuiti statali di contrattazione, assistenza e accesso ai diritti. C’è un’invisibilizzazione della condizione complessiva che viviamo. La mancanza di diritti e di riconoscimento della questione di genere ci rivittimizza di fronte a ogni nostra rivendicazione e ci lascia isolate e indifese. La possibilità di accedere a un lavoro dignitoso è lontana, visto che le nostre condizioni materiali, la nostra formazione e le nostre identità non si adattano alle richieste del mercato del lavoro. Abbiamo deciso di far parte di ciò che denominiamo «l’altra economia». Un’economia sociale, solidale e popolare, che non pretenda di pre-formattare le nostre vite per includerci. Che dia valore al lavoro nella sua dimensione complessiva e dove possiamo ripensare le nostre necessità di consumo e approvvigionamento.
TSS: Hai mai assistito o hai mai avuto esperienza di molestie sessuali, per esempio sul posto di lavoro o anche a casa o per strada?
CPV: Noi donne e dissidenze sessuali siamo state storicamente sottoposte a qualsiasi tipo di violenza da parte del sistema eteropatriarcale, in cui le mascolinità egemoniche sono gli agenti di queste violenze. Sappiamo che nella costruzione di queste mascolinità ci sono determinate pratiche collettive che permettono di appartenere o essere parte di un sistema culturale tradizionale fondato sul maschio. Una delle pratiche più diffuse è la dimostrazione constante di potere, di superiorità. La violenza è una forma estrema di esercitare il potere, noi donne smettiamo di essere soggetti liberi per convertici in oggetti di uso e abuso. Sicuramente la maggior parte di noi donne e soggettività vive esperienze di molestia quotidianamente: senza naturalizzarlo, assumiamo che è qualcosa con cui ci scontreremo a un certo punto della giornata, della settimana o del mese, e che può darsi in qualsiasi ambito delle nostre vite. A partire dal nostro spazio G, riflettendo e identificando tutte le violenze che viviamo in quanto donne delle classi popolari; collettivamente costruiamo strumenti che tengano conto delle nostre realtà e che ci permettano di creare modalità di cura individuali e collettive per far fronte alla violenza maschile.
TSS: Hai partecipato a qualche lotta di recente, per esempio sul tuo posto di lavoro o contro determinate politiche del governo? Quali sono stati i risultati? Quali ostacoli hai dovuto affrontare?
CPV: Da prima della creazione del nostro spazio, lavoriamo all’accompagnamento di famiglie e donne in situazioni di vulnerabilità e soprattutto alla loro assistenza materiale. È a partire dall’inaugurazione di «Casa Valeria» che abbiamo potuto mettere a fuoco il nostro compito e dargli il senso politico che ha oggi. Nell’accompagnamento delle vittime, stando a stretto contatto con loro, incontriamo la falla di ciò che definiamo il ‘circuito della denuncia’. Dopo aver iniziato a lavorare in maniera strutturale nel campo del contrasto alla violenza, abbiamo fatto richiesta di riconoscimento della nostra casa al governo provinciale. Anche se non ha avuto risonanza, è stata la base di un’ordinanza che è stata poi presentata al consiglio deliberativo, che ha poi rilasciato una Dichiarazione di emergenza in materia di violenza di genere. Ostacoli e limiti si incontrano quando, nonostante il riconoscimento del problema e le iniziative delle organizzazioni, lo Stato non agisce con misure concrete. Il disastro che si genera all0interno delle organizzazioni a causa delle costanti denunce sommate all’attenzione nei confronti dei casi emergenziali. Perché sicuramente, se la situazione non è ancora più disastrata, è grazie alle organizzazioni femministe che, come noi, lavorano concretamente sul territorio.
TSS: Hai mai sentito parlare delle lotte che le donne stanno organizzando in tutto il mondo contro la violenza maschile, i tagli sul welfare, le limitazioni della libertà di aborto? Sei a conoscenza del fatto che in molti luoghi in tutto il mondo le donne hanno organizzato uno sciopero femminista per visibilizzare il loro ruolo e la loro forza all’interno della società e per rivendicare la fine della violenza maschile?
CPV: Conosciamo il movimento globale delle donne e pensiamo che il modello che proponiamo sia di grande stimolo. Anche se insistiamo sul concetto di pensare come femministe, non possiamo smettere di rendere visibili tutte le questioni che ci attraversano. La principale è la condizione delle donne e delle soggettività dissidenti, ma chiaramente ci sono altre condizioni che sono segnate dalla violenza. Nel nostro caso è la classe e la nostra identità di fronte a essa. Non negheremo mai la nostra condizione complessiva, perché è ciò che ci costituisce. E se il sistema non è disposto a includerci, allora costruiamo meccanismi di sopravvivenza e ci organizziamo per esigere da ogni Stato le risorse di cui abbiamo bisogno.
TSS: Se tu potessi scioperare, contro cosa sciopereresti? E come?
CPV: Faremmo uno sciopero contro tutto ciò che ci opprime e cerca di «normalizzarci». Lo faremmo per chiedere di fermare immediatamente la violenza che esercitano su di noi, perché smettano di ucciderci. Il movimento delle donne e delle soggettività dissidenti sta scuotendo tutto, vediamo vecchie strutture che cadono a pezzi e non facciamo un passo indietro, insieme e organizzate, cambieremo tutto.
TSS: Cosa vorresti dire a tutte quelle donne che nel mondo si ritrovano a dover affrontare quotidianamente i tuoi stessi problemi nei luoghi di lavoro, a casa e nella società?
CPV: Diremmo loro di organizzarsi, di accorparsi. Che inizialmente si mettano in connessione creando dei legami di solidarietà ed empatia, per poi generare potere per far fronte alle disuguaglianze che vivono e creare tutto ciò di cui hanno bisogno. Ai corpi che possono procreare è stato affidato il compito di fare figli, ma abbiamo dimostrato che non solo creiamo vita, ma creiamo senso di fronte all’orrore, e stiamo dando vita a una nuova umanità.