di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Pubblichiamo l’introduzione al giornale realizzato dalla Piattaforma dello sciopero sociale transnazionale in occasione della giornata di lotta contro Amazon organizzata per il Black Friday: Strike the Giant! Transnational Organization against Amazon. Il giornale raccoglie articoli di lavoratori e lavoratrici, attiviste e attivisti da Germania, Spagna, Polonia, Francia e Stati Uniti che discutono insieme come costruire una strategia comune e come sostenere comuni rivendicazioni attraverso i confini contro il gigante multinazionale. Si tratta di una pubblicazione rilevante non solo per coloro che stanno combattendo dentro Amazon, ma per chiunque si stia ponendo il problema di come organizzarsi contro le catene globali della produzione.
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Quest’anno Amazon riceverà un regalo inaspettato in occasione del Black Friday. In questo giorno di mobilitazione transnazionale contro Amazon, la piattaforma TSS pubblica una raccolta di voci di lavoratrici, lavoratori e attivisti in lotta in tutto il mondo. A settembre, dopo molti scioperi e azioni a Madrid, Bad Hersfeld, Portland, Piacenza, Lille, Poznan, Shakopee e in molti altri stabilimenti, si è tenuta a Lipsia, in Germania, un’assemblea di lavoratori e lavoratrici di Amazon impiegati in magazzini europei e statunitensi. «Vogliamo scioperare insieme avanzando rivendicazioni comuni», si afferma nel documento finale dell’assemblea, «nonostante tutte le nostre differenze, siamo uniti dal fatto che abbiamo di fronte un padrone comune. Solo uniti abbiamo la possibilità di far valere efficacemente il nostro interesse contro Amazon». Le assemblee transnazionali di lavoratori e lavoratrici di Amazon sono iniziate nel 2015, quando polacchi e tedeschi hanno cominciato a confrontarsi dopo l’apertura del primo magazzino di Amazon in Polonia, pensato per rifornire il mercato tedesco in caso di interruzioni del lavoro in Germania e assorbire così gli effetti negativi degli scioperi. Come dice Christian di Bad Hersfeld in questo giornale, durante questi primi incontri «ci siamo resi conto che abbiamo gli stessi problemi, che Amazon ci tratta allo stesso modo, ma fa leva sulle diverse leggi sul lavoro dei nostri paesi per colpire tutti noi».
Da allora i legami si sono stretti e sempre più persone provenienti da Polonia, Germania, Spagna, Francia, Slovacchia e Stati Uniti hanno cominciato a partecipare alle assemblee. Iniziate come un modo per conoscersi e avere un’idea delle diverse condizioni e legislazioni sul lavoro, queste discussioni sono andate ben oltre il semplice scambio di esperienze. Nonostante Amazon si sforzi di presentarsi come un modello di management visionario e di evitare lotte e vertenze, infatti, negli ultimi anni i suoi magazzini sono stati attraversati da scioperi e proteste ovunque. A partire da queste lotte, i lavoratori e le lavoratrici hanno concluso che lottare per conquiste solo locali non è sufficiente. La convinzione sempre più forte che è necessario affrontare la dimensione globale di Amazon e la sua complessa rete logistica ha portato i lavoratori a concordare sulla necessità di adottare una strategia transnazionale contro l’azienda. Il documento finale prodotto dopo l’assemblea di Lipsia è così il primo risultato visibile che esprime la sfida di elaborare una strategia comune e rivendicazioni comuni che vadano oltre i confini nazionali. Qualcosa di nuovo sta accadendo: non c’è un modello prestabilito da seguire, non ci sono soluzioni pronte all’uso. L’organizzazione transnazionale deve essere inventata.
Il giornale del TSS raccoglie alcune delle voci che, da diversi luoghi, stanno discutendo come costruire questa strategia comune, quali sono gli strumenti che abbiamo a portata di mano e quali sono gli obiettivi da raggiungere. I contributi raccolti nel giornale mostrano la novità di questo tentativo e la portata delle sfide che dobbiamo affrontare avendo di fronte un’azienda globale come Amazon. L’idea di costruire questo giornale nasce dalla nostra convinzione che questa discussione coinvolga non solo coloro che lavorano e lottano dentro Amazon, ma anche tutte e tutti coloro che vogliono agire e organizzarsi a livello transnazionale. La posta in gioco va ben oltre l’azienda stessa. Nel discutere per la prima volta una strategia comune, lavoratori e lavoratrici di Amazon pongono il problema di come organizzarsi contro le catene globali della produzione, cioè contro il comando globale sul lavoro. Insieme a loro, il giornale riflette su come costruire una comunicazione stabile ed efficace capace di attraversare i confini e su come superare la frammentazione che oggi sembra rendere impossibile la costruzione di una forza collettiva contro i padroni. Inoltre, questo esperimento in atto pone domande ineludibili sulle forme di organizzazione che possiamo usare per rendere transnazionali le nostre lotte locali. I lavoratori di Amazon che prendono parola nel giornale esprimono la necessità di spingere i sindacati oltre i loro limiti come strutture nazionali, perché altrimenti rischiano di essere ostacoli più che strumenti per produrre e intensificare una comunicazione politica transnazionale. Per questo motivo i contributi qui raccolti sollevano il problema dell’organizzazione in un modo nuovo e rilevante per tutti: non evidenziano la necessità di fondare una nuova struttura formalizzata, un «sindacato di sindacati», ma piuttosto di ampliare e approfondire la comunicazione esercitando pressioni dal basso sulle organizzazioni esistenti per superare la divisione dei lavoratori in settori, appartenenza sindacale, contratti collettivi, gerarchie razziali e sessuali. Come dicono i compagni e le compagne francesi «come sindacato questo ci impone di ripensare il nostro ruolo all’interno delle imprese e di assumere i limiti dell’azione e della struttura sindacale. Dovremmo sostenere l’organizzazione transnazionale di lavoratori e lavoratrici».
Uno dei principali strumenti messi qui in evidenza per costruire una strategia condivisa è quello di sostenere delle rivendicazioni comuni su salario, condizioni di lavoro e contratti. Queste rivendicazioni devono servire a migliorare la comunicazione transnazionale tra i magazzini a livello globale e a superare le diverse legislazioni sul lavoro, le diverse normative riguardanti i contratti collettivi, i salari minimi, le prestazioni sociali, o i privilegi fiscali, economici e legali concessi ad Amazon da ogni Stato. Non si tratta di un compito facile perché Amazon fa leva proprio su queste differenze per impedire ai lavoratori di costruire una forza comune. La strategia di Amazon è quella di negoziare eventualmente solo con alcuni sindacati, limitare le concessioni ad alcuni magazzini, concedere contratti a tempo indeterminato o benefit solo a gruppi specifici di lavoratori, aumentare i salari in un posto e contemporaneamente tagliarli in un altro, fare leva sul razzismo istituzionale per ricattare i lavoratori migranti. Tutti i lavoratori di Amazon devono affrontare la stessa mancanza di sicurezza, l’alto rischio di incidenti, la fatica fisica e mentale. Nei centri di consegna il fumo delle auto e dei camion si accumula negli edifici, mettendo in pericolo la salute di chi ci lavora. Tutti i lavoratori e le lavoratrici di Amazon hanno diritto a pause troppo brevi e troppo raramente, riescono a malapena a parlare tra loro, sono costantemente sottoposti a pressioni per soddisfare standard irraggiungibili. Eppure, mentre impone simili condizioni di lavoro, Amazon sfrutta le differenze locali per spezzare la capacità di organizzazione dei lavoratori. Il primo compito di un’organizzazione transnazionale contro Amazon è allora quello di rovesciare la sua capacità di sfruttare le diverse condizioni politiche, sociali e legali per produrre frammentazione tra i lavoratori.
Amazon comincia facendo ricerche sulle condizioni locali – distanza dai clienti, salario medio, disponibilità di una forza lavoro povera e lavoro migrante – per decidere dove aprire un magazzino. Oltre a negoziare con le amministrazioni pubbliche desiderose di creare un «ambiente favorevole alle imprese», Amazon costruisce «strutture dove sia garantito che ci sono lavoratori sfruttabili», come scrive Brian del magazzino di Portland. Amazon ha infatti costruito magazzini nelle aree più povere di Portland, dove vivono soprattutto migranti e dove i tassi di disoccupazione sono più elevati. La strategia di reclutamento di Amazon mira ad assicurarsi una massa disponibile e flessibile di lavoratori poveri in grado di consegnare rapidamente la merce ai clienti. Allo stesso tempo, punta a rafforzare le gerarchie razziali e sociali: come afferma William del magazzino di Shakopee in Minnesota, Amazon recluta «forza lavoro migrante e assume ufficiali militari in congedo o ancora in servizio per sorvegliarli. Questo crea una gerarchia visibile all’interno del magazzino». Nel magazzino di Shakopee la preferenza va ai migranti proveniente dall’Africa orientale appena arrivati negli Stati Uniti, che si suppone siano più pronti a sopportare le cattive condizioni senza lamentarsi. I migranti somali, però, hanno clamorosamente smentito questa supposizione lottando in prima linea negli scioperi che hanno investito il magazzino dall’estate scorsa a oggi. In Polonia, i lavoratori stagionali ucraini, non sindacalizzati e con un alto tasso di mobilità, sono ormai una componente stabile della forza lavoro. Inoltre, alla gerarchia razziale si aggiunge quella sessuale: mentre molti facchini sono donne, i dirigenti e i capisquadra sono per lo più uomini. Tutto ciò significa che, nel progettare la sua rete di distribuzione, Amazon si affida a un insieme di condizioni politiche e sociali per scegliere la migliore posizione possibile dei magazzini e per produrre gerarchie tra i lavoratori all’interno di ciascuno di essi.
Esiste inoltre una produzione di differenze interne specifiche attraverso i contratti. In tutti i magazzini Amazon un’alta percentuale di lavoratori ha contratti a breve termine, anche settimanali, come in Spagna. In Francia, più della metà dei lavoratori ha contratti a tempo determinato. I contratti collettivi esistenti, quando sono in vigore, vengono costantemente elusi attraverso fornitori esterni o agenzie interinali. Amazon impiega lavoratori precari non solo per far fronte alle fluttuazioni delle vendite, ma anche perché è chiaramente più difficile per loro partecipare agli scioperi vista la minaccia concreta di perdere il lavoro. In più, la possibilità di licenziamento viene utilizzata per esercitare pressioni sui lavoratori precari e costringerli a soddisfare standard di lavoro sempre più elevati, che vengono poi applicati a tutti gli altri. I contributi dimostrano che, se da un lato la lotta per i contratti a tempo indeterminato e per i contratti collettivi migliorerebbe le condizioni di lotta e permetterebbe ai lavoratori di incidere sugli standard lavorativi, è difficile concludere che l’unico obiettivo della lotta possa essere che ogni magazzino sottoscriva il proprio contratto collettivo. Negli Stati Uniti, ad esempio, i contratti collettivi contengono quasi sempre una clausola che impedisce di scioperare. Come afferma Brian di Portland, il contratto non è quindi l’obiettivo finale dell’intera lotta, poiché per la costruzione di un’organizzazione efficace il «contratto può diventare più un ostacolo che un aiuto».
Amazon utilizza anche i livelli salariali per dividere i lavoratori e rompere il fronte dello sciopero. Durante gli scioperi al magazzino di Madrid, la direzione offre ricompense e aumenti salariali ai chi è rimasto al lavoro con il chiaro obiettivo «di dividere quelli che scioperano e quelli che non lo fanno e creare conflitti». Mentre i salari di Amazon sono di solito leggermente al di sopra della media regionale per attirare forza lavoro, l’azienda gioca costantemente con le diverse parti del salario – salario diretto, bonus, benefit, straordinari – in modo che gli aumenti di salario corrispondano spesso a tagli di bonus o a un aumento del tempo di lavoro e della sua intensità. Parlando della decisione di Amazon di aumentare il salario minimo negli Stati Uniti a 15 $, William afferma che «le conseguenze sono state varie, perché quando hanno aumentato il salario minimo hanno anche portato via i bonus mensili che prendevamo, basati sul rendimento e sulle presenze dei singoli lavoratori». Amazon gestisce i salari sia per dividere i lavoratori sia per aumentare l’intensità del lavoro. Il problema è quindi come affrontare la questione del salario a livello transnazionale, evitando che attraverso le politiche salariali i lavoratori siano messi gli uni contro gli altri, o che gli aumenti salariali siano “pagati” con ritmi lavorativi più intensi e, alla fine, meno denaro.
Questi sono gli elementi più rilevanti di una situazione complessa, che richiede un’innovazione decisiva in termini di strategia e organizzazione transnazionale. Contro la frammentazione estrema, ottenere concessioni solo per alcune categorie di lavoratori significa rafforzare le gerarchie basate su sesso, razza, tipo di contratto, livello salariale, indennità e posizione. Le rivendicazioni comuni devono quindi far fronte alla frammentazione delle condizioni sociali e politiche dello sfruttamento e alla necessità di rovesciare quelle gerarchie all’interno e all’esterno dei magazzini. Partendo dalle condizioni dei lavoratori di Amazon, riteniamo che gli articoli contenuti in questo giornale siano estremamente utili per affrontare la sfida dell’organizzazione transnazionale contro quella che abbiamo chiamato la «logistica dello sfruttamento». Qui come altrove, la priorità è costruire connessioni tra condizioni diverse. Amazon – questa sorta di gigante globale apparentemente invincibile – utilizza differenze e divisioni per evitare che i suoi dipendenti – oltre mezzo milione di lavoratori e lavoratrici in tutto il mondo – possano unirsi contro un solo individuo molto ricco a Seattle. Ma qual è la nostra strada verso Seattle? Come possiamo accumulare potere lungo il percorso? Quali sono gli strumenti cha abbiamo?
«La sfida più grande è ottenere più potere e organizzare la maggior parte dei lavoratori di Amazon in tutto il mondo. Dobbiamo superare l’idea che questa lotta possa essere vinta su base locale», afferma Christian di Bad Hersfeld. Espandere le connessioni e la comunicazione tra lavoratori, come sostengono i contributi nel giornale, è il primo passo. Per la forma specifica di produzione di una supply chain globale, nessun magazzino è più vicino a Seattle dell’altro: per colpire il cuore di questo sistema, l’organizzazione deve diffondersi ed espandersi nel tempo e nello spazio per andare a colpire tutti gli elementi dispersi che lo sostengono. Di conseguenza, lo sciopero transnazionale contro Amazon emerge dagli articoli come un movimento e un progetto, piuttosto che come un evento isolato o semplicemente come un singolo giorno di sciopero coordinato, dopo il quale tutti tornano al lavoro come al solito. L’organizzazione transnazionale modifica le pratiche locali rendendole parte di un progetto comune a lungo termine. Pensare allo sciopero come un movimento significa innanzitutto che esso comprende molte pratiche differenti. Per contrastare il tentativo di Amazon di deviare i flussi di merci durante gli scioperi, in Germania i lavoratori stanno usando la tattica dei “microscioperi”, «che include scioperi non annunciati, variazione della durata dell’astensione e del numero dei magazzini coinvolti in Germania, “falsi scioperi”, scioperi a singhiozzo, rifiuto di singole mansioni e scioperi spontanei in caso di un elevato numero di ordini». L’impiego di questa tattica è riuscito a disturbare il flusso regolare dei pacchi e ha costretto Amazon a utilizzare risorse extra per far fronte a scioperi non previsti. In Polonia, dove la legislazione rende molto difficile lo sciopero legale, i lavoratori di Amazon organizzano rallentamenti e referendum per sostenere la chiamata allo sciopero: «raccogliamo voti, andiamo di magazzino in magazzino, parliamo con i dipendenti – usiamo il referendum per mobilitare nelle mense, nei magazzini, dove distribuiamo volantini, parliamo attraverso delegati sindacali. Grazie a ciò sempre più persone di diversi magazzini si uniscono a noi». Assemblee, manifestazioni, presidi, rallentamenti, microscioperi, blocchi, picchetti, qualsiasi metodo individuale per rallentare il lavoro: lo sciopero transnazionale è tutte queste pratiche, nella misura in cui non sono isolate ma vanno nella direzione di accumulare potere e ampliare la capacità di organizzazione.
Lo sciopero transnazionale è un progetto politico: riconoscere la difficoltà attuale e gli ostacoli enormi che si incontrano nell’organizzazione in tutto il mondo non vuol dire essere deboli o rassegnati, ma è anzi l’inizio dell’organizzazione transnazionale stessa. In questo quadro, qualsiasi opposizione netta tra sciopero simbolico e reale perde significato, così come nessuna struttura può rivendicare il monopolio dello “sciopero vero e reale”. Dare credito a questa opposizione significherebbe essere disposti a declassare l’ambizioso tentativo di affrontare le sfide dell’organizzazione transnazionale a gesto semplicemente simbolico. Lo sciopero globale delle donne ci ha mostrato del resto molto chiaramente in questi anni che questa distinzione non tiene. Ogni azione coordinata, ogni sciopero fa crescere il processo e intensifica la comunicazione reciproca. Ogni azione, quando inserita in un progetto comune, contribuisce alla strategia transnazionale comune, che a sua volta rafforza l’organizzazione locale.
Lo sciopero transnazionale come movimento e progetto ha bisogno di rivendicazioni comuni che vengano sostenute attraverso i confini. Contro il “sogno” di ottimizzazione dello sfruttamento portato avanti da Amazon, le rivendicazioni comuni sono gli strumenti per ampliare il nostro potenziale, avviare una comunicazione più intensa e combattere insieme nonostante le differenze. Le rivendicazioni comuni non sono semplicemente punti concreti da presentare sul tavolo di una presunta negoziazione transnazionale, ma, piuttosto, strumenti da utilizzare per avanzare più rapidamente sulla strada verso Seattle. Sono gli strumenti per iniziare a parlare un linguaggio comune, per riconoscersi reciprocamente in una lotta comune. In questa direzione, la richiesta di un salario uguale per tutte le lavoratrici e i lavoratori di Amazon su scala globale di cui si sta attualmente discutendo è una scommessa enorme. Come TSS pensiamo che questa scommessa debba essere fatta. Come dicono i compagni e le compagne francesi, si tratta di «una richiesta che costringe i lavoratori a pensarsi a livello transnazionale» e consente di contrastare l’uso dei differenziali salariali e delle gerarchie contrattuali utilizzate da Amazon. Crediamo che un salario uguale per tutti i lavoratori di Amazon non si possa ridurre a un calcolo “realistico” o a una specifica quantità di denaro, misurata sulla base del potere d’acquisto dei singoli paesi o dei salari minimi nazionali, che sono essi stessi un modo per aumentare la frammentazione. La sua concretezza risiede nella radicale richiesta di uguaglianza che contiene, e non in quanto accuratamente è misurato, quanto razionalmente si adegua alle diverse legislazioni o quanto precisamente è adattato ai diversi tipi di contratto. Il salario uguale è concreto perché spinge in avanti la costruzione di un fronte comune.
Come dicono i compagni polacchi, «mentre fino qualche anno fa era inimmaginabile dire che vogliamo guadagnare lo stesso dei colleghi tedeschi (la maggior delle persone avrebbe deriso questa idea come un desiderio ingenuo o avrebbe scrollato le spalle), oggi ha preso piede la critica alla disparità salariale in Europa. Dopotutto, il nostro lavoro è lo stesso di quello in Germania». Chiedere un salario uguale ci dà la misura del potere che possiamo esercitare contro Amazon su scala globale, qualcosa che non era nemmeno pensabile fino a poco tempo fa. Per questo motivo, il salario uguale è cruciale non solo per coloro che lottano all’interno di Amazon. Il salario uguale può esprimere un forte impegno condiviso in direzione dell’uguaglianza contro le divisioni e la subordinazione, di quell’uguaglianza che Amazon e tutti gli altri padroni negano ogni giorno. Esigere un salario uguale significa rifiutare collettivamente il comando politico sul lavoro che (non solo) Amazon esercita imponendo gerarchie e differenze volte ad aumentare lo sfruttamento. In merito a questo, la questione cruciale, fondamentale per chiunque si sta organizzando a livello transnazionale, è se le organizzazioni e i sindacati esistenti saranno pronti a fare spazio allo sciopero transnazionale come progetto e movimento, a «pensare in grande» e superare i limiti nazionali. Come afferma il documento finale dell’assemblea di Lipsia «abbiamo solo una vita e non possiamo aspettare»: l’urgenza di questo compito non può più essere trascurata.