di BRAULIO ROJAS CASTRO
Dopo oltre una settimana dalla sollevazione cittadina trasformatasi in una rivolta di massa, le mobilitazioni contro il governo di Piñera (#MalgobiernodExcremencias) e contro il modello economico-politico neoliberale che ha governato il Cile dall’inizio degli anni ’80, cioè fin da quando la dittatura ha cominciato a mettere in pratica la politica della Scuola di Chicago, si scontrano con il terribile bilancio di morti, feriti, torturati, di sparizioni e abusi sessuali che stanno riconfigurando la guerra sporca da parte delle forze armate e della polizia come apparati repressivi dello Stato. Le cifre ufficiali sono inquietanti, le testimonianze drammatiche. Secondo le informazioni dell’Istituto dei Diritti Umani del Cile diffuse dalla stampa, il 26 ottobre le persone ferite che sono passate per l’ospedale sono 997, il che significa un incremento del 71,3% rispetto ai giorni precedenti; più precisamente, «l’INDH (Istituto dei Diritti Umani) dà conto di 997 feriti, dei quali 413 con ferite di armi da fuoco e 24 da armi ad aria compressa. Si tratta di oltre 400 casi in più rispetto alla notte alla notte precedente, quando i feriti erano stati 582». Si dà conto inoltre di 3.162 detenute e detenuti, dei quali 2.150 sono uomini, 545 donne e 343 giovani e adolescenti.
Tuttavia, ci sono altri tre aspetti che danno conto delle pratiche di coercizione divenute in questi giorni il modus operandi degli apparati repressivi. Uno di essi è l’abuso e le violenze di carattere sessuale su donne, uomini e adolescenti. L’INDH segnala che sono state avanzate 15 denunce per violenza sessuale e molte donne sono state spogliate, minacciate e palpeggiate. Vi sono anche però notizie di giovani uomini violentati dai carabinieri, e si parla di almeno uno di loro che ha avuto il coraggio di sporgere denuncia. Questi fatti esemplificano il carattere patriarcale e omofobico della repressione poliziesca e delle forze armate, che può essere interpretato come un tentativo di colpire l’avanzata dei movimenti femministi e i movimenti di liberazione LGTBIQ.
Il secondo aspetto è dato dalla detenzione forzata e dalla sparizione di numerosi individui, in particolare donne, giovani e adolescenti. Si parla di 13 donne scomparse, mentre il numero di adolescenti ancora non è chiaro [secondo il bilancio del 25 ottobre realizzato dalla difesa giuridica dell’università del Cile]. Informazioni provenienti dalle reti sociali e dalle organizzazioni della società civile riferiscono i nomi delle seguenti donne scomparse: Constanza Tapia (18-10-2019); Natalia Cortez Araya (19-10-2019); Aranza Astorga (19-10-2019); Daniela Riquelme (19-10-2019); Marcela Diaz (19-10-2019); Tamara Merino (19-10-2019); Paula Gallardo Gómez (19-10-2019); Victoria Campos Ocaranza (20-10-2019); Ignacia Miranda Alvarez (21-10-2019); Lorena Espinoza Araya (21-10-2019); Ana Sanhueza Jarpa (22-10-2019); Tamara Gutiérrez Gutierrez (22-10-2019); Constanza Martínez (24-10-2019). Secondo informazioni del giornale on-line «El Desconcierto», 20 sono i casi registrati di persone, uomini, donne e adolescenti, scomparsi finora; alcune di queste persone – almeno tre – sono state trovate all’interno dei supermercati saccheggiati e incendiati, tuttavia la dirigente del laboratorio del servizio medico-legale ha informato che sarebbero morte in circostanze differenti (per questo il governo vuole sollevarla dall’incarico in modo arbitrario).
In terzo luogo, vi è la constatazione, confermata dai medici del Pronto Soccorso degli ospedali del paese, di una grande quantità di feriti/e con danni agli occhi, compresi alcuni che hanno perso la vista. Si è trattato di casi a tal punto ricorrenti, che la Società Cilena di Oftalmologia (Sochiof) «ha fatto un bilancio delle persone con ferite agli occhi nel corso delle manifestazioni dell’ultima settimana a Santiago, mettendo in guardia circa il modo in cui i Carabinieri utilizzano i loro fucili con proiettili di gomma». Solo a Santiago si sono registrati, dal 19 al 25 ottobre, 88 pazienti con traumi oculari gravi, e con la protesta degli ultimi giorni la cifra sta raggiungendo le 100 persone.
Queste tre pratiche di violenza, tipiche di una dottrina del terrorismo di Stato, configurano una forma sistematica di intimidazione nei confronti della popolazione civile che scende in strada per esprimere il proprio malcontento, non solo contro il #MalGobiernodExcremencias (questo aspetto va sottolineato), ma in generale contro il sistema economico neoliberale. Tuttavia, il tentativo del governo di Piñera di installare il terrore nella popolazione per disincentivare le proteste non ha ottenuto il risultato sperato. Venerdì si è tenuta quella che è considerata la più grande manifestazione politica della storia del Cile. Solo a Santiago si sono mobilitate 1.200.000 persone, tra Valparaíso e Viña del Mar si calcolano 90.000 manifestanti; nell’intero paese più di due milioni. E sia le proteste sia le marce continuano in tutto il paese.
Questa mobilitazione ha comportato un mutamento non solo del discorso, ma anche di azione da parte di Piñera, il quale ha proclamato un rimpasto di tutto il suo governo. Piñera fa degli annunci estemporanei e cerca di salire, insieme a molti politici di destra, sul «carro dei vincitori» della più grande marcia del secolo, come l’ha definita minimizzando la stampa, quasi si trattasse di una speculazione in Borsa. È stato creato un nuovo consiglio dei Ministri, che però non offre alcuna soluzione al conflitto in corso, dal momento che il cambiamento non riguarda i tre ministeri che hanno provocato le maggiori tensioni negli ultimi tempi: Educazione, Salute e Trasporti, cioè i settori che hanno una diretta relazione con le condizioni materiali e la qualità della vita in tutto il paese.
Il modo in cui ha agito la destra, insieme alle grandi imprese cilene e agli alti comandi delle forze armate, non ha fatto altro che mostrare il potere repressivo e dispotico del sistema economico neoliberale, che fin dalle sue origini ha mantenuto un’intima complicità con le politiche di repressione e di rapimento delle persone, in Cile come in tutta l’America latina. Contro tutto questo il popolo cileno si è ribellato, così come si è ribellato quello ecuadoreño poche settimane fa. Domenica 27 ottobre il popolo argentino ha sconfitto nelle urne Macri e il suo progetto di smantellamento dello Stato sociale, e in Colombia Uribe è stato sconfitto alle elezioni. Siamo di fronte a una reazione popolare contro le politiche economiche promosse dai grandi centri finanziari globali, come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Interamericana per lo Sviluppo, la Banca Mondiale e i loro alleati locali.
Da lunedì 28 ottobre si apre una nuova fase di questo processo di rivolta, che si sta potenziando politicamente in maniera capillare, a partire dalle numerose assemblee territoriali e municipali, nelle quali le comunità cominciano a dialogare e discutere sulle forme politiche per uscire dalla crisi. Queste discussioni hanno individuato in generale quattro rivendicazioni concrete: in primo luogo, una modifica del sistema pensionistico che metta fine alla ricerca del profitto privato e all’Amministrazione dei Fondi Pensione (AFP) basata sulla speculazione finanziaria con i fondi dei lavoratori e delle lavoratrici; in secondo luogo, il finanziamento del sistema sanitario e dell’educazione pubblica, che devono essere riconosciute come diritti sociali; in terzo luogo, il decentramento effettivo delle decisioni politiche ed economiche con l’affermazione dell’autonomia territoriale delle province, il riconoscimento dell’emergenza ambientale e il recupero dell’accesso universale all’acqua come diritto umano; infine, un’assemblea costituente popolare e vincolate, per uscire, una volta per tutte, dalle eredità istituzionali e simboliche post-dittatoriali. La richiesta più immediata è che i militari rientrino nelle caserme e che si concluda ogni forma di Stato di eccezione.
Come dato conclusivo, in merito alle manifestazioni, alle misure governative, agli interventi delle istituzioni e alla percezione della militarizzazione, si può citare il sondaggio «Pulse Citizen: Crisis in Chile» realizzato da «Active Research», che ha il vantaggio di presentare la sua metodologia di lavoro. Secondo il sondaggio, l’83,6% della popolazione è d’accordo con le proteste e le manifestazioni. La lotta andrà avanti finché ciò che viene rivendicato non sarà ottenuto.