di FELICE MOMETTI
Pubblicato su «Il Manifesto» del 20 settembre 2019
Daniel Pantaleo, l’agente della polizia di New York che cinque anni fa uccise strangolandolo Eric Garner, è stato licenziato a metà agosto. Il video che riprese l’omicidio diventò virale e provocò un’ondata di proteste che coinvolse anche personaggi dello sport e dello spettacolo. L’ultima frase di Eric Garner, afroamericano che viveva di piccoli espedienti, era stata: «I can’t breathe», non riesco a respirare. Il licenziamento dell’agente è avvenuto dopo una serie di manifestazioni e blocchi stradali per protestare contro la decisione, presa a metà luglio dal Dipartimento di Giustizia, di non perseguire Pantaleo per la violazione dei diritti civili di Garner. Vista la situazione, il sindaco di New York Bill de Blasio, candidato alle primarie dei democratici, per evitare la ripresa delle mobilitazioni e l’accusa di razzismo all’amministrazione comunale ha usato tutto il suo potere per far dichiarare l’agente inadatto al servizio.
Ci sono voluti cinque anni di proteste e mobilitazioni per ottenere un risultato che tuttavia non mette in discussione il razzismo intrinseco al ruolo e al funzionamento delle istituzioni della giustizia americana. Sono passati 36 anni dalla morte di Michael Stewart, artista afroamericano di New York, per le percosse con strangolamento finale da parte di agenti della polizia, successivamente tutti assolti. Stewart era stato arrestato per aver fatto dei graffiti in una stazione dell’East Village della metropolitana di New York. La sua morte aveva profondamente colpito Jean-Michel Basquiat: «avrei potuto essere io», disse più volte. Ciò lo spinse a rappresentare quella violenza della polizia su una parete dello studio di Keith Haring. Dopo la morte di Basquiat il dipinto fu staccato dal muro e incorniciato da Haring, rimase appeso sopra il suo letto fino alla sua morte.
Al Guggenheim Museum di New York, fino al 6 novembre, è stata allestita una mostra che ruota attorno a quel dipinto e alla morte di Michael Stewart: Basquiat’s Defacement. The Untold Story. Oltre a quel dipinto di Basquiat la mostra presenta alcune opere di Michael Stewart e di altri artisti, tra cui David Hammons, Keith Haring, Lyle Ashton Harris e Andy Warhol, che riguardano la morte di Stewart. Ci sono materiali d’archivio, tra cui i numeri della rivista alternativa «East Village Eye», un volantino di protesta realizzato da David Wojnarowicz che probabilmente ha ispirato Basquiat, manifesti per iniziative che raccolgono fondi per la famiglia di Stewart e per sostenere un’azione legale contro l’assoluzione degli agenti di polizia. E anche altre opere che Basquiat creò negli anni precedenti al 1983, tra cui Irony of a Negro Policeman (1981), La Hara (1981), Untitled (Sheriff), 1981 e CPRKR (1982), che condividono temi riguardanti l’oppressione e la violenza provocata dal razzismo e dal capitalismo. La curatrice della mostra, Chaédria LaBouvier, è la prima persona nera a organizzare da sola un’esposizione al Guggenheim di New York dalla sua fondazione. Fa anche parte di Mothers Against Police Brutality, un’organizzazione che LaBouvier ha fondato insieme a sua madre dopo che il fratello è stato ucciso, con sette pallottole, nonostante fosse disarmato, dalla polizia di Dallas nel marzo del 2013.
Sarebbe stata possibile questa mostra senza Black Lives Matter, i riot in varie città negli ultimi anni, le iniziative contro la violenza della polizia nei confronti degli afroamericani? Probabilmente no. Tuttavia Defacement di Basquiat potrebbe essere visto come il tentativo da parte di un’istituzione – quale il museo Guggenheim – di affrontare le questioni di ingiustizia razziale per sterilizzarle in una macchina espositiva che ingloba e metabolizza tutto. Durante la conferenza stampa di presentazione, la curatrice LaBouvier ha lamentato lo scarso supporto del Guggenheim nell’allestimento della mostra. Come se fosse un evento che non si poteva non organizzare ma che destava più di un dubbio e parecchio disagio. Due storie ‒ quella di Eric Garner, con cinque pacchetti di sigarette di contrabbando in tasca, e di Michael Stewart per aver taggato con un pennarello un muro ‒ che hanno significato per entrambi la morte per strangolamento da parte di agenti della polizia. Un destino che, ora come allora, è stato segnato da un razzismo istituzionale che produce comportamenti, leggi, rapporti sociali.