di LAURA CASIELLES – Comisión Internacional 8M Madrid e TRASNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Pubblichiamo la traduzione italiana della terza intervista (qui le prime due da Bulgaria e Germania) della serie March 8th – The Weekly Striker della Transnational Social Strike Platform. Laura Casielles della Comisión Internacional 8M Madrid racconta come l’anno scorso milioni di donne e uomini abbiano scioperato l’8 marzo in Spagna, invadendo le strade e le piazze per contestare la dimensione strutturale della violenza sulle donne. L’enorme successo dello sciopero, le cui immagini hanno viaggiato in tutto il mondo, ha dato il la a un’organizzazione femminista capillare in tutte le città e i quartieri spagnoli. Sull’onda dello sciopero, in ogni luogo le donne si stanno organizzando consapevoli della forza che possono collettivamente esercitare per mettere radicalmente in crisi i rapporti patriarcali di potere che la percorrono. È questa capillarità e la consapevolezza di questa forza che esploderà il prossimo 8 marzo con lo sciopero della produzione e della riproduzione. Nel movimento, molte donne migranti hanno creato una commissione con l’intenzione di unire il rifiuto dell’oppressione patriarcale al rifiuto del razzismo, poiché si tratta di due facce dello stesso attacco che i governi conservatori-neoliberali stanno conducendo a livello globale. In più, dopo l’assemblea transnazionale tenutasi a gennaio a Valencia in preparazione dell’8M, è evidente l’intenzione di incrementare la comunicazione transnazionale. Lo sciopero globale femminista è allora l’occasione per creare uno schieramento transnazionale, che, senza rinunciare all’eterogeneità delle sue componenti, possa rompere le gerarchie e la frammentazione e affermare una pretesa comune di libertà.
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Transnational Social Strike Platform: L’anno scorso l’8 marzo 5 milioni di persone hanno preso parte allo sciopero delle donne in Spagna. La partecipazione di massa – insieme alla dimensione globale dello sciopero dell’8M – è un chiaro segno della protesta contro la dimensione strutturale della violenza sulle donne, che riguarda l’intera organizzazione della società. In molti paesi lo sciopero ha contestato anche i governi neoliberali, patriarcali e razzisti, mobilitando non solo le donne, ma anche tutti coloro che intendono contestarli. Come state discutendo del potenziale di mobilitazione dello sciopero? Quali posizioni diverse sono emerse rispetto alla possibilità di uno sciopero separatista?
Laura Casielles: Nell’organizzare la mobilitazione dell’anno scorso è emersa un’idea che ci è piaciuta molto: mai nel corso della storia uno sciopero è stato davvero generale, sebbene qualcuno lo chiamasse così, nella misura in cui tutto il lavoro delle donne (il lavoro riproduttivo e di cura) non si è mai fermato. Discutere, mediante la sua stessa costruzione, di come sarebbe stato uno sciopero femminista capace di superare il concetto tradizionale di sciopero è stata la sfida maggiore che ci siamo poste. Un punto fondamentale era che riuscisse a coinvolgere tutti gli ambiti della nostra vita perché tutti sono pervasi dal patriarcato. Un altro era che potessero prendervi parte tutte le donne che volevano farlo, per precaria che fosse la loro situazione. È per questo che sono stati pensati quattro tipi di sciopero: produttivo, riproduttivo, studentesco e del consumo. E, soprattutto, c’era una prospettiva: che non ci fosse un modo di scioperare migliore di altri, che l’importante fosse chiedersi «cosa succede se sciopero». E questo è stato ottenuto: qualunque fosse la risposta, migliaia di donne si sono fatte questa domanda e ciò ha aiutato a prendere coscienza delle disuguaglianze, a conferire valore a mansioni invisibili o svalutate, a capire che i problemi di ciascuna non erano solo individuali. È stato soprattutto questo l’8M del 2018: un’immensa presa di coscienza collettiva.
TSS: Due mesi fa, Vox, un partito fascista, razzista e patriarcale è stato eletto per la prima volta in parlamento. La sua proposta di toglierei finanziamenti alla legge contro la violenza di genere e le posizioni anti-abortiste sono un attacco diretto alle donne. Come vi state organizzando per contrastarlo? L’8 marzo sarà per voi un’opportunità di contrattaccare?
LC: Il nostro movimento non è una reazione a qualcosa. C’eravamo da prima e continueremo anche dopo, per costruire un altro modello di società che contesti le basi stesse del sistema attuale. Il femminismo non dipende da eventi congiunturali né può cadere nella trappola dell’immediato, la sua prospettiva è più ampia e non può essere un paraurti. Chiaramente ci poniamo agli antipodi di ciò che propongono le voci reazionarie che, in tutto il mondo, vogliono ridurre i diritti e attaccare le libertà; ci troveranno pronte ad affrontarli. Però noi affermiamo che la miglior forma di resistere è avanzare. Continuiamo a costruire. Il nostro orizzonte è cambiare la società, le forme di vivere e pensare il mondo.
TSS: Che ruolo ha avuto la chiamata dei sindacati nell’incredibile successo dello sciopero delle donne nel 2018? L’anno scorso i sindacati hanno dichiarato solo due ore di sciopero, mentre quest’anno avete chiamato uno sciopero di 24 ore: i sindacati daranno il loro supporto?
LC: È importante ricordare che lo sciopero nella produzione è solo un pezzo dello sciopero. Gli scioperi riproduttivo, dei consumi e studentesco sono stati fondamentali, soprattutto nella misura in cui sono stati quelli che hanno permesso di scioperare a tutte le donne, che avessero o meno un lavoro salariato, qualunque fosse la loro situazione di precarietà o vulnerabilità. L’appoggio dei vari sindacati minoritari che hanno chiamato 24 ore di sciopero è stato importante perché ha dato la copertura legale necessaria alla mobilitazione, mentre i due sindacati principali hanno proclamato effettivamente solo due ore di sciopero, sebbene poi tutti volessero salire sul carro del vincitore. Ad ogni modo, ciò che noi donne abbiamo dimostrato quel giorno è che è possibile organizzarci, al di là delle strutture tradizionali. Anche sul piano lavorativo ci sono state preziose iniziative al di là dei sindacati: in molti settori sono nati collettivi categoriali per lo sciopero come «Le giornaliste scioperano», «Le donne della sanità scioperano», «Le donne del teatro e del cinema scioperano»… Questo è ciò che abbiamo dimostrato: che non abbiamo bisogno né del permesso né dell’aiuto di nessuno, che possiamo decidere autonomamente di scioperare… e bloccare tutto.
TSS: Dopo lo sciopero delle donne del 2018 alcune migranti hanno espresso la volontà di avere la propria commissione dentro l’organizzazione nazionale dello sciopero. Quali sono le loro rivendicazioni? Qual è il rapporto della commissione con le lotte dei migranti in generale?
LC: La Commissione 8M, che è lo spazio in cui si organizzano da quarant’anni le mobilitazioni di questo giorno, non risponde a una logica rappresentativa. Le donne che vi partecipano lo fanno a titolo personale, indipendentemente dai collettivi o dalle organizzazioni in cui militano fuori da lì. L’anno scorso è le compagne migranti e razzializzate si sono sentite poco rappresentate, per questo molte hanno deciso di formare una sezione della Commissione e il lavoro di tutte ne è stato molto arricchito con le loro prospettive e domande. Ma già l’anno scorso, e negli anni precedenti, c’erano molte compagne migranti che portano avanti un lavoro molto rilevante e danno visibilità all’intersezionalità delle loro lotte. Fortunatamente stiamo imparando e crescendo. E ancora mancano all’appello moltissime donne. La sfida è di arrivare a tutte.
TSS: Come state affrontando il problema di organizzare e rendere visibile lo sciopero riproduttivo e quello delle lavoratrici precarie?
LC: Sono stati gli ambiti più difficili da organizzare, ma è stata anche la sfida più emozionante e che ha avuto più impatto. Ogni donna ha dovuto immaginare come praticare lo sciopero del lavoro di cura, come interrompere il lavoro domestico o l’assistenza alle persone dipendenti. Lo si è fatto in modi diversi. Porsi questa domanda è stato un punto di svolta per tante: l’assenza ha fatto uscire fuori dall’invisibilità molte cose. Per quanto riguarda le lavoratrici più precarie, la loro situazione era al centro delle rivendicazioni di tutte ed era chiaro che chi non poteva partecipare allo sciopero nella produzione a causa della propria condizione di precarietà aveva molti altri modi per unirsi alla protesta. In realtà, mostrare questa vulnerabilità era uno degli obiettivi. L’impossibilità di scioperare è uno dei motivi per i quali scioperiamo. Vi sono modi simbolici di dare visibilità allo sciopero nelle case. Per esempio, appendere i grembiuli al balcone era un gesto di appoggio da parte delle lavoratrici domestiche che magari non potevano scioperare, ma si sentivano coinvolte nella mobilitazione. Lo sciopero femminista non consiste solo nello scioperare: sciopero è qualunque cosa si faccia come parte di questa mobilitazione.
TSS: Nella Commissione 8M c’è una commissione internazionale. In che modo state facendo i conti con la dimensione transnazionale dello sciopero delle donne?
LC: Per noi è chiaro che la dimensione internazionale dello sciopero è fondamentale e ancor più quest’anno. Il patriarcato attraversa le frontiere: le nostre lotte devono romperle. Il patriarcato è globale come lo è l’attuale offensiva reazionaria, per questo anche la nostra mobilitazione deve esserlo. Dobbiamo incontrarci, coordinarci, intessere reti che tengano conto delle particolarità di ogni territorio ma anche di una prospettiva comune. Ci sono fenomeni che si capiscono solo guardando la mappa completa, come le catene globali della cura o le implicazioni che il nostro modello di consumo ha per le lavoratrici dell’altra parte del mondo. Il femminismo mette in discussione anche un ordine internazionale basato sulle disuguaglianze, la violenza e le esclusioni. I diritti non saranno tali finché non saranno per tutti. Come dicono le compagne brasiliane, qui nessuna lascia andare la mano di nessuna.