di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
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Il movimento dello sciopero sociale che ha combattuto due anni fa contro la loi travail e il suo mondo sta tornando a occupare le strade della Francia. D’altra parte, le politiche neoliberali di Macron puntano a realizzare veramente il mondo che la loi travail annunciava. Procedendo per decreti e saltando la discussione in Parlamento, Macron non sta semplicemente attaccando questo o quel lavoro, ma vuole operare una violenta riorganizzazione della società francese nel suo complesso. Questo dicono le già annunciate riforme della televisione e della radio pubblica, dell’asilo e dell’immigrazione, delle pensioni, della fiscalità generale, della funzione pubblica, degli alloggi popolari, dell’agricoltura e dell’alimentazione, della disoccupazione, della formazione professionale e dell’istruzione.
L’offensiva neoliberale di Macron non poteva perciò passare sotto silenzio. Già il 22 marzo c’è stato un grande sciopero della funzione pubblica e dei ferrovieri, per rispondere al tentativo del presidente francese di aprire la società che gestisce le ferrovie francesi ‒ la SNFC ‒ alla concorrenza, anticipando la scadenza imposta dai regolamenti europei che prevedono la liberalizzazione delle tratte ad alta velocità dal 2020 e di tutte le tratta di servizio pubblico entro il 2023, con alcune eccezioni minori. Il progetto di Macron prevede di fare della SNCF una sorta di società per azioni, avviandola a una progressiva privatizzazione che ricorda quanto già avvenuto per la compagnia greca Trainose, molto più piccola, in seguito all’intervento della Troika. A questo si associa il tentativo di abolire lo Statuto dei Lavoratori della Ferrovia, inserendo così anche gli cheminots ‒ i ferrovieri ‒ e più in generale i lavoratori del settore pubblico nel regime di flessibilizzazione e precarizzazione che investe ormai tutto il mondo del lavoro. Come i lavoratori francesi hanno immediatamente capito, il problema non è tanto la difesa del pubblico statale, non è solo il piano industriale di una grande azienda, ma le future possibilità materiali di difendere le proprie condizioni di vita prima ancora che di lavoro. Si tratta cioè dell’opposizione a un modello di società che sottrae alle donne e agli uomini ogni spazio autonomo di determinazione della propria esistenza.
Una risposta ancora più forte c’è stata il 3 aprile, quando allo sciopero chiamato dai ferrovieri si sono uniti i lavoratori del settore energetico, i netturbini, i lavoratori di Air France e di Carrefour, gli ospedalieri, pensionati, disoccupati e tantissimi liceali e studenti in lotta contro il «Parcoursup», cioè la selezione per entrare all’università. Lo sciopero industriale è diventato così anche metropolitano, divampando in numerose città francesi, grazie alla contemporaneità e al ritmo di scioperi diversi – come quello dei lavoratori migranti che ha portato pochi giorni fa alla regolarizzazione di 160 sans papiers, o quello dei precari dell’istruzione che ci sarà fra pochi giorni. Con dozzine di occupazioni delle università e assemblee da migliaia di studenti e studentesse, un’ondata eccezionale di mobilitazioni universitarie si sta imponendo, insieme a un programma serrato di manifestazioni nazionali per i mesi a venire.
La forza del movimento dello sciopero sociale è quella di trascendere le rivendicazioni dei singoli settori. Non siamo di fronte a scioperi in difesa dei lavori, come la propaganda di Macron vorrebbe far credere, per poi etichettare immediatamente le attuali condizioni di lavoro come degli antiquati privilegi. Ciascuno ha certamente specifici motivi per incrociare le braccia – i netturbini chiedono un servizio nazionale per la raccolta dei rifiuti e condizioni contrattuali e salariali più stabili e omogenee, i lavoratori Air France reclamano aumenti salariali, i lavoratori del pubblico e dei servizi chiedono uno statuto comune, i lavoratori di Carrefour protestano contro gli esorbitanti tagli del personale, gli studenti contestano le selezioni per l’ammissione all’università – ma tutti scendono in piazza insieme per costruire connessioni, per affermare una forza comune, sapendo che limitarsi alle singole vertenze è del tutto insufficiente di fronte a un attacco sistematico e globale che ha la pretesa di riordinare l’intero assetto della società. Anche se Macron ha scaltramente cercato di dividere i lavoratori moltiplicando e diversificando le ordinanze per ciascun settore, la risposta venuta dalle piazze mostra che la strategia del capo di «en Marche» è stata capita perfettamente: lo schieramento del settore pubblico a fianco a quello privato, al settore sanitario e agli studenti rappresenta una marcia in senso opposto e contrario a quella prevista da Macron.
Senza dubbio è presto per dare un giudizio definitivo: molte sono già le mobilitazioni chiamate per le settimane e addirittura i mesi a venire. Si tratta di vedere se esse sapranno effettivamente dare continuità e organizzazione al movimento dello sciopero sociale così da superare i limiti su cui si è imbattuta la pur massiccia mobilitazione contro la «loi travail e il suo mondo» degli scorsi anni. Le esperienze passate, soprattutto in Francia, dimostrano infatti che non può essere né la dimensione di piazza né il solo ampliamento dell’astensione dal lavoro ad altre categorie a dare il segno della crescita del movimento dello sciopero, ma la sua declinazione politica e la sua capacità di proiettarsi sul piano transnazionale. L’urgenza di spingere queste lotte oltre i confini nazionali non è l’affermazione di un principio astratto. È necessario cogliere la dimensione almeno europea di una ristrutturazione neoliberale che sembra non raggiungere mai il suo limite, che trova sempre qualche altro settore da precarizzare, che individua sempre un paese da imporre come modello agli altri, che è in grado di scovare sempre nuovi nemici come fa oggi con i migranti, che punta a una società nella quale ognuno deve sempre temere la concorrenza dell’altro. Proprio per questo deve essere chiaro che oggi in Francia non c’è un modello francese da difendere, ma un fronte di lotta europeo da costruire. Si tratta semplicemente di non lasciarsi indicare le priorità dai nostri nemici, ma di scegliere giorno dopo giorno con chi vogliamo costruire il nostro mondo.
La sfida è aperta. In Francia, in Europa e oltre.