Pubblichiamo la postfazione a Figure del lavoro contemporaneo. Un’inchiesta sui nuovi regimi della produzione, a cura di Carlotta Benvegnù e Francesco M. Iannuzzi, appena uscito per la casa editrice ombre corte.
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Questo volume nasce grazie alla passione di giovani ricercatori e ricercatrici per la ricerca empirica e il dibattito pubblico. I saggi sono il risultato della loro discesa nei laboratori della produzione dei quali essi hanno sviluppato un’ampia conoscenza grazie sia alla capacità di padroneggiare adeguate tecniche di ricerca qualitativa, sia alla loro disponibilità a confrontarsi con quanti sostengono quotidianamente questi processi di valorizzazione. Si tratta di processi lavorativi molto diversi che si avvalgono di una forza lavoro eterogenea a cui è solitamente richiesto di modulare contemporaneamente sforzo muscolare e cognitivo. I lunghi periodi di ricerca e di riflessione permettono agli autori di analizzare non solo i processi di precarizzazione e di resistenza che hanno preso forma nella lunga crisi economica italiana, ma anche di esplorare i percorsi delle insorgenti soggettività che cercano di emanciparsi dalle forme più brutali di sfruttamento. Il volume non ha la pretesa di analizzare sistematicamente i vari processi produttivi italiani, quanto di far emergere come l’attuale fase di sviluppo capitalistico contiene forme del lavoro disparate. Lungi dall’essere sedotti dallo scintillio delle nuove tecnologie, i curatori hanno raccolto contributi che danno conto delle diverse e spesso contrastanti figure del lavoro contemporaneo.
L’elemento di originalità è senza dubbio quello di ipotizzare che i rapporti lavorativi siano attraversati da una tensione continua in luoghi di lavoro nei quali si connettono esperienze di vita e di lavoro che si sono sviluppate talvolta a migliaia di chilometri l’una dall’altra e che hanno dovuto fare i conti con diversi regimi politici e legislativi. Ciascuno di questi luoghi di lavoro contiene infatti una diversa composizione della forza lavoro con le sue specifiche gerarchie basate su elementi quali il genere, il colore della pelle, la cittadinanza. Le ricerche qui presentate evidenziano come di fronte alle molte differenze permangono alcune analogie, rendendo chiaro che il luogo di lavoro non costituisce lo spazio in cui le diversità si appianano, ma che esso può costituire un momento di convergenza. Diventa così chiaro che la lunga campagna dai toni razzisti contro l’immigrazione «incontrollata» in Italia, così come nel resto dell’Europa, mira in realtà a selezionare e stratificare una forza lavoro che rimane indisponibile a riprodursi in quei paesi, quelli cosiddetti di origine, dove le forme del lavoro coatto hanno ripreso vigore.
Per un lungo periodo nei sistemi di occupazioni occidentali la precarietà è stata considerata una condizione di alcune fasce giudicate marginali, mentre era generalmente sottointeso che essa costituiva la regola nei cosiddetti paesi del Sud del mondo. Oggi, in Occidente la condizione delle cosiddette fasce marginali comincia a manifestarsi come un’esperienza ormai diffusa e vissuta direttamente o indirettamente anche da chi ha un’occupazione standard. Il mercato del lavoro si è infatti progressivamente ingrigito e le categorie del dualismo sono incapaci di spiegare i meccanismi del suo funzionamento. Lo sfrangiamento delle categorie di occupato e disoccupato non intacca più solo i giovani, le donne e i migranti ma anche una parte consistente degli uomini adulti. Le esperienze di lavoro sono incoerenti e instabili, finendo per atomizzare non solo le carriere personali ma anche i percorsi legati all’appartenenza di categoria sindacale.
I processi di precarizzazione che hanno investito larga parte dei paesi occidentali sono stati sovente contrapposti a quella che è stata definita l’epoca dei trent’anni gloriosi, vale a dire il periodo che va dal secondo dopoguerra ai primi anni Settanta, epoca che sarebbe stata caratterizzata da occupazioni stabili e ampia sicurezza sociale (Boyer 2007). Tuttavia, se analizzati in una prospettiva storica, lavori instabili e scarsa regolazione nell’occupazione sono più la regola che l’eccezione (Mosoetsa et al. 2016). Nel secondo dopoguerra, lo sviluppo industriale in Occidente e in Giappone aveva influenzato le scienze sociali che si erano motivate nel rendere conto del «lavoratore» come colui o colei che rimane occupato per lungo tempo in una singola impresa (van der Linden 2008). I saggi qui raccolti evitano accuratamente di cadere in queste semplificazioni, ricostruendo le biografie di lavoratrici e lavoratori che sono passati attraverso varie fasi di precarietà, intervallate talvolta da una maggiore sicurezza sociale e lavorativa. Incertezza contrattuale e più in generale sul tempo di lavoro, variabilità dell’intensità della prestazione e instabilità del salario e delle forme di sicurezza sociale sono alcuni degli elementi di cui fa esperienza la manodopera nei processi lavorativi contemporanei.
Questa insicurezza si è allargata con la frammentazione dei cicli produttivi, gestiti oggi grazie a lunghe catene del valore. La diffusione del cosiddetto «capitalismo del subappalto» (Wills 2009) ha aumentato lo sventagliamento delle condizioni di lavoro rendendo sovente complicata la stessa rappresentazione della condizione lavorativa. La trasformazione delle strutture produttive ha quindi moltiplicato e differenziato le situazioni lavorative attraverso l’esternalizzazione di parti sempre più ampie del ciclo produttivo, quando addirittura non costruite in toto esternamente come evidenziano i casi di Foodora e di Uber. Dove questa centralizzazione del comando senza concentrazione di forza lavoro (Harrison 1999) non è possibile, il collettivo lavorante viene suddiviso al suo interno attraverso la proliferazione dei contratti di lavoro o, addirittura, attraverso inquadramenti in figure di stagisti e tirocinanti. In entrambi i casi, l’obiettivo pare essere quello di collocare parti sempre più ampie di forza lavoro ai margini e talvolta anche all’esterno della contrattazione collettiva, rendendo complicati i processi di sindacalizzazione.
La tracimazione dei processi lavorativi nella sfera della riproduzione sociale risponde alle esigenze della concorrenza economica che pretende una sempre più puntuale sincronizzazione delle diverse attività. Ma il just-in-time produttivo diventa il just-in-time della vita (Andrijasevic, Sacchetto 2017). Le necessità di fluidificazione dei processi lavorativi richiedono una cooperazione continua di soggetti che possono trovarsi anche in spazi non contigui, finendo per produrre un’accelerazione complessiva delle attività individuali (Rosa 2015; Wajcman, Dodd 2017). I sistemi informatici e telematici garantiscono la possibilità di coinvolgere in modo ininterrotto la forza lavoro (secondo l’espressione 24/7, cioè perennemente in attività) che rimane inserita in rapporti gerarchici e sottoposta a un controllo a distanza sempre più pervasivo. La rottura dei confini tra lavoro e non lavoro non costituisce tanto il ritorno all’epoca pre-industriale, quanto una tensione lavorativa continua che è sovente fonte di ansia e di stress per la forza lavoro.
Nell’attuale fase economica non solo i lavoratori sperimentano lunghi processi di precarizzazione, ma si ritrovano in situazioni lavorative dove è frequente il timore della caduta nella precarietà. Il deterioramento delle condizioni di lavoro interessa oggi tutti i lavoratori, dipendenti pubblici compresi, con uno slittamento complessivo che non intacca certo la stratificazione di genere, colore della pelle e cittadinanza. Sono sostanzialmente falliti i tentativi delle parti sociali di gestire una precarizzazione limitata alle fasce marginali del mercato del lavoro al fine di salvaguardare il nucleo di occupati stabili. E la crisi ha acuito tale fallimento allargando a dismisura la platea dei potenziali precari. Le cosiddette flessibilità nel mercato del lavoro introdotte negli ultimi vent’anni non sembrano aver reso più competitivo il sistema-paese, quanto spinto la forza lavoro nei meandri dei bassi salari (Eurofound 2017) oppure a votare con i piedi, migrando all’estero (Sanguinetti 2016). La riduzione dei rapporti di lavoro a un nudo scambio di prestazione contro denaro erode infatti i diritti lavorativi e sociali escludendo strati sempre più ampi di forza lavoro dalla copertura legale e dalla contrattazione collettiva.
Questo volume ha tra l’altro il merito di porre in risalto come stanno trasformandosi i rapporti sociali e lavorativi quotidiani sotto la pressione della concorrenza economica internazionale. L’effetto di queste pressioni non è però solo quello di un diffuso senso d’isolamento e impotenza tra lavoratori e lavoratrici, ma anche quello contrario, ossia di un lento e precario tentativo di convergenza anche a costo di tradire i legami ancestrali del privilegio del colore della pelle. È pur vero che i processi di solidarietà, bene analizzati in questo volume, si esprimono quasi sempre a fronte di situazioni di crisi economica o di deteriorate condizioni di lavoro. Tuttavia le forme di resistenza allo sfruttamento più feroce possono forse costituire un primo passo verso modalità di emancipazione ampie e capaci di contenere gli spazi dei sostenitori dell’accumulazione a ogni costo. La multidimensionalità delle caratteristiche della forza lavoro è spesso cruciale nel determinare la posizione lavorativa e le forme della gerarchia. Tuttavia, come le situazioni lavorative descritte in questo volume indicano, i medesimi elementi che segmentano la forza lavoro possono costituire la base per veicolare la comunicazione politica tra lavoratori e lavoratrici. In effetti, nelle analisi qui presentate emerge con forza sia la crisi sindacale sia la costante necessità di costruire organizzazioni collettive all’altezza di un lavoro che si presenta mobile e informale e che risponde a cicli produttivi sempre più inseriti nell’economia internazionale.
Occorre essere grati a questi giovani ricercatori e ricercatrici per un’attenzione non comune a quanti sostengono i processi lavorativi quotidiani. La loro disponibilità all’ascolto e all’analisi, che emerge con chiarezza dagli articoli qui presentati, riflette un forte interesse all’impatto sulla vita quotidiana e sui rapporti sociali delle trasformazioni lavorative. Siamo certi che i loro studi non sono episodiche incursioni nel mondo del lavoro, ma che preludono a un’attività scientifica che li impegnerà ancora a lungo.
Riferimenti bibliografici
Andrijasevic R., Sacchetto D. (2017), Il just-in-time della vita. Reti di produzione globale e compressione spazio-temporale alla Foxconn, in «Stato e mercato», n. 3, pp. 383-420.
Boyer R. (2007), Fordismo e postfordismo. Il pensiero regolazionista, Università Bocconi Editore, Milano.
Eurofound (2017), In-work Poverty in the EU, Publications Office of the European Union, Eurofound, Luxembourg.
Harrison B. (1999), Agile e snella, Edizioni Lavoro, Roma.
Linden van der M. (2008), Workers of the World. Essays Toward a Global Labor History, Brill, Leiden.
Mosoetsa S. ‒ Stillerman J. ‒ Tilly C. (2016), Precarious Labor, South and North: An Introduction, in «International Labor and Working-Class History», n. 89, pp. 5-19.
Rosa H. (2015), Accelerazione e alienazione, Einaudi, Torino.
Sanguinetti A. (2016), Nuove migrazioni italiane in Germania. In fuga dalla crisi, in «Mondi Migranti», n. 3, pp. 65-78.
Wajcman J., Dodd N. (2017) (a cura di), The Sociology of Speed, Oxford University Press, Oxford.
Wills J. (2009), Subcontracting and its Challenge to Labor, in «Labor Studies Journal», n. 34, pp. 441-460.