di SARAH KIM – SARAH LIZ DEGERHAMMER — Feministisk Strejk Stockholm
→ dal reader Power Upside Down: Women’s Global Strike, a cura della Transnational Social Strike Platform; leggi anche l’Introduzione, Le donne attaccano l’impero: lo sciopero femminista negli Stati Uniti, di Cinzia Arruzza e Verso lo sciopero internazionale delle donne. L’esperienza spagnola, di Marea Granate – Femigrantes.
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L’anno scorso in Svezia, in risposta alla chiamata per uno sciopero globale femminista, si è formato un gruppo di scioperanti femministe in sinergia con le migliaia di donne che si sono organizzate in tutto il mondo. Abbiamo girato un film sul movimento per lo sciopero transnazionale e abbiamo organizzato una manifestazione l’8 marzo in nome dello sciopero femminista. Con nostra grande delusione, tuttavia, l’iniziativa non ha preso piede come in altri paesi, dove la pratica organizzativa dal basso ha permesso di costruire strutture per ampliare lo sciopero e ha persino rafforzato le connessioni con i sindacati, i collettivi femministi, ecc. Ci è mancato il potere mobilitante e una rabbia collettiva su scala più ampia.
Forse però si è trattato solo di un effetto ritardato. Mentre quest’autunno il movimento #metoo acquisiva centralità, è apparsa subito una tendenza: i gruppi di #metoo in Svezia si sono organizzati secondo le professioni e denunciando il doppio sfruttamento sul lavoro. Oltre 60 dichiarazioni sono state pubblicate da diversi gruppi #metoo e in seguito a questa ondata sono state destituite figure di rilievo e dirigenti in diversi campi. La possibilità che il movimento #metoo diventi un vero e proprio atto di sollevazione delle lavoratrici sembra realistica. Il lavoro da fare nell’immediato è quello di incoraggiarci a vicenda, di sfruttare il potenziale di trasformazione in questa tendenza. Alcune di noi che l’anno scorso hanno contribuito allo sciopero femminista in Svezia propongono, alla luce di quella esperienza, lo sciopero come un’alternativa ad altre azioni proposte all’interno del movimento. Tuttavia, sembra che i cicli di mobilitazione radicali siano destinati a incontrare contraccolpi e battute d’arresto. Sfortunatamente, il consenso di questo massiccio movimento di donne lavoratrici è sfociato in azioni deboli, come parlare con i politici e organizzare seminari all’interno di istituzioni patriarcali a cui alla fine si è persino grate per aver accettato le proposte.
Abbiamo ragionato sul fatto che il mondo e la storia hanno dimostrato che le donne ottengono diritti, condizioni migliori, pace e cibo attraverso lo sciopero. Ma questa indicazione non ha avuto sufficiente risonanza quando l’abbiamo presentato ad alcuni gruppi #metoo. Purtroppo. Alcune hanno affermato che scioperare è un privilegio, altre ritengono che quando le donne si rifiutano di lavorare per un giorno o due si finisce per danneggiare altre donne (la direttrice, la paziente). Alcune sono convinte del fatto che uno sciopero delle donne non è uno sciopero «reale». Che non è possibile scioperare in quanto donne. Se questo è vero, renderlo possibile è proprio l’obiettivo per il quale dobbiamo lottare.
Da noi ci si aspetta che siamo grate per il nostro lavoro, quando in realtà il lavoro ci serve per sopravvivere e il nostro lavoro domestico è una necessità per l’economia nel suo complesso. Considerando il doppio sfruttamento delle donne, è doppiamente importante usare l’arma dello sciopero. Siamo nella situazione in cui ci troviamo perché non viviamo le stesse condizioni degli uomini sul lavoro, nelle nostre case e per le strade. Invocare lo sciopero come elemento centrale nella questione #metoo significa sottolineare che siamo in molte senza diritti nei nostri luoghi di lavoro e che il nostro luogo di lavoro è ovunque. Quando proclamiamo lo sciopero delle donne, raccogliamo lo slancio della campagna #metoo contro la violenza sessuale maschile affinché quella campagna non sia soltanto un appello a essere trattate con rispetto. In questo modo, rovesciamo i rapporti di potere a nostro vantaggio per mostrare la nostra forza e cambiare la società dalle fondamenta.
Portiamo questa società sulle nostre spalle, con i nostri sorrisi e con il nostro lavoro emotivo e riproduttivo, siamo la qualità della vita di tutta la comunità e chi le dà vita. Negli ospedali, nelle case e negli appartamenti, nelle assemblee, negli asili, in qualsiasi corridoio o stanza nei luoghi di lavoro, rendiamo la vita un po’ migliore a chiunque si trovi a passare. È il lavoro che facciamo, è la maniera in cui veniamo sfruttate, ma anche ciò che possiamo riprenderci. Tuttavia, nel movimento delle lavoratrici svedesi poche osano davvero parlare di sciopero. Invece, vengono affrontate altre questioni come la denuncia dei privilegi e del debito personale. Non arriveremo molto lontano parlando con il ministro per l’uguaglianza di genere e scrivendo qualche emendamento complementare in un programma di partito. Sono questi stessi politici che stanno attivamente lavorando per eliminare il nostro diritto di sciopero.
Nirsin Abdullah, comandante dell’YPJ, l’unità di difesa delle donne del Rojava, ha recentemente tenuto un discorso a Stoccolma e ha sottolineato l’oppressione della donna come elemento di sostegno delle società non democratiche. Senza donne – cioè senza il nostro lavoro non retribuito e a basso costo ‒ esse non sarebbero nulla. Il sessismo, in questo senso, è un fondamento ideologico, una necessità per il capitalismo. Affinché tutte le persone, indipendentemente dal sesso, abbiano la possibilità di definirsi liberamente, deve essere costruita dalle fondamenta una nuova società le cui istituzioni funzionino in modo radicalmente diverso. Sì, Abdullah parla di una regione in guerra. La Siria settentrionale e le isole democratiche lì costruite in questo momento sono sotto attacco da parte dei turchi. Ma nonostante ciò, osano sognare e difendere un’altra società possibile. Le compagne di tutto il mondo in Spagna, Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Irlanda, Polonia, Argentina, e così via, espongono molto chiaramente i loro motivi per voler vivere in un mondo senza questo sistema capitalista di sfruttamento. Perché noi non osiamo? Il silenzio è stato infranto e #metoo ha aperto una vera discussione sulla disuguaglianza e sulla violenza contro le donne qui in Svezia, ma ora dobbiamo andare oltre e arrivare a vedere che la radice di questa oppressione non è solo nel patriarcato, ma anche nel capitalismo.
Lo sciopero delle donne è un movimento internazionale che individua il potere che dobbiamo rifiutare insieme e dimostra che non accettiamo questa violenza nelle nostre vite. A differenza di altre lotte in cui lo sciopero avanza richieste specifiche per i lavoratori, qui l’elemento sociale è un fattore vincolante attraverso il quale riconosciamo che dipendiamo le une dalle altre e che lo sfruttamento è ovunque e riguarda tutte noi. Pertanto, non importa quale sia il tuo background, genere, identità. Dobbiamo unirci e combattere insieme da tutte le direzioni. Lo sciopero delle donne offre una molteplicità di modi per partecipare. Il messaggio dello sciopero è lo sciopero stesso, perché mostra dove si trova il potere. È una dimostrazione di forza che consideriamo necessaria per massimizzare la nostra forza.