di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Pubblichiamo la traduzione italiana del documento conclusivo redatto in seguito all’assemblea della Transnational Social Strike Platform dello scorso 19-21 maggio a Lubiana.
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Come Piattaforma per lo sciopero sociale transnazionale abbiamo consolidato negli scorsi due anni un metodo e una visione. Il metodo consiste nel porre i cardini della nostra iniziativa transnazionale dentro il movimento di migranti, precarie e operai, uomini e donne, che combattono la costituzione neoliberale dell’Europa, scioperando e rifiutando le condizioni del loro sfruttamento e della loro oppressione. Lo sciopero sociale transnazionale è per noi il nome di un movimento reale di insubordinazione, che oltrepassa le strutture organizzate e i confini nazionali e che sta contrastando il neoliberalismo nelle sue basi materiali. Per un certo lasso di tempo, il neoliberalismo sembrava aver messo fuori gioco la possibilità di contestare radicalmente la subordinazione e di usare politicamente lo sciopero attraverso un’estrema precarizzazione, la frammentazione, lo sfruttamento del lavoro migrante. Questo periodo è finito e dobbiamo essere all’altezza di questo nuovo stato di cose. La visione consiste nel collocare la nostra iniziativa sulla scala transnazionale, avviando processi di organizzazione attraverso i confini e costruendo un discorso comune capace di contrattaccare la narrazione neoliberale dell’isolamento e dell’assenza di alternative e, allo stesso tempo, di individuare terreni comuni di lotta e di iniziativa politica.
Questo metodo e questa visione ci hanno portato nei Balcani: un centinaio di persone hanno partecipato alla tre giorni che ha avuto luogo a Lubiana a maggio 2017. Collettivi, sindacati di base e singoli da Francia, Germania, Gran Bretagna, Svezia, Italia, Macedonia, Croazia, Serbia, Slovenia, Grecia, Bulgaria e Ungheria hanno affrontato insieme la connessione tra i movimenti di massa dei migranti, il peggioramento delle condizioni lavorative e la riorganizzazione politica dello spazio europeo, che si realizza in maniera particolarmente visibile nei Balcani.
Durante le discussioni che hanno animato il meeting, molti rifugiati e gruppi attivi dal 2015 lungo la cosiddetta «rotta balcanica» hanno descritto il generale incremento di pratiche illegali e abusi sulla pelle dei migranti, che è seguito alla chiusura formale del corridoio balcanico. Respingimenti, detenzioni, pratiche amministrative e poliziesche arbitrarie stanno mettendo in pericolo la vita e la possibilità di avere accesso a una vita decente per centinaia di migliaia di migranti. Eppure, a partire dai tratti comuni che abbiamo riscontrato tra le nostre esperienze locali ‒ dalla Svezia all’Italia, dalla Gran Bretagna alla Serbia, dalla Grecia alla Germania – abbiamo insistito sull’esigenza di affrontare questa situazione al di fuori della logica dell’emergenza. La regione balcanica mostra, infatti, l’intrinseca connessione tra il violento governo europeo della mobilità e la precarizzazione del lavoro e della vita, che è una tendenza comune in tutto lo spazio europeo. Su questo sfondo, i Balcani non sono né una periferia, né un’eccezione, ma stanno al centro dell’Europa. Essi sono il luogo di inarrestabili movimenti dei migranti, sono stati il laboratorio di riforme neoliberali poi realizzate in altri paesi europei, e di proteste di massa contro queste riforme. La cosiddetta «crisi dei rifugiati» porta alla superficie la violenza sistematica che caratterizza tutta l’Europa di oggi.
Durante il meeting abbiamo discusso che cosa significa tarare la nostra iniziativa politica su queste connessioni materiali tra i Balcani e lo spazio europeo. Innanzitutto abbiamo riconosciuto che i movimenti dei migranti stanno sfidando profondamente la stabilità dell’Europa neoliberale nel suo complesso. I migranti stanno mettendo in crisi l’Europa e dobbiamo agire a livello transnazionale per approfondire questa crisi. I migranti stanno attraversando i confini senza sosta, non importa quanto duramente le istituzioni stiano cercando di fermarli. I migranti stanno abbattendo i confini, obbligando gli Stati ad agire sempre sul limite dell’illegalità, cioè a creare spazi fuori legge o situazioni in cui la violenza può essere esercitata in maniera arbitraria per fermare i loro ingovernabili movimenti. La UE e i suoi Stati sono costretti dallo sciopero dei migranti contro i confini a mostrare la loro faccia più autoritaria. Scioperando con i piedi, i migranti materializzano un nuovo significato dello sciopero come rifiuto del comando e della subordinazione, che oltrepassa di gran lunga la singola vertenza industriale e il singolo luogo di lavoro.
Inoltre, è emerso chiaramente che la violenza esercitata sui migranti non è altro che l’espressione più brutale della crescente violenza presente nella società, secondo cui ciascuno è «libero» di occuparsi solo di se stesso o se stessa, a patto che sia disponibile just in time per lavorare a qualsiasi condizione. L’attuale governo europeo della mobilità ha due facce correlate: la restrizione della possibilità di accedere a uno status legale per i migranti recentemente arrivati va di pari passo con il fatto che molti migranti che sono da più tempo in Europa vedono il loro permesso di soggiorno diventare sempre più temporaneo e precario. Questa situazione è una delle forze trainanti della precarizzazione del lavoro e della vita: senza documenti o con documenti sempre a rischio, i migranti sono sotto il ricatto del loro datore di lavoro e sono costretti a essere disponibili a lavorare a qualsiasi condizione di lavoro e salario, spesso senza accesso ai servizi di welfare. Il nesso tra la nuova cornice regolativa dell’ingresso di rifugiati e richiedenti asilo, il mercato del lavoro e il generale imperativo dell’occupabilità per tutti, migranti e non, richiedono nuove forme di organizzazione e nuove rivendicazioni.
Per cominciare, di fronte a questa situazione non è abbastanza scandalizzarsi per questo o quell’altra violazione della legge. Solo un permesso di soggiorno europeo senza condizioni può sostenere la lotta quotidiana dei migranti che comunque continuano ad attraversare i confini e a muoversi in Europa, contro la violenza, il ricatto dei trafficanti e dei padroni, il razzismo delle istituzioni e della polizia. Qualsiasi altra misura, che faccia distinzione tra chi ha e chi non ha diritto di entrare, tra paesi sicuri e non, tra rifugiati e migranti economici deve essere rifiutata come insufficiente e complice con l’attuale svolta autoritaria.
In più, il nostro obiettivo è di costruire ponti stabili tra le lotte per ottenere i documenti e il permesso di restare, e le lotte per il salario e il welfare, che sono centrali per tutti i lavoratori e le lavoratrici precarie. Libertà di movimento, salario e welfare rappresentano i punti di impatto su cui connettere e concentrare le energie eterogenee che stanno circolando nello spazio europeo. Le rivendicazioni che possiamo avanzare collettivamente su questi terreni, come il permesso di soggiorno europeo, il salario minimo europeo, il welfare europeo, non devono essere intese come tentativi di rimediare alle falle del sistema. Il nostro obiettivo è di approfondire la crisi dell’Europa agendo sulla stessa scala in cui agiscono i nostri nemici. Queste rivendicazioni devono avere due funzioni: innanzitutto indicano i terreni materiali su cui si dà il conflitto tra chi governa e comanda e chi si rifiuta di obbedire. In secondo luogo, stabiliscono che non saremo soddisfatti di nessuna soluzione che non sia quanto meno europea, contro i tentativi di placare l’insubordinazione concedendo briciole solo ad alcuni e non ad altri.
Abbiamo poi discusso a lungo le esperienze e gli esperimenti a cui abbiamo preso parte nei mesi scorsi e che hanno costruito ponti politici tra questi diversi terreni di lotta: dalla lotta contro la loi travail in Francia, allo sciopero dei migranti dopo la Brexit in Gran Bretagna, allo sciopero globale delle donne l’8 marzo scorso, che è stato capace di combattere la connessione tra la violenza, lo sfruttamento e l’oppressione che è specifica del neoliberalismo. Rifiutando il ruolo che la società assegna loro, le donne hanno mostrato in che modo lo sciopero può essere sociale e transnazionale, cioè una pratica globale di massa per trasformare il presente. Inoltre, nel contesto della discussione sulle trasformazioni logistiche della produzione e del comando sul lavoro, abbiamo riconosciuto un importante tentativo di stabilire ponti tra differenti terreni di lotta contro il neoliberalismo nell’organizzazione delle mobilitazioni contro il G20 ad Amburgo. Il piano di bloccare il porto e di portare lo sciopero nella città indica per noi l’esigenza di connettere l’opposizione all’agenda politica dei governi con il blocco della logistica, dei movimenti del capitale e della ricchezza. Questa esigenza va oltre un singolo evento come il G20 e apre nuove questioni per ripensare l’organizzazione e la mobilitazione.
Da qui abbiamo confermato il bisogno di allargare e approfondire la Piattaforma per lo sciopero sociale transnazionale come infrastruttura politica, ampliando le nostre conoscenze e le nostre capacità di intervento in luoghi e situazioni diversi. Anche con questo obiettivo, dopo esserci immersi in molti punti cruciali dello spazio europeo, vogliamo fare una tappa là dove abbiamo cominciato, cioè in Germania, portando la nostra discussione a Berlino in autunno. Abbiamo ulteriori domande da discutere e sviluppare: come possiamo affrontare la connessione tra la cornice istituzionale dell’Europa e i processi materiali con cui siamo venuti in contatto in questi anni? Come dare forza e visibilità all’attuale circolazione transnazionale dello sciopero? Come scioperare contro il neoliberalismo in tutte le sue facce?