di STEFANO VISENTIN
Pubblicato su «Il Manifesto» del 23 aprile 2016
Il furore neoliberista del governo argentino di Gustavo Macri non si ferma davanti a nulla. Nel mese scorso a farne le spese sono stati 240 impiegati della Biblioteca Nazionale a Buenos Aires (un quarto degli effettivi), licenziati sull’onda di una politica di tagli violenti al settore pubblico che ha già fatto migliaia di vittime. Se è vero che dal 2005 questa importante istituzione ha aumentato significativamente il suo personale, è anche vero che sotto la direzione di Horacio González essa ha incrementato in maniera sostanziale il numero dei lettori, realizzando progetti di informatizzazione e di ricatalogazione del suo patrimonio e progettando numerose attività che hanno contribuito a rivitalizzare il panorama culturale del paese. Nel corso degli ultimi anni, la Biblioteca Nazionale ha dimostrato la capacità di aprirsi alla cittadinanza, contribuendo a democratizzare il sapere e a valorizzare il pluralismo delle opinioni attraverso dibattiti, conferenze e una miriade di altre iniziative. Ora, con il taglio di oltre un quarto della forza lavoro che impiegava, sono a rischio non solo la gestione dei nuovi servizi informatici e digitali, ma anche il ruolo fondamentale che essa ha avuto nel favorire la libertà di pensiero e lo scambio tra il mondo della cultura e il resto del paese.
Per queste ragioni non solo vi è stata una mobilitazione sindacale (alla quale il governo ha risposto schierando le forze di polizia davanti alla Biblioteca), ma anche un attivo sostegno da parte di cerchie molto più ampie: oltre duemila universitari argentini si sono pronunciati contro i licenziamenti, e successivamente più di 400 intellettuali di tutto il mondo (tra i quali Marc Augé, Etienne Balibar, Judith Butler, il Nobel per la letteratura John Cotzee, Boaventura de Souza Santos, Nancy Fraser, Toni Negri, Saskia Sassen, Enzo Traverso, Yanis Varoufakis) hanno firmato una lettera, nella quale si chiede al Ministro della Cultura argentino di fare chiarezza sui progetti del governo riguardanti la sorte della Biblioteca, e più in generale sul ruolo dello Stato nel sostenere e incrementare la cultura e l’istruzione popolare. Come recita la lettera, «un’istituzione storica bicentenaria, che ha iniziato la sua modernizzazione nel campo bibliotecario diversificando al contempo le sue attività culturali, si vede penalizzata in questo modo con misure senza giustificazione, che configurano un’esplicita negazione di diritti, rimuovendo specialisti formati, lavoratori con esperienza specifica e credenziali accademiche, e distruggendo i gruppi di lavoro di cui facevano parte». Questo fatto, continua il testo della petizione, apre pesanti interrogativi circa la volontà dell’attuale governo di proseguire sulla strada di un intervento statale nell’ambito della cultura e della formazione diffusa, importante per la vita di un paese tanto quanto l’istruzione pubblica. Per questo, il licenziamento di massa, «oltre al danno causato ai lavoratori licenziati e alle loro famiglie, costituisce un attacco alla Biblioteca Nazionale come spazio democratico di espressione e luogo di articolazione con saperi universitari, manifestazioni artistiche, iniziative editoriali, produzione letteraria e intellettuale».
Se Jorge Luis Borges, direttore della Biblioteca dal 1955 al 1973, scrisse di essersi sempre immaginato il paradiso come una sorta di biblioteca, allora si può ben dire che Macri e la sua politica stiano spingendo, giorno dopo giorno, l’Argentina verso l’inferno.