di MILENA TRAJKOVSKA
Il 12 maggio il ministro degli affari interni Gordana Janculovska e il ministro dei trasporti e delle relazioni estere Mile Janakievski hanno dato le dimissioni, ma ciò non è servito a placare le contestazioni da parte del popolo macedone. Il 13 maggio i manifestanti sono scesi nuovamente in piazza, chiedendo le dimissioni di tutto il governo e confermando la mobilitazione del 17 maggio.
I recenti eventi accaduti in Macedonia, in particolare a Kumanovo, città di frontiera con il Kosovo e a 30 km dalla capitale Skopje, hanno portato terrore e incredulità negli occhi degli abitanti della piccola cittadina di frontiera. Gli scontri a fuoco sono durati due giorni. La polizia e l’esercito Macedone hanno fronteggiato un gruppo armato di circa 70 persone che ha occupato la città di Kumanovo. Dopo i primi scontri a fuoco, il gruppo armato ha provato a costringere la popolazione locale a collaborare, ottenendo però un rifiuto.
Il gruppo armato, secondo le ultime notizie, era composto da 14 macedoni di nazionalità albanese e 14 albanesi provenienti dal Kosovo, mentre la composizione di una parte del gruppo rimane ancora sconosciuta. Tra gli arrestati c’è anche un poliziotto macedone. Il gruppo non ha una storia politica precedente e si è presentato sul territorio armato e in grado di sostenere un conflitto a fuoco per due giorni senza uscire dalla città di Kumanovo; non ha presentato nessun tipo di richiesta che giustificasse tale rabbia e l’uso delle armi. Già in passato si era assistito a una situazione simile: nel 2001, in circostanze diverse, l’uso delle armi provocò una tensione molto alta e una presa di posizione nazionalista da parte dei diversi gruppi etnici presenti sul territorio macedone. Non si tratta però della ripetizione di qualcosa di già visto: spalleggiato dai media, il governo sta cercando di fomentare l’instabilità fino alla guerra civile per deviare l’attenzione della popolazione macedone dalle politiche di austerità. Diversi compagni e compagne di Kumanovo non riconoscono il gruppo armato come l’espressione del terrorismo albanese, ma come un gruppo apolitico nato sotto la pressione di forze internazionali interessate a destabilizzare i Balcani finanziando sia i governi sia i gruppi d’opposizione anche attraverso l’intervento di realtà come Open Society, legata alla fondazione SOROS e ormai presente in ogni situazione di conflitto. La stessa sensazione la si ha tra compagni e compagne kosovari, che riconoscendo alcuni degli arrestati si pongono alcune domande: perché cittadini kosovari estranei alla politica decidono di armarsi e invadere la cittadina di Kumanovo? Quali sono le cause? Religiose, nazionaliste, oppure sono semplicemente armati da terzi? La verità è che è fin troppo facile, per il governo e per i media, interpretare la situazione come un «conflitto etnico» e puntare il dito su albanesi, kosovari e nazionalisti macedoni. La posta in gioco è invece quella del governo di un’area diventata ormai cruciale per il transito di merci, risorse e di forza lavoro migrante.
Il territorio macedone si trova nel bel mezzo di un conflitto d’interessi tra l’Unione europea, spalleggiata dall’amministrazione Obama, e la Russia di Putin. Dopo il rifiuto della Bulgaria, la Russia considera la Macedonia il nuovo snodo per la costruzione di un nuovo gasdotto, il «Turkish Stream», che dovrebbe raggiungere l’Europa centrale passando non più per l’Ucraina, ma attraverso la Turchia, la Grecia e, appunto, la Macedonia; l’Unione Europea e gli Usa considerano invece il TAP («Trans Adriatic Pipeline», che dovrebbe portare gas attraverso l’Albania all’Europa entrando da Brindisi) come una nuova linea d’indipendenza energetica dalla Russia. Nel progetto TAP, la Macedonia non viene considerata, ma essendo in procinto di entrare a far parte dell’Unione Europea viene notevolmente pressata per non accettare accordi con la Russia per il «Turkish Stream». Le stesse pressioni sono rivolte nei confronti della confinante Grecia, che ha già espresso un parere positivo al progetto russo, visti i buoni rapporti politici, ma che è ancora in trattative con l’Unione sulla firma del progetto. Per mettere a fuoco i rapporti di potere e le tensioni che attraversano quest’area, qualcuno ha cominciato a parlare di una «primavera macedone» che è destinata a esplodere se la Grecia non rinuncerà al «Turkish Stream».
Prima degli scontri armati, voci di protesta si erano levate da un gruppo auto-organizzato sorto in seguito agli scandali sulle intercettazioni telefoniche. Le intercettazioni telefoniche, che in Macedonia sono considerate dalla costituzione come una violazione della privacy, sono state messe on line sul canale YouTube dall’opposizione socialdemocratica, in maniera tale da essere accessibili a chiunque, e rivelano numerosi episodi di corruzione messi in atto tanto dai membri del governo quanto da quelli dell’opposizione. Non è da escludere che anche il caso delle intercettazioni sia stato sostenuto da organizzazioni interessate a produrre une destabilizzazione interna, e probabilmente il progetto sarebbe andato a buon fine se la popolazione non avesse alzato la testa contro la polizia e la sua violenza, costruendo una forza di contestazione indipendente dall’influenza internazionale, interessata a mantenere la pace all’interno dei confini dell’Unione mentre destabilizza i territori all’esterno delle sue frontiere. Per questo, non basta il riferimento allo scandalo per darsi ragione di uno scontro che ha portato a decine di morti e ferriti, un numero imprecisato di scomparsi e ingenti danni alle abitazioni civili.
Il gruppo auto-organizzato sulle intercettazioni ha un sostegno molto ampio da parte della popolazione macedone e comprende una parte degli studenti che hanno recentemente occupato le università della capitale, ottenendo un accordo con il governo che risponde almeno parzialmente alle loro richieste. Il gruppo dichiara di non essere né dalla parte della sinistra parlamentare né dalla parte della destra. Attualmente il movimento non ha prospettive future lucide ma combatte contro il malgoverno e il regime politico di destra e dichiara di volere un cambiamento radicale.
Ogni notizia e ogni intercettazione telefonica che viene caricata sul canale YouTube viene chiamata «bomba». La più violenta delle proteste, quella esplosa il 6 maggio scorso, è nata dopo l’uscita di una nuova «bomba» che rivelava l’identità dell’assassino di Martin Neshkovski, un ragazzo di 20 anni ucciso brutalmente l’anno scorso a Skopje, in Piazza Macedonia, durante i festeggiamenti per la vittoria del partito di destra VMRO. L’assassino è un poliziotto in servizio delle forze speciali TIGRE, partito da Kymanvo e arrivato nella capitale per i festeggiamenti. Dall’uscita dell’ultima «bomba» questo gruppo popolare auto-organizzato, che è senza nome e senza un leader, ha lanciato una serie di proteste tutti i giorni alle 18 davanti al palazzo del governo, per chiederne le dimissioni e per chiedere giustizia.
Contemporaneamente, in Macedonia si stanno diffondendo le proteste dei lavoratori, iniziate nel settembre 2014 in seguito a una riforma governativa sulla tassazione pensionistica e infortunistica, che prevede un aumento del 35% delle tasse a carico del lavoratore. La protesta è partita congiuntamente dai lavoratori a tempo indeterminato e dagli honorarci, i precari, con varie manifestazioni davanti al Ministero delle finanze e dell’economia. Questa protesta è dovuta al fatto che l’Unione Europea ha imposto al governo macedone un cosiddetto «piano di integrazione» della Macedonia, che definisce i requisiti necessari all’ingresso nell’Unione previsto per l’anno 2023. Tali imposizioni sono state accettate dal governo attuale senza alcuna consultazione popolare e senza un referendum sull’integrazione della Macedonia nell’Unione. I lavoratori hanno quindi rifiutato l’aumento delle tasse, dichiarando che con questo la classe operaia scenderà sotto la soglia della povertà. Con tale provvedimento non saranno toccati solo gli operai ma anche la classe media. I sindacati, i membri della Carta di solidarietà, e il movimento dei lavoratori in occasione del 1 Maggio hanno organizzato una giornata di lotta che ha visto sfilare per le strade di Skopje miglia di persone.
Le politiche imposte dal governo stanno determinando un livello di povertà senza precedenti; i diritti dei lavoratori vengono attaccati ogni giorno, gli uffici di collocamento cancellano i disoccupati dai registri mentre le differenze di classe sono in continuo aumento con l’eliminazione totale della classe media. L’anno scorso, in particolare, sono stati sotto attacco i dipendenti del settore pubblico, soprattutto dell’amministrazione. Il governo ha imposto una serie di nuove regole per il controllo che rende più semplice il licenziamento senza giusta causa. I lavoratori a tempo determinato sono costretti a vivere con uno stipendio più che dimezzato dalle tasse e sono esposti a un impoverimento crescente. Ai dipendenti della scuola pubblica è stato negato il diritto allo sciopero, che li ha costretti a organizzare scioperi «abusivi». A tutto questo vanno legate le proteste contro la corruzione: il governo contribuisce ad aggravare la situazione sociale e viene considerato come un élite politica che manipola e deruba il popolo. Non solo ignora le proteste dei lavoratori, ma a esse risponde con la repressione.
Le rivendicazioni dei lavoratori sono state portate alla manifestazione di primo maggio a Skopje e saranno sostenute anche alla prossima manifestazione del 17 maggio davanti al palazzo del Governo, organizzata dalla Sinistra Macedone (SDSM) e dalla sinistra albanese. La sinistra unita chiederà così le dimissioni di tutto il governo.