giovedì , 21 Novembre 2024

Il regime del salario 9. NASpI, ovvero dello Statuto degli Imprenditori e dell’occupabilità

di LAVORO INSUBORDINATO

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Il regime del salario 9Il Jobs Act presenta delle anomalie che difficilmente riusciamo a comprendere in un mondo dove due più due fa quattro. Non appartiene a questo mondo, ma è parte di un universo parallelo in rotta di collisione con quello della classe lavoratrice. Nel mondo del Jobs Act due più due fa cinque. Da attenti osservatori abbiamo dato uno sguardo in tutti i probabili futuri e in nessuno di questi il Jobs Act potrà funzionare per gli scopi che nominalmente si prefigge, in nessuno di questi il Jobs Act darà sostegno a lavoratori e lavoratrici.

Tra i decreti attuativi approvati, oltre al riordino dei contratti, ai licenziamenti collettivi, alle tutele crescenti, al demansionamento – praticamente uno Statuto degli Imprenditori – la questione degli ammortizzatori sociali è un po’ la chiave di lettura nascosta di tutta questa legge: la nuova disoccupazione intermittente, ovvero la normale occupabilità. È morto il contratto precario, viva la precarietà! Dicevano in Francia tempo fa…

La NASpI (che sta per Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) rende infatti esplicita la volontà di trasformare il salario in contributo occasionale e discrezionale, realizza il sogno più fantascientifico degli imprenditori: il salario a carico dei lavoratori. Secondo i suoi estensori, il nuovo sussidio di disoccupazione universale dal 2015 sarà di più facile accesso anche ai precari e andrà a sostituire pian piano tutti gli ammortizzatori sociali esistenti esclusa la cassa integrazione (quella in deroga sparirà nel 2016, mentre il 2017 sarà l’ultimo anno dell’indennità di mobilità). L’unica novità rispetto alla vecchia Aspi è quella di una diversificazione della precarietà. Anche se con la NASpI, il periodo minimo di contribuzione si è abbassato da due anni a tre mesi, il godimento del sussidio è condizionato da parametri che, nel tentativo di semplificare una situazione di estrema «atipicità» dei contratti di lavoro, creano una maggiore disuguaglianza nell’accesso ai sussidi, oltre a una loro diminuzione, per la riduzione sia del periodo di erogazione, sia della somma che si può ottenere. Dietro questa bella facciata pubblicitaria in cui si inneggia al bene di tutti, troviamo quindi una riduzione ulteriore degli ammortizzatori, questa sì per tutti, anche se non per tutti allo stesso modo.

Occorre sottolineare, infatti, che un lavoratore e una lavoratrice precari hanno una storia contributiva differente rispetto a lavoratori e lavoratrici cosiddetti garantiti – una razza comunque in via d’estinzione – e che il “sussidio di disoccupazione” è strettamente legato ai contributi versati. Da qui la necessità di regolarlo in base alle diverse situazioni e comunque nell’ottica di limitarne il godimento: la NASpI andrà a sostituire l’Aspi per i dipendenti che perdono il posto di lavoro; l’indennità Diss-coll sarà il trattamento di disoccupazione destinato ai co.co.co e co.co.pro., non pensionati e senza partita IVA. Questo trattamento potrà essere richiesto dai precari che dopo il 1 gennaio 2015 perderanno il lavoro e sarà loro concesso il sussidio solo se potranno dimostrare di aver versato almeno tre mesi di contributi nell’anno precedente. Il “collaboratore”, inoltre, dovrà aver versato almeno un mese di contribuzione nell’anno in cui si verifica il licenziamento. Il trattamento Asdi, invece, spetterà ai disoccupati di lunga data ma solo con particolari difficoltà economiche. Questo sostegno in via sperimentale per il 2015 è riconosciuto in maniera prioritaria per lavoratori e lavoratrici appartenenti a nuclei familiari con minorenni (quindi se magari nel frattempo non avete trovato un lavoro potreste sempre concentrarvi sulla riproduzione della specie) e a coloro che sono prossimi al pensionamento. Si valuterà in seguito la possibile estensione di questa misura che in ogni caso ha una durata massima di sei mesi nei quali si percepirà una cifra pari al 75% dell’ultima NASpI percepita.

La sostanziale differenza della NASpI rispetto all’Aspi è che quest’ultima prevedeva un minimo di due anni di contribuzione ed era necessario aver lavorato continuativamente nell’ultimo anno, mentre per ricevere il nuovo e universale “sussidio di disoccupazione” sono sufficienti tredici settimane di contribuzione effettiva negli ultimi quattro anni e almeno trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi che precedono il periodo di disoccupazione. L’assegno non potrà inoltre superare nel 2015 i 1300 € mensili, cifra che sarà ridotta progressivamente dopo il quinto mese del 3% mensile. Quindi se si usufruisce della NASpI per 24 mesi senza soluzione di continuità, dai 1300 € mensili iniziali del primo quadrimestre si scende al 15% di tale importo all’ultimo mese, cioè 195 € al mese. Si tratta insomma di un altro attacco al salario indiretto, a cui si aggiunge la riduzione della copertura figurativa pensionistica, che non potrà eccedere la retribuzione corrispondente al massimale dell’indennità, cioè 1300 €. Anche con questo tipo di intervento, quindi, si contribuisce a ridurre le future e incerte pensioni.

La durata dell’erogazione del servizio, che potrà arrivare fino a 24 mesi, dipenderà soprattutto dalla capacità contributiva dei lavoratori negli ultimi quatto anni. Ciò significa che solo chi avrà lavorato per tutto questo periodo continuativamente potrà beneficiarne appieno. Il trattamento di disoccupazione, quindi, non sarà di fatto lo stesso per tutti ma varierà a seconda della quantità di lavoro effettivo. Dal 2017 il tetto massimo si abbasserà definitivamente a 18 mesi. Inoltre, se un lavoratore instaura un nuovo rapporto di lavoro inferiore ai sei mesi può interrompere il sussidio solo per questo periodo. Se instaura un rapporto di lavoro con uno stipendio annuale inferiore al minimo per presentare la dichiarazione dei redditi, continuerà a percepire il sussidio, ovviamente con un trattamento ridotto. Anche chi intraprenderà un’attività autonoma percepirà un’indennità ridotta pari all’80% del reddito previsto.

La NASpI funzionerà quindi come un completamento del salario del tutto in linea con l’ormai classico soccorso alle aziende, che si troveranno ancor più legittimate nell’offrire lavori poco remunerati e instabili vedendosi coprire le spalle dal “sussidio di disoccupazione”. Questa riflessione è valida anche per lo stop-and-go, ovvero, l’intervallo di tempo che deve trascorrere tra la fine di un contratto a tempo determinato e il suo eventuale rinnovo, che già con la legge Fornero era salito da dieci giorni a sessanta per i contratti inferiori a sei mesi e da venti giorni a novanta nel caso di accordi più lunghi. Il più delle volte, il contratto a tempo determinato viene utilizzato per far fronte a esigenze cui dovrebbe rispondere un contratto a tempo indeterminato. Le aziende, infatti, somministrando questo tipo di contratto, possono, da un lato, contare sulla continuità nell’impiego dei lavoratori (che rimangono precari nel tempo pur specializzandosi nella mansione) e, dall’altro, usufruire della loro totale flessibilità. In altre parole, personale qualificato ed esperto, ma allo stesso tempo flessibile e assoggettato alle necessità aziendali. Il nuovo “sussidio di disoccupazione” serve a oliare i meccanismi di un pieno regime di occupabilità.

Se, da una parte, l’aumento dei parametri temporali tra un rinnovo e l’altro disincentiva i contratti a scadenza e la flessibilità che questi comportano, dall’altra tali contratti vengono incentivati dal “sussidio di disoccupazione”, che copre per intero il periodo di pausa obbligata. La NASpI, inoltre, potrà essere richiesta anticipatamente in un’unica soluzione ma solo in vista dell’avviamento di un’attività imprenditoriale. Questa è evidentemente una strategia che incoraggia l’autoimprenditorialità in un momento in cui il lavoro scarseggia. Qui è permesso dare libero sfogo alle attività creative individuali e all’immaginario auto-manageriale, nonché cogliere l’occasione di diventare datori di lavoro di se stessi, risolvendo il problema annoso della ricerca lavoro. Chi voleva avviare un’attività in proprio non aspettava altro che la NASpI in un’unica soluzione. Per cui, se non trovate un lavoro, potrete sempre provvedere con i pochi soldi messi a disposizione a inventarvene uno tutto per voi! Gli stessi criteri valgono anche per la Diss-Coll, ma i disoccupati precari riceveranno il sussidio per un massimo di sei mesi. Sarà inoltre per loro impresa ardua anche solo aspirare al tetto massimo di 1300 €.

A questo punto, preso atto del fatto che si inneggia al “sussidio di disoccupazione” per tutti, ci chiediamo, come mai non considerare davvero tutti quei contratti che alimentano la precarietà? La proposta contenuta nel Jobs Act per snellire la lista dei contratti precari non ha tenuto conto delle false partite IVA e dei lavoratori voucher che fino a prova contraria hanno un posto privilegiato nella suddetta lista. Quindi, se sei un precario «classico» prendi una miseria, ma se sei un lavoratore voucher, come ti destreggi nella disoccupazione dal momento che un giorno sei occupato e l’altro inoccupato? O talvolta la mattina sei occupato e il pomeriggio disoccupato? Insomma, se un giorno trovi lavoro e l’altro lo perdi? Come potrebbe mai funzionare un “assegno di disoccupazione” relativo a queste forme occupazionali «atipiche» prive di tutele previdenziali, a parte quel minimo – irrisorio – fondo pensionistico versato praticamente a fondo perduto? Verrebbe erogata una disoccupazione a giorni alterni? Semplicemente non ne potranno beneficiare perché non sono contemplati nel piano. Come d’altra parte non ne potrà beneficiare un’ampia fetta di lavoratori e lavoratrici che pure ne avrebbe diritto. La legge delega prevede infatti un periodo di sperimentazione a risorse definite: ciò significa che lo Stato mette a disposizione risorse limitate, chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Questo vuol dire che NASpI, Diss-coll e Asdi non saranno affatto per tutti. Anche la ragioneria dello Stato aveva espresso seri dubbi per l’insufficienza dei fondi stanziati, dubbi che probabilmente ha risolto dal momento in cui ha bollinato il testo. Dubbi che comunque a noi rimangono, se non altro riguardo l’incertezza di questo esperimento. Non si capisce se il milione e mezzo di euro stanziato con la legge di stabilità sarà sufficiente, se non altro perché è difficile prevedere i tassi di disoccupazione in fattispecie contrattuali che permettono ampi margini di manovra. Non ci resta che appellarci ai proverbi: lavoratori e lavoratrici, affrettatevi a perdere il prima possibile il vostro lavoro perché «chi tardi arriva male alloggia»!

La cialtroneria contabile, d’altra parte, non segnala solo i limiti del presunto universalismo della NASpI, ma un’oculata normalizzazione dell’occupabilità. Dopo tutto, il nome, parla chiaro: quello che viene spacciato per un “sussidio per la disoccupazione” è in realtà una «Nuova assicurazione sociale per l’impiego», dove ciò che viene davvero garantito universalmente altro non è che la precarietà. Nel mondo parallelo del Jobs Act, dove i conti tornano sempre, non ci sarà più disoccupazione e a rigore non ci sarà nemmeno il pieno impiego. Ci sarà piuttosto la piena occupabilità, con l’assicurazione di gestire il passaggio da un lavoro a un altro senza costi aggiuntivi per le imprese e completamente a carico della fiscalità generale, ovvero dei lavoratori stessi.

Non è un caso che la disponibilità a muoversi da un lavoro a un altro diventi con la NASpI una condizione coatta: quelli che riceveranno quest’astuta «assicurazione» dovranno, come ben sappiamo, accettare i lavori «congrui» che verranno loro proposti, pena la perdita dell’assegno. Senza dubbio, la NASpI assicura la totale subordinazione dei lavoratori occupabili ai ritmi e alle richieste del mercato del lavoro, come già accade nel Regno Unito e in Irlanda con il Jobbridge. Ci chiediamo a questo punto come saranno resettati i parametri con la nascita della nuova agenzia nazionale per l’occupazione, che lavorerà su scala nazionale. I disoccupati di Milano saranno forse costretti ad accettare lavori a Canicattì per non perdere il sussidio? Questa rimane una domanda aperta, che non potrà trovare risposta nel nostro universo. Ma se la cercassimo nell’universo parallelo del Jobs Act, una risposta l’avremmo e sarebbe un sì incondizionato a favore di flessibilità coatta della classe lavoratrice.

Ci chiediamo infatti quale sarà sul lungo periodo l’effetto di questa normalizzazione dell’occupabilità. Dal momento che la flessibilità in entrata e il tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro è resa possibile dell’esonero contributivo per un periodo di 36 mesi per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato: che cosa accadrà una volta finito il triennio di esonero? È probabile che i licenziamenti collettivi aumenteranno, anche perché la nuova disciplina li rende sempre più facili, e che i periodi di disoccupazione si dilateranno. In questo caso, non solo chi rimane senza lavoro a lungo non potrà beneficiare di alcun sussidio, ma nel migliore dei casi sarà costretto a destreggiarsi nel mondo del lavoro a chiamata e dei voucher.

Il sussidio di disoccupazione si rivela, nei fatti, un incentivo alla precarietà, un’ulteriore agevolazione per i padroni che non pagano salari adeguati ai propri dipendenti e che usufruiscono della rosa di contratti precari a loro disposizione. Mentre il Jobs Act viene venduto come un modo per combattere la disoccupazione, la NASpI è la vera chiave per capire l’universo parallelo del Jobs Act: un modo per coprire selettivamente e per un periodo limitato i momenti di transito da un lavoro a un altro, al solo scopo di irreggimentare una piena disponibilità al lavoro sovvenzionando i padroni per ridurre al minimo i salari. Uno strumento pratico e funzionale per i padroni, che possono servirsene per governare la mobilità del lavoro. Renzi, perciò, ha detto una cosa vera durante la conferenza stampa di presentazione dei decreti attuativi: «nessuno rimarrà solo dopo il licenziamento». Su questo non ci sono dubbi: gli occupabili saranno in buona compagnia.

 

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