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L’astrazione concreta di Louis Althusser

Althusserdi FABIO RAIMONDI

Pubblicato su «Il Manifesto» del 19 agosto 2014

Louis Althus­ser ha sem­pre voluto essere un filo­sofo comu­ni­sta, per­ché pen­sava, come scrisse Etienne Bali­bar molti anni orsono, che «la filo­so­fia non fosse, né più né meno, che poli­tica nella teo­ria» ossia, con le parole di Althus­ser, «lotta di classe nella teo­ria». La filo­so­fia, dun­que, come arma nella lotta di classe. Non l’unica, non la prin­ci­pale, ma la più effi­cace per com­bat­tere politicamente nella teo­ria, cioè in un campo com­plesso for­mato dalle scienze, più o meno esatte, e dalle ideo­lo­gie.

Ma è dav­vero neces­sa­rio lot­tare nella teo­ria? Da que­sto inter­ro­ga­tivo parte il testo finora ine­dito, emerso dall’ampio lascito althus­se­riano in parte ancora ine­splo­rato, Ini­tia­tion à la phi­lo­so­phie pour les non-philosophes (Puf, pp. 388, euro 21), gra­zie al lavoro di G.M. Gosh­ga­rian. Un «manuale», scritto all’incirca tra il 1976 e il 1978 e che, più che una mistica «ini­zia­zione», è un avvia­mento alla filo­so­fia e alla pra­tica filosofica di Althus­ser, quindi alla sua idea di filo­so­fia fino alle soglie del cosid­detto «mate­ria­li­smo aleatorio» degli anni Ottanta del Nove­cento. Con­giun­ta­mente, è anche un avvia­mento tra i tanti pos­si­bili alla filo­so­fia in gene­rale. Scritto con un lin­guag­gio chiaro che non sacri­fica nulla alla comples­sità e alla radi­ca­lità della riflessione.

Il primato della pratica

I due ful­cri del per­corso althus­se­riano sono i con­cetti di «astra­zione» e di «pra­tica», per­ché «ogni pra­tica spe­ci­fica fa astra­zione da tutto il resto della realtà per dedi­carsi alla tra­sfor­ma­zione di una parte della realtà»: l’esempio primo è il lin­guag­gio. Non solo, dun­que, la «pra­tica poli­tica mostra un rap­porto spe­ci­fico con l’astrazione», ma ogni pra­tica si fonda sul pro­cesso di astra­zione, che è una pra­tica tesa a modi­fi­care la realtà: «non c’è astra­zione senza l’esistenza del con­creto, ma gli uomini pos­sono avere rap­porti sociali col con­creto solo mediante le regole astratte del linguag­gio». Da ciò segue che esi­stono «un numero infi­nito di gesti astratti che sono legati a pra­ti­che con­crete».

Impor­tante, però, è che «l’astrazione non è la sepa­ra­zione di una parte appar­te­nente a un tutto con­creto», ma che essa «è legata al con­creto» ben­ché sia «altra cosa da una parte del con­creto», per­ché «aggiunge qual­che cosa al con­creto»: la «gene­ra­lità di un rap­porto» che «domina il concreto a sua insa­puta e che lo costi­tui­sce in quanto tale». In altri ter­mini, esi­stono «due con­creti: quello non appro­priato social­mente e quello social­mente appro­priato, per­ché pro­dotto come concreto dall’appropriazione» che l’uomo ne fa tra­mite il lin­guag­gio e le altre pra­ti­che sociali. Il termine pra­tica, allora, «indica un rap­porto attivo col reale», ed essendo essa inner­vata di astrazioni mostra che tutti gli esseri umani «sono dei teo­rici e non per­ché lo vogliano, ma per­ché parlano». La teo­ria, dun­que, si trova al cuore di ogni pra­tica, resa pos­si­bile dalle astra­zioni che ci con­sen­tono di appro­priarci del reale per­ché con esse sta­bi­liamo rela­zioni tra le cose con­crete, rela­zioni che esse hanno senza saperlo.

Il pri­mato della pra­tica defi­ni­sce la posi­zione mate­ria­li­stica in filo­so­fia rispetto all’idealismo in un senso forte, per­ché «ogni pra­tica è sociale» e, dun­que rin­via ai rap­porti sociali che la condizionano e, al con­tempo, la ren­dono pos­si­bile. Nelle società clas­si­ste, que­sti rap­porti sono rap­porti tra le classi ossia rap­porti sta­bi­liti, sto­ri­ca­mente e, dun­que, in modo non lineare, dalla lotta tra le classi. Tutte le filo­so­fie, rico­no­scano aper­ta­mente o meno lesistenza di que­sti rap­porti, vi sono immerse: la loro dif­fe­renza sta, però, nell’operazione che esse com­piono e che, anche se non lo dicono aper­ta­mente, è ine­vi­ta­bil­mente schie­rata con una delle classi in lotta.

Produzione del consenso

C’è però una linea di demar­ca­zione che, secondo Althus­ser, sovra­de­ter­mina tutte le altre: lo Stato, per­ché «c’è Stato solo nelle società di classe». Lo Stato, infatti, non è solo lo Stato-nazione, ma, come ave­vano già detto Marx e Lenin, ogni for­ma­zione poli­tica che detenga il potere ammi­ni­strando il con­fine tra pro­prie­tari dei mezzi di pro­du­zione e pro­prie­tari di sola forza lavoro: le mul­ti­na­zio­nali, ad esem­pio, sono Stato, anche se non appar­ten­gono a un solo Stato-nazione. Le filo­so­fie, allora, stanno con lo Stato e difen­dono l’ordine costi­tuito dalle classi al potere o contribuiscono a costruirlo, oppure lo com­bat­tono schie­ran­dosi con le classi sfrut­tate, per sosti­tuire un nuovo Stato al pre­ce­dente o per estin­guerlo. È qui che i discorsi sull’astrazione e sulla pra­tica, sulla filo­so­fia e sulla lotta di classe si con­giun­gono. Uno Stato, infatti, «non può assi­cu­rare la pro­pria durata usando solo la forza», per­ché ha biso­gno anche della «per­sua­sione», con la quale «incul­care le idee della classe domi­nante» e creare «con­senso». Ha biso­gno cioè dell’ideologia, di un sistema di idee che con­vinca gli indi­vi­dui a per­so­ni­fi­care certi ruoli sociali e ad accet­tare l’ordine che li genera in vista della pro­pria durata, per­ché un’ideologia «è un sistema di idee solo in quanto è un sistema di rap­porti sociali». È l’ordine costi­tuito o in via di costi­tu­zione, dun­que, che mira al fun­zio­na­li­smo e allo strut­tu­ra­li­smo inteso come immo­di­fi­ca­bi­lità dei ruoli sociali. L’indeterminatezza della lotta di classe (il vero nome dell’aleatorio), però, può scompaginare i desi­deri.

Lideologia è il campo di bat­ta­glia pro­prio della filo­so­fia: è lì che essa inter­viene come arma di una delle classi in lotta, per­ché nes­suna scienza può farlo al suo posto. Essa, infatti, crea i quadri di com­pa­ti­bi­lità teo­rica tra le ideo­lo­gie, «locali» (indi­vi­duali) e «regio­nali» (col­let­tive), pro­prie dei mem­bri della classe domi­nante o della classe dominata.

Dentro o fuori il governo

Com­pito di una «posi­zione mate­ria­li­stica in filo­so­fia» è for­nire i qua­dri teo­rici per uni­fi­care le ideo­lo­gie anta­go­ni­sti­che nel corso della lotta di classe. Non esi­stono, dun­que, solo le filosofie acca­de­mi­che che si inse­gnano e si «rumi­nano» nelle uni­ver­sità, filo­so­fie auto­re­fe­ren­ziali che cre­dono di non avere un «fuori» (idea­li­smo), come qual­cuno super­fi­cial­mente o strumentalmente crede, ma ci sono anche filo­so­fie mate­ria­li­sti­che, ben con­sce del «fuori» che le con­di­ziona (i modi della produzione, le cono­scenze pre­gresse, la lotta di classe, linconscio) e che in esso prendono posi­zione per com­bat­tere con­tro lo Stato: non è, infatti, solo dicendo che lo Stato non c’è più che ci si trova, per­for­ma­ti­va­mente (ultima fron­tiera dell’idealismo), senza di esso: «que­sto punto è impor­tante, per­ché un par­tito comu­ni­sta non dovrebbe entrare nel governo di uno Stato bor­ghese, anche se que­sto governo è di “sini­stra”, unita­rio e deciso a met­tere in opera riforme demo­cra­ti­che. Ma non dovrebbe nem­meno entrare in un governo della dit­ta­tura del pro­le­ta­riato, poi­ché la sua voca­zione ultima è gestire gli affari di uno Stato di cui deve pre­pa­rare la distru­zione, e se con­sa­cra tutte le sue forze a tale gestione non potrà con­tri­buire a distrug­gerlo. A nes­sun titolo, dun­que, un par­tito comu­ni­sta può tra­sfor­marsi in “par­tito di governo”, per­ché essere un “par­tito di governo” è essere un “par­tito di Stato”».

Forse que­sto manuale non ci dice dove andare, ma ci fa vedere da dove veniamo e dove siamo. Forse non è molto, ma è un inizio.

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