di CHRISTOS GIOVANOPOULOS – Dikaioma, network of precarious and unemployed workers, Athens
Scioperare ai tempi della Troika? È quello su cui ha apparentemente scommesso Olme, il sindacato dei lavoratori della scuola secondaria greca che, contro la legislazione governativa che aggiunge due ore di lavoro in più a settimana per ogni insegnante, ha annunciato uno sciopero da fare durante gli esami di maturità. Eppure, quella che sarebbe dovuta essere una mobilitazione di massa, appoggiata da circa il 90% degli insegnanti, non ha mai avuto luogo. Uno sciopero dai contorni irreali, in cui si sono toccati con mano limiti e contraddizioni della forma sindacato e di certe concezioni della lotta di classe. Limiti e contraddizioni tanto più evidenti in quanto vengono esibiti da organizzazioni sindacali pronte ad ascoltare la volontà della base e in cui i lavoratori hanno un peso talvolta maggiore di quello dei delegati.
Lo sciopero ai tempi della Troika ha messo in luce così che la lotta sindacale, sia pure sostenuta dagli ideali più combattivi, non sempre equivale alla lotta di classe. In Grecia come in Italia i grandi sindacati utilizzano la minaccia e la pratica di uno sciopero generale che non è generale per sedersi ai tavoli di una concertazione di cui le istituzioni politiche ed economiche fanno tranquillamente a meno. Lo dimostra bene il governo greco, che ha messo fuori legge lo sciopero prima che fosse dichiarato, grazie a misure che prevedono multe, il licenziamento e addirittura il carcere per chi non rispetta l’obbligo della precettazione. Questo sciopero mancato ci dice qualcosa sui limiti del sindacato anche là dove esso invoca e cerca di praticare alti livelli di conflittualità. L’azione di Olme rivela la sua impasse tra una condanna di Syriza da parte della sinistra radicale, alla quale però alla fine viene delegata qualsiasi responsabilità sulla politicizzazione delle lotte, e una chiusura nei limiti di rivendicazioni settoriali. Gli esiti di questa impasse sono che all’invocazione dell’innalzamento del livello del conflitto corrisponde solo l’incapacità di ampliarlo, per cui l’unica strada per farlo è cercare l’appoggio dei grandi sindacati, che almeno sono capaci di una mobilitazione di massa. Le misure autoritarie del governo costringono insegnanti e governo a interrogarsi sul che fare. Rifugiarsi in un anti-istituzionalismo di maniera? Cercare la sponda politica di Syriza? Invocare la ricomposizione di classe attorno a un singolo segmento del lavoro?
Dal racconto delle contraddizioni che attraversano uno sciopero «sospeso prima di essere organizzato» emergono molti dubbi e qualche indicazione più solida. Indicazioni relative alla portata di una lotta che se ambisce a diventare politica non può limitarsi a cercare l’ombrello protettivo di partiti e confederazioni sindacali, così come non può ignorare i luoghi in cui il comando politico viene prodotto sulla pelle di precari, migranti e operai. Una lotta politica deve poi assumersi il rischio di immergersi nella precarietà delle nostre connessioni. Avendo riconosciuto l’impraticabilità di una ricomposizione immediata, non ci resta infatti che politicizzare le lotte a partire dalla loro specificità. Un terreno accidentato attraverso cui però ci sembra possibile «includere, dare voce ed espressione alla rabbia popolare che sta montando».
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Il sindacato degli insegnanti delle scuole superiori è stato uno dei più radicali della Grecia. Ciò è dovuto alla forte presenza al suo interno di militanti della sinistra radicale provenienti dal movimento studentesco negli anni successivi alla dittatura, diventanti in seguito insegnanti nel settore pubblico. Un elemento caratteristico di questo sindacato è la modalità «meno rappresentativa» di organizzare e decidere, soprattutto le questioni di grande rilevanza come gli scioperi. Ogni livello d’istruzione (elementare, secondaria, universitaria) ha una diversa organizzazione e differenti federazioni. Questo sciopero ha coinvolto solo gli insegnanti delle scuole secondarie. In Olme c’è la federazione dei sindacati locali degli insegnanti delle scuole secondarie (Elme). Il primo può proporre azioni di lotta che sono poi discusse dalle assemblee locali degli insegnanti e non solo dai rappresentanti. La decisione a favore o contro la proposta a quel punto torna indietro, ed è confermata nell’assemblea dei rappresentanti dell’Elme, che votano secondo quanto deciso dalle loro assemblee locali e non secondo la loro posizione personale. Ciò fa sì che ogni decisione presa, per esempio per lo sciopero, abbia reale sostanza, partecipazione e sostegno. In questo caso, mentre il 90% degli insegnanti nelle assemblee con una partecipazione di massa ha votato per lo sciopero, il livello rappresentativo dell’assemblea dell’Elme ha trascurato questa esplicita posizione, con il risultato che molti insegnanti si sono sentiti traditi.
Andando un po’ più a fondo, si vede che la complessità della questione è tale da mostrare i limiti e l’arretratezza di un certo sindacalismo (solo su un piano industriale) e di certe idee (lavoriste) della lotta di classe. Durante la pausa per la Pasqua ortodossa (27 aprile – 8 maggio), L’Olme ha annunciato che avrebbe proposto uno sciopero durante gli esami contro la legislazione governativa che aggiunge due ore di lavoro in più a settimana per ogni insegnante. Ciò comporta il licenziamento di più di 2000 insegnanti part-time o a tempo determinato, il trasferimento ad altre scuole, o turni differenti in scuole diverse, per gli insegnanti a tempo indeterminato. Una misura che certamente porterà a un’ulteriore destrutturazione dell’istruzione pubblica.
La maggioranza degli insegnanti all’inizio non era molto favorevole a scioperare durante gli esami di fine anno, sapendo che si tratta di un modo aggressivo di lottare che porta a un conflitto frontale con il governo. Il piano dei vertici di Olme, con il consenso dei rappresentanti della sinistra interna di qualsiasi sfumatura, è stato svelato dal presidente di Olme (membro di Nuova Democrazia, partito conservatore al governo): «se ci costringono a tornare con la forza nelle scuole, torneremo a testa alta». Mostrando la sua assoluta incapacità di comprendere o accettare le condizioni di uno stato d’emergenza imposto alla Grecia dai governi della Troika, questa presa di posizione pubblica non ha calcolato che il governo ha messo fuori legge lo sciopero ben prima che fosse dichiarato, stabilendo dal giorno prima degli esami la precettazione non solo degli insegnanti, ma anche degli altri dipendenti pubblici (a partire da quelli dei mezzi di trasporto e dei municipi). Questo gesto apertamente dittatoriale ha oltraggiato molti insegnanti che a quel punto hanno cominciato a mobilitarsi, andando alle assemblee locali e votando per lo sciopero, per la dignità di persone che pretendono rispetto e mandano in questo senso un chiaro messaggio al governo. Allo stesso tempo, tuttavia, essi non erano pronti a disobbedire alla precettazione. Al di là delle deficienze dei rappresentanti sindacali degli insegnanti – incapaci di rispondere a un simile picco del conflitto perché ancora legati ai fasti del passato, quando i governi tolleravano queste dinamiche sindacali per controllarle – la recente legislazione ha facilitato il licenziamento dei lavoratori pubblici al punto da rendere impossibile scioperare, nonostante il sostegno di quasi tutto il corpo degli insegnanti pubblici. Per i sindacalisti e per gli insegnanti la questione è stata, ancora una volta, che fare? A questo punto non sono riusciti a capire che, nel momento in cui il governo stesso ha politicizzato la lotta, avrebbero dovuto prendere l’iniziativa di allargarla oltre i limiti del loro settore.
E, in effetti, hanno provato a farlo, ma in una direzione completamente sbagliata. Hanno chiesto un appoggio e una copertura al loro sciopero – anche per un giorno – ad Adedy e Gsee, le maggiori confederazioni sindacali (e controllate dal governo), che hanno rifiutato di indire uno sciopero il primo giorno degli esami (l’ultimo venerdì), una cosa che Olme aveva chiesto per salvare la faccia e mostrare un segno di determinazione. Questo rifiuto da parte dei sindacati maggiori ha completamente isolato gli insegnanti. Dal momento che la decisione di Gsee e Adedy è stata resa nota il lunedì, e non ha impedito agli insegnanti di votare il giorno seguente a favore dello sciopero nelle loro assemblee locali, la questione «Che fare?» rimane qualcosa che, suo malgrado, disturba Olme. Una questione determinata dalla trappola gettata dal governo e dai sindacali ufficiali, con il pieno consenso dei militanti (a parole) del sindacato di sinistra che hanno preso sulle proprie spalle il supporto dello sciopero (o del voto in suo favore) senza porsi il problema dei piani di Olme o del governo. In aggiunta a tutto questo, infatti, i partiti politici, e Syriza in particolare, non hanno fatto nulla per assumersi una responsabilità, per supportare praticamente (ad esempio organizzando nei quartieri gruppi di supporto degli insegnanti) e trasformare il conflitto in uno scontro politico. In questo quadro nessuno poteva realmente credere che lo sciopero potesse andare avanti e tutti, almeno i protagonisti principali, compresi i sindacalisti di sinistra, si sono rifiutati di politicizzare la lotta e di chiamare alla mobilitazione contro il governo (e non in supporto agli insegnanti), facendo così pressione su Syriza e il resto dei partiti e gruppi politici di sinistra. Il partito comunista (Kke) ha affermato dall’inizio che non c’erano le condizioni favorevoli per uno sciopero durante gli esami. Ha chiesto uno sciopero agli altri sindacati e confederazioni, seguito da Adedy, per il martedì in cui le assemblee locali votavano, e nessuno ha partecipato a quello sciopero. Per questa ragione Olme ha condannato lo sciopero di Adedy. Ora il Kke critica Syriza per aver tradito la volontà degli insegnanti, mentre gli insegnanti del Kke per tutto questo periodo sono stati contro lo sciopero. Questo è il motivo per cui nessuno tra gli insegnanti fa attenzione alle loro critiche, in contrapposizione alle critiche dei sindacalisti di sinistra che non appartengono a Syriza. Un altro elemento di confusione è che i membri e i sindacalisti di Syriza fanno parte di due diversi gruppi sindacali. La maggior parte di loro è nel gruppo sindacale di Aftonomi Paremvasi, prima affiliato di Synapsismos e ora di Synek, mentre molti dei sindacalisti più militanti fanno parte di Aristeres Paremvaseis/Kiniseis. Durante il voto finale i rappresentanti di quest’ultimo gruppo non hanno votato a favore dello sciopero. Il problema però non è stato questo. Il problema è stato che contro l’impasse di questo tipo di manovra e la trappola di uno sciopero lanciato dai sindacalisti di governo, è stata la rappresentanza di Afronomi Paremvasi (che appartiene all’autoproclamata sinistra lavorista di Synapsismos e Syriza) che si è fatta carico di togliere le castagne dal fuoco, senza nessuna evidente ragione se non la possibilità che i rappresentanti di Elme votassero per lo sciopero, il che avrebbe messo in ambasce gli stessi sindacalisti. Questa azione li ha portati a identificarsi coi sindacalisti di Pasok e Nd. In ogni caso la decisione finale andava bene a tutti, perché nessuno credeva che lo sciopero fosse possibile. Da questo punto di vista il problema sono semplicemente le decisioni sbagliate e le mosse irragionevoli, che molti della sinistra minoritaria ora sfruttano per attaccare Syriza, per tutte le ragioni peggiori e per cancellare la loro riluttanza a prendersi la responsabilità di politicizzare questa lotta. Ciò che rende questa situazione ancora peggiore è che proprio questa possibilità è stata esclusa e non è passata loro per la testa sin dal principio. Hanno esternalizzato la questione ai partiti politici per liberarsi del proprio ruolo politico. Ancora una volta stanno dimostrando platealmente quanto arretrate siano queste concezioni della lotta e del sindacalismo.
Tutto questo dovrebbe spiegare gli estratti che ho tradotto da un testo degli insegnanti dell’Organizzazione Comunista della Grecia che fa anche parte di Syriza, e alcune considerazioni che farò in seguito.
Lezioni da una lotta annunciata prima di essere preparata, criminalizzata prima di essere decisa, sospesa prima di essere organizzata
«Nella Grecia dei memoranda e della messa in vendita del paese e della sua popolazione al mercato degli schiavi, non c’è posto né per gli scioperi, né per la richiesta di diritti, né per l’azione sindacale […]. È stata una lotta annunciata prima di essere preparata, criminalizzata prima di essere decisa e sospesa prima di essere organizzata. La responsabilità principale di quanto è successo è da addebitare ai sindacati degli insegnanti filo-governativi (il Dake, vicino ai conservatori, e il Paske, vicino ai socialdemocratici) che durante le vacanze pasquali (e quindi con le scuole chiuse) hanno teso una trappola agli insegnanti, attraverso la decisione di scioperare durante gli esami di fine anno. Una decisione impraticabile – come risulta chiaro adesso – dal momento che loro sapevano che l’intero settore dell’istruzione secondaria è vincolato dall’attuazione di misure di emergenza e di ingiunzioni che costringono gli insegnanti al lavoro. I gruppi di sinistra all’interno di Olme hanno puntato a una mobilitazione senza preparare e costruire le condizioni necessarie per dare seguito alla volontà conflittuale espressa dagli insegnanti.
[La decisione del governo di invocare lo stato di emergenza e di rendere obbligatoria la presenza a scuola degli insegnanti, se necessario con l’intervento della polizia, ha determinato] … l’adesione quasi unanime da parte delle assemblee locali degli insegnanti alla proposta di scioperare durante gli esami. Uno sciopero che poteva essere attuato solo costruendo condizioni di un’autentica mobilitazione di massa (e di un movimento che andasse oltre il settore degli insegnanti) in un quadro di lotta politica. Nel contesto del regime di emergenza dettato dai memoranda e dalla Troika, i sindacati avrebbero dovuto riconoscere che le lotte in un solo settore non possono essere combattute realmente senza porsi l’obiettivo di rovesciare questo regime di memoranda e di obbedienza alla Troika, sottolineando così l’esigenza di individuare una diversa via d’uscita per il paese e per l’intera società. Non c’è altra via oltre alla continuazione della lotta degli insegnanti come lotta per la democrazia, come lotta politica contro la dittatura dei memoranda. In particolare, come chiamata a una sollevazione generale per il diritto all’istruzione, per l’allontanamento della Troika e del governo […].
Allo stesso tempo il rispetto per l’autonomia del movimento sindacale non può cancellare la responsabilità delle forze politiche, quelle schierate contro gli effetti devastanti dei memoranda, di prendere posizione in maniera netta a fianco di queste lotte, di moltiplicarne la potenza e sancirne la centralità politica. Né tale rispetto può fungere da pretesto per erigere barriere in una mobilitazione condivisa tra forze sociali, sindacali e politiche che vogliono un futuro diverso per i lavoratori, la popolazione e per il paese.
Le forze della sinistra politica, e in particolare Syriza (indicato da molti come responsabile della sospensione dello sciopero), dovrebbero affrontare con maggiore determinazione questioni come quelle della precettazione contro gli scioperi. Dovrebbero connettere le lotte di settori differenti all’interno di un quadro di lotte necessariamente politiche. Dovrebbero impegnarsi in prima persona per cancellare tutte quelle misure antipopolari contenute nei memoranda governativi. Dovrebbero lavorare per la più ampia unità al fine di preparare il terreno per un’altra Grecia in un’altra Europa […]. Coloro i quali erano a conoscenza dei progetti del governo di bloccare lo sciopero e ritenevano lo sviluppo della lotta segnato in partenza, non hanno mosso un dito per promuovere una strategia diversa, un percorso differente. Si sono impantanati nelle diatribe politiche intrasindacali e adesso provano a urlare solo per un mero tornaconto politico, ottenuto per giunta dal fallimento dello sciopero. Seguono la strada del “fare politica” [in italiano nel testo, nel senso che in Italia si dà al termine “politicante”] che non ha niente da offrire al movimento degli insegnanti, né, in ultima istanza, tutto questo offre qualcosa ai loro piccoli affari, come le vicende recenti hanno mostrato».
Quest’ultimo paragrafo si riferisce a chi critica a gran voce Syriza e soprattutto a quei critici di estrema sinistra che ricoprono posizioni di rilievo nel sindacato degli insegnanti. In realtà essi hanno lavorato per la costruzione di una lotta limitata al campo delle specifiche rivendicazioni sindacali. Anche quando l’intero conflitto è stato politicizzato, la loro posizione consisteva nel sostenere che le rivendicazioni politiche e la mobilitazione per sostenere questa lotta erano un affare dei partiti politici e non del sindacato. Questa posizione li ha isolati e si è rivelata alla fine una mossa suicida, soprattutto se si considera il rifiuto dei sindacati confederali sia del settore pubblico (Adedy) sia privato (Gsee) di coprire la loro lotta. Ci si è rifiutati di stabilire obiettivi politici, come le dimissioni del ministro dell’educazione o il rovesciamento del governo o una lotta contro le sue misure dittatoriali. I greci avrebbero potuto riconoscere questi obiettivi come propri ed essi avrebbero potuto mobilitare la loro rabbia, dato che quando venivano posti a livello locale nelle assemblee degli insegnanti incontravano entusiasmo e applausi. La riluttanza a porre degli obiettivi politici ha mostrato, da un lato, la loro visione pericolosamente limitata delle lotte sindacali e, dall’altro, la loro indisponibilità a essere in prima linea nella politicizzazione delle lotte. La replica su larga scala della stessa forma di lotta espressa con un rumoroso sostegno allo sciopero – per quanto i risultati dimostrano che anche molti dei loro delegati non avevano votato a suo favore – e la richiesta di azioni sacrificali da parte dei soli sindacalisti, non mostra altro che la loro impasse e il carattere obsoleto di una certa concezione della rappresentanza sindacale e delle pratiche di lotta limitate al conflitto di lavoro.
A questo punto vale la pena di riportare l’intervento del rappresentante di Aristeres Paremvaseis in Olme durante l’assemblea dei delegati Elme: «Ventimila insegnanti hanno preso parte all’assemblea generale. Tredicimila di loro hanno votato per la proposta di Olme [cioè lo sciopero durante gli esami N.d.A.]. Diecimila di loro perché erano arrabbiati (con il governo di Samaras) e 3000 perché determinati a scioperare comunque. Perciò le condizioni per continuare lo sciopero non esistono. Tuttavia, visto che dobbiamo fare qualcosa, suggerisco che 500 sindacalisti (insegnanti eletti come delegati sindacali) scioperino venerdì. Che gli insegnanti impegnati con gli esami vadano al lavoro, mentre quelli che non sono coinvolti negli esami di ammissione all’università facciano una manifestazione fuori dai luoghi d’esame senza però formare picchetti».
La dura lezione che impariamo dal recente sciopero in Grecia non vale solo per la Grecia. La lezione è questa: nessuna lotta singola può essere combattuta e vinta senza la costruzione di un movimento politico popolare di massa. Nessun movimento politico di massa può essere sviluppato basandosi sul sostegno di una lotta particolare. Piuttosto è vero il contrario. È la lotta specifica, i settori o i soggetti in lotta che dovrebbero politicizzare i loro obiettivi, le loro tattiche e le loro rivendicazioni al fine di includere, dare voce ed espressione alla rabbia popolare che sta montando. La comprovata riluttanza o esitazione della sinistra politica a ricoprire questo ruolo non è sufficiente come giustificazione per non stabilire degli obiettivi politici per farla finita con il governo e con la dittatura della Troika. Questa riluttanza è l’ennesima espressione di una logica rappresentativa che separa i differenti campi di lotta assegnando presunti ruoli differenti ai diversi giocatori di ogni campo (quello politico, quello sociale, quello istituzionale, le piazze ecc.). Ciò di cui c’è bisogno, invece, sono obiettivi che facciano convergere la volontà della gente di resistere e di combattere. I greci possiedono ancora molte riserve inutilizzate di questa volontà. C’è bisogno di obiettivi che intersechino e producano sinergie in tutti quei livelli. Il sistema, in panico per la sua crisi e per l’incapacità di realizzare le sue misure se non con il pugno di ferro, fa del suo meglio per politicizzare le diverse lotte. Il rifiuto del movimento sindacale e della sinistra parlamentare di agire, o anche solo di reagire, in maniera analoga sta costando moltissimo e sta consumando l’energia combattiva che i greci hanno ripetutamente mostrato di possedere. Loro hanno stabilito come obiettivo quello di cacciare la dittatura della Troika, dei memoranda e dei suoi governi, ricominciando a praticare gli scioperi generali, occupando le piazze, reclamando (e radicalizzando) la democrazia, votando Syriza affinché appoggiasse le loro azioni e portasse a termine la decostruzione del sistema politico (un compito che Syriza ha finora disatteso), costruendo centinaia di strutture di solidarietà sociale al fine di difendere la società contro la sua distruzione e di organizzare la sua propria «sfera pubblica» dal basso e una base politica per la lotta e la trasformazione sociale.