domenica , 22 Dicembre 2024

Speciale «Lavoro Insubordinato». Da Taranto a Bologna: voci dalla fabbrica precaria

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LavInsub-Speciale-Fabbrica-precaria-225x300Lavoro Insubordinato è nato dalla scommessa di disarticolare la precarietà dando voce alle differenze che in essa si esprimono, ai momenti di insubordinazione che in modo anche isolato e frammentato continuano a prodursi sul lavoro e contro di esso, per costruire connessioni e rompere così l’isolamento al quale vuole destinarci la precarietà.

Questa volta lo facciamo partendo da un punto di vista apparentemente decentrato: raccontare l’insubordinazione espressa dalla lotta che gli operai assieme a studenti e precari, uomini e donne di Taranto stanno portando avanti contro l’Ilva. Quello che ci interessa è stabilire un ponte e al contempo un punto di vista che da Taranto sia in grado di guardare a Bologna, dalla condizione operaia alla precarietà, mostrando la faccia operaia dei processi di precarizzazione e le modalità di presa di parola che operai e precari stanno sperimentando in quella situazione. Parla direttamente uno dei protagonisti di questa lotta – Cataldo, operaio dell’Ilva e membro del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti – ma anche chi questa lotta la sente come propria in quanto operaio, pur non essendo sul luogo – Peppe, delegato Fiom alla Ducati Motors di Bologna.

La precarietà in fabbrica parla la lingua del ricatto occupazionale. Un ricatto che a Taranto, così come in altri luoghi disseminati in giro per il paese, impone agli operai di contrattare salute e sicurezza per occupazione e salario. Un ricatto mortifero che le lotte di quest’ultimo periodo stanno provando, con tutte le difficoltà, a rompere, riaffermando la non trattabilità della vita col salario. Strappando il tema della salute e dell’ambiente alle retoriche ecologiste, l’esperienza di Taranto parla anche di un rinnovato desiderio operaio di riappropriarsi di una conoscenza e di un controllo sull’organizzazione del lavoro, desiderio che, negli ultimi anni, è rimasto soffocato anche a causa della mediazione sindacale e dalla segmentazione prodotta dalla sua organizzazione rappresentativa. Parole operaie che, da Taranto a Bologna, mostrano la presenza nel corpo operaio di un rifiuto della coazione al lavoro a tutti i costi che si impone nella crisi, di un sentimento profondamente distante rispetto a quell’idea del lavoro come bene comune portata avanti dal sindacato.

In fabbrica il tema del sindacato diventa immediatamente prioritario dentro al più vasto problema della precarizzazione del lavoro. Le parole operaie di cui si compone questo numero di «Lavoro Insubordinato» mostrano, in modo sicuramente non omogeneo, che il sindacato è uno dei banchi di prova a partire dai quali pensare, praticare e criticare il problema dell’organizzazione delle lotte dentro e contro precarietà. Il sindacato incarna infatti l’ultima forma di organizzazione di massa di cui gli operai, non solo quelli industriali, possono disporre, e mostra ancora un’alta capacità di mobilitazione soprattutto sul piano nazionale, nonostante a livello aziendale la sua incisività e capacità di coinvolgimento dei lavoratori sia sempre minore. Esso è oramai pienamente dentro al sistema di organizzazione e sfruttamento del lavoro ma viene percepito dagli operai come la principale cassa di risonanza delle loro rivendicazioni. Nonostante in fabbrica sia ormai palese la perdita di efficacia della contrattazione se non affiancata dalla costruzione di adeguati rapporti di forza capaci di sostenerla, si fatica a trovare forme di organizzazione che non riproducano la solita routine sindacale.

L’esperienza portata avanti a Taranto dal Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti, con tutte le sue specificità, è significativa perché esprime un tentativo di organizzare  gli interessi operai anche quando il sindacato paga la crisi generale della rappresentanza e le sue scelte precedenti. Esso cerca di aprire degli spazi di organizzazione e presa di parola dentro e fuori dai cancelli della fabbrica, intrecciando la molteplicità di istanze della produzione e della riproduzione sociale che compongono e danno vita alla città industriale, senza però nascondere la propria faccia dichiaratamente operaia.

Sindacato, nelle parole degli operai, è inoltre sinonimo di sciopero, cioè della possibilità di usare l’astensione dal lavoro come arma politica. Per quanto indebolito da una legislazione che ne sta progressivamente erodendo la forza, lo sciopero resta infatti l’arma principale che loro sentono di aver in mano e che rivendicano con forza dentro e oltre il sindacato. Tuttavia, attorno allo sciopero si annoda tutta una serie di questioni che vanno dal suo scarso uso nelle fasi di contrattazione sulle condizioni di lavoro, fino alla sua perdita di efficacia in un contesto produttivo contraddistinto da una pluralità di figure che non trovano un’adeguata sintesi organizzativa nel sindacato stesso, come i migranti, i precari, i lavoratori delle cooperative.

L’innovazione su questo terreno è probabilmente il problema che le lotte operaie continuano a porre a tutte le lotte sulla precarietà. Sta a noi comprenderlo e fare la nostra parte. D’altronde, come ha dimostrato la giornata del 14 novembre, la voglia di sciopero, nonostante la crisi, è alta.

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