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Qual è la tua valutazione del percorso del Comitato da agosto a oggi? È cresciuta la consapevolezza da parte della città e degli operai nei confronti del problema ambientale e occupazionale?
Io credo che dopo le ultime notizie ormai nessun lavoratore possa nascondersi dietro il dubbio che forse non è vero quello che accade, cioè che l’Ilva non inquini. Purtroppo i dati sono davvero allarmanti e molto drammatici. Innanzitutto, il Comitato è una struttura di base, non ci sono leader, non ci sono capi, l’unico capo del comitato è l’assemblea. Per cui noi quando siamo arrivati in piazza il 2 agosto con l’apecar dopo anni di repressione sia in fabbrica che fuori dalla fabbrica, siamo arrivati con un unico messaggio: noi abbiamo deciso di essere l’unione fra due parti che da sessant’anni litigano tra loro, quei cittadini e lavoratori che per il bene di qualcun altro, che nel frattempo godeva nel vederci litigare, ha fatto tutto quello che ha fatto in questa città che ormai è stata devastata in ogni suo punto. Ci siamo uniti per dire che noi siamo le vittime, e che il colpevole è innanzitutto lo stato italiano che ha mantenuto lo stabilimento per 35 anni e poi lo ha regalato a una persona che non ha rispettato per niente la città ma l’ha devastata ancora di più. Oggi c’è soltanto la disperazione, e la rabbia. Delle istituzioni locali e della nostra amministrazione comunale regionale e provinciale è meglio non parlarne.
Gli eventi che si sono susseguiti in questi mesi non hanno fatto altro che confermare quello che noi dicevamo, ovvero che Riva non intende assolutamente investire a Taranto, ma continuare a spremere la città alle sue condizioni. Noi dobbiamo mettere da parte la nostra vita e la nostra salute. Abbiamo avuto la visita di parecchi ministri in questi ultimi mesi. Il ministro Clini, per esempio, che è venuto per difendere il profitto e non ha pensato ai bambini della scuola Deledda (scuola del quartiere Tamburi) o della scuola che sta sotto i camini (sempre nel quartiere Tamburi). Poi è venuto il ministro della salute, Balduzzi, il quale ci ha detto che la situazione a Taranto è drammatica, ovvero che ci sono aumenti sproporzionati di casi di tumore derivanti dall’inquinamento industriale: il 419 % in più di mesoteliomi, il latte materno delle nostre donne contiene la diossina, alle pecore è vietato il pascolo nel raggio di 20 km, è vietata l’agricoltura nel raggio di 20 km, le cozze e i mitili del primo seno del Mar piccolo, che ci hanno reso famosi in tutto il mondo, non si possono più vendere. È tutto inquinato però si pensa a mantenere il profitto. D’altra parte, però, bisogna garantire il reddito ai lavoratori anche quando si fermeranno gli impianti, non ci possono mettere per la strada.
È abbastanza chiaro come la precarietà non riguarda solo quelli che hanno un contratto a termine ma riguarda un po’ tutti. Dalle vostre rivendicazioni vi è quella del reddito che di solito è una rivendicazione portata avanti dai precari per sfuggire al ricatto. Ci puoi spiegare meglio il senso di questa rivendicazione di reddito?
A Taranto il ricatto occupazionale è sancito dal fatto che tu per lavorare non devi solo rinunciare ai tuoi diritti e alla sicurezza sul lavoro come avviene nella maggior parte dei posti in Italia. A Taranto devi rinunciare alla salute dei tuoi figli per lavorare. Mi sembra che non ci sia ricatto che tenga per un uomo, per un padre di famiglia. Se mi si chiede di lavorare in fabbrica e rinunciare alla dignità, ai tuoi diritti, alla sicurezza, rinunciare all’aumento, rinunciare a qualsiasi cosa pur di lavorare, per disperazione sono anche disposto a farlo, però il ministro della salute ci ha detto che questa fabbrica sta avvelenando i nostri figli. Non c’è proprio da parlare di ricatto.
Io ho investito sul mio lavoro, mi sono fatto una famiglia sapendo di avere un lavoro, ho fatto un mutuo. Chi avrebbe dovuto garantirmi questo lavoro è lo Stato italiano che non avrebbe dovuto mettermi nella condizione di scambiare la salute per il lavoro. Questo non c’era sul contratto quando l’ho firmato. Quando ho firmato il contratto non c’era scritto: «devi darmi la salute dei tuoi figli e la tua per lavorare». Per cui, chi è mancante di un contratto è lo Stato italiano e Riva, e adesso loro mi devono dare le risorse per ripartire.
Voi del Comitato avete espresso una posizione di contrapposizione rispetto all’idea che il lavoro sia un bene comune dicendo che il lavoro è innanzitutto sfruttamento e nocività. Pensi che questo comitato possa rompere con questa idea che prima di tutto viene il lavoro?
Il nostro primo comandamento è «io non delego, io partecipo» nel senso che dobbiamo essere noi stessi in prima persona a prenderci i nostri diritti e non delegarli al sindacato. Quando è emerso il problema dell’amianto e della nocività che procura questo materiale, ci si è battuti per debellarlo chiedendo in cambio il beneficio pensionistico e il risultato è stato che noi qua siamo pieni di amianto, quindi il sindacato ha contrattato la mia salute. Il sindacato oggi chiede lavoro, ma il lavoro a queste condizioni significa che tu mi imponi di dare in cambio la mia salute e la mia vita perché quando io mi ammalo, tu sindacato fai una causa di risarcimento danni sulla quale prendi una percentuale. Chi ci guadagna è solo il sindacato, che sostiene che bisogna continuare in queste condizioni perché spera che Riva investa per mettere a posto la fabbrica, ma non lo farà mai per cui continuerà a spremere fino a quando glielo permetteranno, e poi se ne andrà. Questo è chiaro a tutti i tarantini e ai lavoratori dell’Ilva. Il sindacato non ha fatto neanche un’ora di sciopero a Taranto per l’ambiente la salute e la sicurezza dei lavoratori. Ultimamente Film e Uilm hanno fatto 44 ore di sciopero, bloccando la città mentre in fabbrica si produceva a pieno regime, e questo perché a scioperare sono stati solo quelli della manutenzione, con il risultato che il danno è stato fatto solo alla città e non all’azienda. A Taranto falliscono l’agricoltura, la militicultura etc… tranne l’Ilva l’Eni e la Cementir (un cementificio) che rimangono sempre in piedi, non so per quale ragione. Nonostante queste fabbriche, c’è il 40% di disoccupazione, povertà, dissesto, disperazione. Taranto è l’espressione di questo paese.
Voi avete portato avanti un punto di vista operaio autonomo sia da quello dei padroni sia da quello dei sindacati essendo un Comitato cittadini e operai. All’inizio c’erano più cittadini che operai, oggi a distanza di 4 mesi questa sensibilità operaia rispetto alle vostre rivendicazioni è cresciuta? Gli operai che stanno con voi stanno in produzione?
L’Ilva è uno stabilimento che ha 15 mila unità e non ci conosciamo tutti, ma adesso addirittura i sindacati stessi utilizzano il nostro nome per fare riuscire le loro iniziative. Vuol dire che qualcosa di buono lo stiamo facendo e che la nostra credibilità è aumentata, e che magari tutti i lavoratori hanno capito che non c’è da fidarsi di nessuno se non di se stessi e quindi un po’ alla volta si stanno avvicinando al Comitato. La settimana prossima faremo un presidio permanente davanti alle portinerie perché noi non abbiamo la possibilità di muoverci come i sindacalisti, noi lavoriamo, non siamo in permesso sindacale, abbiamo anche l’ostruzione da parte dell’azienda. Io sono un lavoratore che denuncia la situazione. Per cui meno sto in questa fabbrica meglio è per loro.
Questo comitato tiene insieme delle persone diverse e tiene insieme soprattutto la questione della produzione ma anche della riproduzione sociale. Pensi che questa forma di organizzazione, non solo operaia possa rilevarsi importante di fronte alla crisi del sindacato, che non riguarda solo Taranto. Un Comitato che sta dentro e fuori la fabbrica?
Ritengo giusta questa modalità perché è un modo di fare politica vera e non politica partitica. Il nostro Comitato è aperto a tutti. La posizione comune in assemblea si trova, poiché c’è un’intera comunità che vuole raggiungere quell’obiettivo.
Sulla questione dell’ambiente, voi come operai siete inquinati fuori dalla fabbrica e anche dentro la fabbrica. Ma la nocività dentro la fabbrica sta uscendo piuttosto poco.
Io ho avuto la possibilità di andare all’incontro con il ministro della salute Balduzzi e gli ho fatto presente che noi in fabbrica facciamo visite mediche annuali. Facciamo visite di ottanta lavoratori in 4 ore, 3 minuti a testa, per cui quale premura ha questa azienda sulla salute di chi gli ha prodotto ricchezza? Io l’ho denunciato e non credo che se ci fosse stato il sindacato avrebbe tirato fuori il problema. Il ministro si è poi impegnato a far sì che tutti i lavoratori siano sottoposti a un check-up in strutture attrezzate. Questo è un impegno che lui ha preso e non lo so se lo manterrà, ma ho parlato da lavoratore. Se mando qualcun altro a fare i miei interessi non lo farà. Questo è il Comitato.
Cosa sta succedendo adesso dentro la fabbrica? Come si lavora rispetto a sei mesi fa? Come sono i rapporti tra i lavoratori?
Adesso c’è più sentimento di unità rispetto a prima, perché c’è più consapevolezza mista a disperazione. Si è capito che non c’è soluzione, se non la fermata degli impianti, non parlo di chiusura perché sono un lavoratore e non me la sento. Anche quando parlo di reddito garantito non parlo di ammortizzatori sociali ma penso a qualcos’altro di utile alla comunità, in fabbrica adesso tutti sono consapevoli che il nostro lavoro è causa di morte per noi e per gli innocenti, che il nostro lavoro è stata la perdita di tanti posti di lavoro. Chi dice che lavoro e salute sono importanti è soltanto uno che sta a centinaia di chilometri di distanza e quindi riesce a dirlo, ma quando uno vive in un territorio dove chi incontri per strada ti dice è morto Mimmo e morto Giovanni è morto Antonio è morto Gianluca…si parla solo di questo a Taranto. E quelli non hanno speranza perché oramai se ne sono andati, hanno lasciato famiglie con bambini piccoli. Chi si preoccupa per loro?
Dentro la fabbrica dirigenti, capi e capetti sono più arroganti rispetto a qualche mese fa? O anche loro capiscono che la situazione è un po’ complicata?
Molti di loro, anche se non esponendosi, ci danno ragione. È chiaro che la situazione è drammatica, perché anche loro stessi si sono accorti che quelli a cui leccavano il culo se ne stanno fregando di loro, totalmente. Ogni mattina andare a lavorare diventa pesante perché c’è questa disperazione, questo sensazione di abbandono da parte di tutti, ecco perché c’è bisogno di essere tutti insieme cittadini e lavoratori, per non sentirsi soli.
In città quali sono le forze politiche, le associazioni a cui vi sentite più vicini? Con chi riuscite a instaurare un dialogo? Ci sono forze che si sono avvicinate a voi?
Dopo il 2 agosto, in molti hanno tentato di avvicinarci, facendoci delle promesse. Poi quando abbiamo chiarito che noi non vogliamo andare con nessuno e che era inutile continuare a tirare la giacchetta, non si è avvicinato più nessuno. Nel frattempo, come Comitato cittadini e lavoratori stiamo facendo un tipo d’intervento allargato politico, sociale e culturale che riguarda, per certi versi, un problema più grosso di quello dell’Ilva. Noi siamo nati nelle piazze e rimarremo nelle piazze, dove c’è il vero bisogno, quelli sono i bisogni della gente.
Se questo tipo di sindacato non funziona, com’è possibile ripensare una forma sindacale diversa all’interno della fabbrica?
Noi non siamo nati con l’intenzione di diventare un sindacato, noi siamo nati con l’intenzione di essere tutti sindacalisti. Se si fa una riunione nel Comitato e c’è un problema in un reparto discutiamo per risolverlo tutti insieme. È anche un modo per partecipare, perché la gente è disgustata attualmente dalla politica, perché la politica non è sana. La politica per me si fa tra le persone, nelle assemblee in cui partecipa la gente. Il sindacato di Taranto ha preso 8 milioni e mezzo dall’azienda Ilva nell’arco di 10 anni. Noi abbiamo un circolo dopo-lavoro, circolo Italsider statale, che è stato dato in gestione al sindacato dopo l’arrivo di Riva. Io ho saputo due anni fa che noi avevamo un circolo dopolavoro, ma non è stata fatta nessuna iniziativa per i lavoratori in quel circolo, nemmeno un torneo di briscola, è frequentato solo da politici e facoltosi che giocano a tennis.
Quali sono le prossime tappe del comitato?
La settima prossima faremo un presidio permanente davanti alle portinerie, molto probabilmente consegneremo un dvd, per far capire ai lavoratori che in altri paesi l’acciaio si può fare senza inquinare, l’acciaio pulito non è sinonimo di morte per chi lo fa e per chi ci vive a ridosso. Gli altri paesi si sono adeguati alle nuove norme europee, cioè a quelle norme che andranno in vigore dall’1 gennaio 2016. In Germania un vecchio stabilimento è stato trasformato in un parco di bonifica e poi è diventato parco di divertimento e ha dato lavoro a molte persone, e 30 km più avanti è stato costruito il nuovo stabilimento con le nuove tecniche che non inquinano. La nostra è una fase di transizione perché l’Italia ha, in realtà, firmato questi accordi. Una fabbrica come questa per essere trasformata a quei cicli di processo d’acciaio di produzione è già in ritardo se ha l’intenzione di farlo. Ma per farlo devi fermare, buttare a terra tutto bonificare e ricostruire, non lo so chi può aver l’intenzione di fare una spesa del genere piuttosto che andarsene a farla da un’altra parte. E comunque questo territorio è talmente compromesso a livello ambientale che non puoi più chiedergli niente ormai. Riva non tirerà mai fuori i soldi, lo sappiamo tutti, solo il sindacato forse ci crede ancora; quelli della Fiom nemmeno ci credono ma non hanno ancora il coraggio di chiamare un’ora di sciopero della produzione.
Voi come Comitato siete riusciti a disarticolare il rapporto tra CGIL, CISL e UIL e in particolare la CGIL, ha dovuto smarcarsi dall’abbraccio mortifero aziendale e della CISL e UIL. C’è qualcosa di nuovo secondo te?
Se un sindacato intende essere diverso non lo fa solo a parole, se la Fiom dice “noi siamo diversi” allora non dovrebbe partecipare agli scioperi ma farne uno diverso, contro il padrone. Non bastano solo le parole, non basta fare un comunicato o farlo diversamente, ci vogliono anche i fatti per dimostrarlo.
Sinceramente io il sindacato non lo seguo proprio perché conosco tutta la corruzione che c’è dentro. Il percorso che ha fatto il sindacato è sotto gli occhi di tutti, per cui c’è poco da smentirci, anzi abbiamo invitato parecchie volte a smentirci, nei confronti pubblici, ma mai nessuno si è fatto avanti, anche Landini si è negato a un confronto con me, un semplice lavoratore, su Radio Onda d’Urto non ha voluto confrontarsi. Noi ce ne siamo andati quando abbiamo provato a cambiare quel sistema di corruzione e non ci siamo riusciti; io ero segretario della Fiom, non ero l’ultimo arrivato. Ritengo la posizione della Fiom una posizione di comodo, non rimani fermo alla finestra dopo tutto quello che sta succedendo qualcosa la devi fare. Siccome la fabbrica è immensa, è due volte e mezza Taranto, il lavoratore varca il cancello alle sei e mezza, si deve cambiare mettersi gli indumenti di sicurezza prendere il pullman e raggiungere il suo impianto. Quindi bisogna arrivare 45 minuti prima in fabbrica per poter marcare, alle sette, sul posto di lavoro, tutto quello che c’è prima non è retribuito assolutamente, la stessa cosa avviene quando si va a mangiare. Alle undici marchi prendi il pullman e vai alla mensa. Tutta questa pausa non è pagata. Il sindacato ha fatto tre anni di trattativa su questo problema ha ottenuto solo un euro e novanta lordo al giorno, senza neanche un’ora di sciopero. Un accordo firmato due settimane prima che venisse chiusa la vertenza a Genova con tutti i risarcimenti cha hanno avuto i lavoratori, e a Genova lo stabilimento è molto più piccolo. Ecco cosa è il sindacato, poi ognuno si fa la sua idea io racconto quello che è successo. Stiamo parlando di 45 minuti prima e mezz’ora dopo, almeno un’ora abbondante in più, noi stiamo 10 ore esposti ai veleni e il sindacato ci ha fatto avere solo un euro e novanta in più e qualche arretrato lordo in due trance, però dovevamo firmare una carta in cui rinunciavamo a qualsiasi pretesa, per noi che avere 500 euro in più di ossigeno, meglio quelli che niente allora tu accetti tutto, perché qua i soldi non bastano mai. Ma sai che quando hai firmato quella cosa hai firmato la resa, la perdita di dignità di lavoratore di ogni cosa perché è un ricatto bello e buono. Durante gli ultimi scioperi fatti da FILM e UILM l’azienda ha distribuito panini, acqua fresca e ha fatto ponteggi abusivi per l’ombra per bloccare la città, mentre dentro lo stabilimento si produceva.
Qual è quello che voi sperate? E quello che vi aspettate che succeda?
Ciò che mi auguro, e penso che sia quello che spera ogni lavoratore è che finisca questa strage, e che vengano fermati gli impianti. Poi se Riva non vuole mettere le risorse per adeguare gli impianti allora lo stato e il governo devono intervenire perché deve togliere i soldi a questo signore per risanare questa città, e poi pensare a delle alternative in base alle risorse di questa città. Ogni città deve avere un’alternativa. Io non posso aspettare che mio figlio venga messo nelle mie stesse condizioni quando sarà grande. Quindi bisogna vedere quanto vale la nostra vita sul posto di lavoro, quanto si può ancora investire della ricchezza che si fa sulla nostra carne rispetto ai nostri diritti, alla salute e alla vita che è il primo diritto, prima del lavoro. Il lavoro è importante ma senza la vita non c’è futuro.
Io immagino adesso cosa succederà nel momento in cui ci sarà l’esigenza di fermare questi impianti, non si possono nascondere più e far morire la gente. Questi impianti verranno fermati perché nessuno metterà i soldi per aggiustarli, quindi ci troveremo 15 mila lavoratori incazzati, che sicuramente qualcosa faranno. 15 mila non sono 200 o 300, 15 mila sono 15 mila persone a cui è stata violata la salute e che hanno perso anche il posto di lavoro, che hanno dato già tutto. Per cui tengano conto di questo perché questa disperazione diventerà rabbia.
Avete avuto solidarietà da qualche consiglio di fabbrica in giro per l’Italia?
Tanta solidarietà da movimenti operai, associazioni, anche da nuovi partiti che si stanno formando. Anche i no Tav hanno chiesto a Landini di portarci la solidarietà ma non è ci è mai arrivata.