Il paese immaginario e la bacchetta magica
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Un paese immaginario, probabilmente lo stesso dove il produttivo Mulino Bianco ha sede, è quello che viene evocato oggi da una parola magica, coesione, sempre più utilizzata dal nostro Premier, parola cara all’Europa, professora del nuovo diritto e tutor di economia, e assunta volentieri dal gergo politico italiano. Coesione rimanda a un paese immaginario, in cui i governi, le istituzioni, i sindacati (!) e la cosiddetta società civile collaborano alla costruzione di un contesto produttivo e di benessere generalizzato.
Ma come sanno bene lavoratrici e lavoratori, queste belle parole nascondono una realtà tutt’altro che idilliaca. Lungi dall’essere fonte di coesione, la riforma del lavoro dal titolo Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita del 28 giugno 2012, per gli amici Riforma Fornero, approfondisce quei processi di frammentazione del mercato del lavoro, per gli amici precarizzazione, dove il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato rimane la «forma comune del rapporto di lavoro» e la semplificazione delle altre e diversissime forme di contratto non ha riguardato che l’eliminazione di una delle 47 tipologie esistenti, e non ben identificabili. Il lavoro interinale diventa la forma per eccellenza del lavoro precario.
Nel poco coeso marasma di articoli e di commi che compongono la legge solo una cosa appare tremendamente chiara: la volontà politica di scaricare i costi su lavoratrici e lavoratori. «Tin!» Il gioco é fatto. Questa é la bacchetta magica che trasformerà la crisi in «prospettiva di crescita», quella con cui si trasformano i lavoratori in pedine, da muovere dove accrescano profitto e da far sparire dove sono eccedenza.
Semplificazione e flessibilità sono parole d’ordine che non appartengono solo al nostro gergo politico ma sono parte di un linguaggio economico internazionale. La spinosa questione dell’articolo 18 conferma la tendenza a risolvere il problema della precarietà precarizzando ulteriormente i lavoratori e le lavoratrici, dove «lavoro» sta solo per profitto. In particolare, l’aumento del potere decisionale e interpretativo del giudice, che si troverà a decidere della legittimità del licenziamento e di un’eventuale reintegrazione, precarizza ulteriormente le tutele dei lavoratori perché accresce l’incertezza del giudizio.
Tornando al lavoro interinale, la progressiva liberalizzazione di questa forma di assunzione, oltre a prevedere incentivi di natura fiscale per l’assunzione di lavoratori somministrati, mette in atto una vera e propria discriminazione, eliminando le causali per la stipulazione del contratto di lavoro somministrato per determinate categorie di lavoratori, secondo l’ormai vecchio adagio per cui solo una classe lavoratrice divisa obbedisce alla logica del profitto.
Per fare un quadro completo della nuova situazione servirebbe ben più di un editoriale, ma questa riflessione ci serve per rilevare un dato fondamentale: che questa nuova riforma del lavoro è assolutamente in linea con le politiche di austerity, con i tagli al welfare, e con un processo di precarizzazione del lavoro ormai ben consolidato a livello europeo e non solo.
Anche la scuola non è stata risparmiata. Il TFA e il recente bando di concorso per l’immissione in ruolo nelle scuole di tutti i livelli, sono le ennesime fabbriche della precarietà, dove scompare definitivamente il mito del lavoro sicuro nella PA.
E se è complicato districarsi tra le righe di bandi e concorsi, la famosa, benché misteriosa, spending review rende il tutto surreale per chi, da un giorno all’altro, si ritrova ad essere il 5%, vale a dire senza lavoro, o nel migliore dei casi è invitato a partecipare al gioco di prestigio per cui si assiste alla repentina sparizione di colleghi di lavoro spostati chissà dove. Il taglio della spesa, quell’impersonale 5%, si traduce in taglio del personale, una macabra lotteria in cui il lavoratore, o con più facilità, la lavoratrice viene di colpo trasformata in spreco e inefficienza da tagliare.
La sanatoria di queste settimane é il trucco più riuscito. Il ricatto del reddito chiesto ai migranti mostra più che mai la vera faccia della coesione, quella tra le istituzioni, sindacati inclusi, e le imprese, che lascia sulle spalle dei lavoratori migranti l’onere di sostenere il lavoro e la crisi.
In questa situazione è importante immaginare e costruire nuove forme di conflitto, e comprendere la complessità delle situazioni che precarie, migranti, operai e studenti devono affrontare e in cui devono trovare il loro spazio di rivendicazione e di lotta contro un isolamento che stringe il cerchio intorno a tutti.
Questo nuovo numero di «Lavoro Insubordinato» vuole guardare dentro le diverse condizioni di precarietà, individuare i nuovi meccanismi di precarizzazione e disciplinamento del lavoro che si nascondono nei provvedimenti e nelle riforme e che ci troviamo a combattere, spesso da soli. È da qui che riparte la scommessa di un’insubordinazione precaria che se non ha la bacchetta magica, ha il potenziale per fare della crisi non la porta d’ingresso per la precarietà ma della lotta contro la precarietà.