di VANESSA AZZERUOLI e DEVI SACCHETTO
Dal trapanese fino al bellunese non c’è casa, cascina, fabbrica o piazza in cui qualche migrante non abbia discusso nelle ultime settimane della possibilità di «sbiancarsi», cioè di acquisire (o riacquisire) un permesso di soggiorno. Fonti governative hanno lasciato intendere qualche settimana fa la possibilità di una «sanatoria» a settembre, e il passaparola è oramai esteso. A coloro che sono senza documenti in Italia, si aggiungono infatti quelli che sono in altri paesi europei, e quanti vengono appositamente «chiamati» dal paese di origine. Intermediari, affaristi, datori di lavoro italiani e stranieri hanno già iniziato a muoversi: è tempo di guadagni facili; si sta stabilendo il prezzario, con un salto all’insù rispetto agli anni precedenti: 7-8.000, e qualcuno parla anche di 10.000 euro. Poco importa che, nel caso venga emanata una sanatoria, si dovrà provare di essere in Italia da un anno e che si lavori da qualche mese: come ben hanno imparato a capire i migranti, è solo una questione di prezzi e di contatti con quanti possono garantirne la fattibilità. Si chiamano truffe, ma l’importante è che alla fine si ottenga il permesso. I migranti senza documenti sono circa mezzo milione secondo le stime più accreditate. Una parte di loro ha perso il permesso di soggiorno, dopo diversi anni in Italia, altri sono giunti nei più svariati modi con o senza visto. Infine c’è la platea di chi nelle campagne gode di un permesso di lavoro stagionale, non rinnovabile, e che non sa bene che cosa fare.
Le dichiarazioni governative sono ancora assai confuse e mostrano, ancora una volta, di svolgere un profondo ruolo politico nella gestione del mercato del lavoro, così come nella gestione economica. Sembra che l’Italia si adegui, finalmente, alla legislazione europea sicché vi potrà essere la possibilità da parte dei lavoratori migranti senza documenti di autodenunciarsi in quanto irregolari, incriminando quel padrone troppo spesso chiamato datore di lavoro. Con, in allegato, l’altra faccia della medaglia: i padroni possono provare la presenza di un lavoratore senza permesso di soggiorno e «regolarizzare» la sua posizione. Una sanatoria, ancora una volta, su cui qualche partito politico costruirà, ne siamo certi, la propria campagna politica alle prossime elezioni.
Nel nostro viaggio nelle campagne dell’Italia meridionale ne abbiamo incontrato molti di migranti senza documenti. «Occorre intanto lavorare e poi a settembre vedremo», racconta Gurpreet, un indiano che incontriamo nelle campagne di Latina. Ma il lavoro scarseggia, il bacino di lavoratori è ampio e la gara al ribasso aumenta: «Lavoriamo per 20, 25 euro alla giornata.6-8-12ore, quello dipende dal padrone. Dieci anni fa si prendevano gli stessi soldi, ora è una miseria!». Quando conviene al padronato, il salario a cottimo può essere facilmente tramutato in salario giornaliero. In ogni caso si tratta di cifre irrisorie che costringono il lavoratore a ripresentarsi l’indomani, di nuovo al lavoro con la stessa fame di denaro del giorno precedente.
Forse non casualmente l’annuncio di una sanatoria a partire dal 15 settembre, che riempie le speranze di molti migranti, avviene nel picco dei lavori agricoli in cui molti di loro sono occupati per pochi euro a giornata. D’altra parte, i primi migranti che si sono presentati nelle varie sedi sindacali si sono già accorti della beffa, oltre che della truffa. Per loro denunciare il datore di lavoro potrebbe pregiudicare il proseguimento lavorativo non solo presso quell’azienda, ma nell’intera zona. Evidenziare poi che si tratta di un «grave sfruttamento» è sovente inapplicabile, perché la tratta e la condizione di schiavitù (Art. 18 del T.U. sull’immigrazione) è difficilmente comprovabile. Il provvedimento governativo potrebbe quindi risolversi in un mero appello alla bontà del proprio padrone, che dovrebbe auto-denunciarsi e pagare una multa di 1000€. Facile capire che come consuetudine ormai già consolidata spetterà al lavoratore o alla lavoratrice saldare il conto. Chiedere ragione dei contributi arretrati è una mera illusione per i lavoratori migranti, in particolare nel lavoro stagionale dove la situazione contrattuale è grigia, tendente al nero, e le giornate di lavoro segnate sono sporadiche. Questo avviene nei campi, ma anche nelle serre, nelle stalle, nei caseifici e in alcune aziende di trasformazione. Come racconta Ahmed, marocchino da 10 anni in Italia: «Ho un contratto a giornata e mi segnano 8, 10 giorni al mese, mentre ne lavoro 5-6 avolte7 asettimana. Non mi stanno pagando, da tre mesi. Ma cosa faccio? A me serve lavorare».
Se la «sanatoria» dovesse prevedere, come sembra, un lavoro a tempo pieno, significherebbe poi elevati contributi da corrispondere. E così i migranti cominciano a contrarre debiti con amici, parenti, o più spesso «strozzini». La pratica delle sanatorie frequenti nell’Italia degli anni ‘90 ha tramutato il paese in un territorio europeo di facile regolarizzazione: l’introduzione dei flussi e la battuta d’arresto delle sanatorie dopo il 2002 haprovocato quindi un allargamento del bacino delle persone rimaste bloccate sul territorio senza documenti e questo ha fatto lievitare i prezzi per ottenere un regolare permesso. La caduta dei livelli salariali nel corso degli ultimi anni è stata netta, e ottenere un ingaggio sempre più difficile: «In Italia non c’è più lavoro, ma non possiamo nemmeno tornare a casa: ho pagato 15 000 euro per arrivare, e come torno? Con le tasche vuote?», afferma Jas, indiano in Italia da 3 anni.
La richiesta a una lavoratrice o a un lavoratore irregolare di contrattare con il proprio padrone implica la negazione dell’immensa disparità di potere che vi è nel rapporto, e suggerisce una via individuale verso la salvezza di una regolarità sognata. Si tratta come sempre del tentativo di ostacolare le pratiche collettive, riducendo la propria posizione a una questione privata.
Le posizioni più ambigue sono quelle di quanti sono assunti annualmente con un contratto stagionale. Jasvir un indiano occupato nella raccolta dei kiwi nell’Agro pontino, racconta la sua indecisione e sembra chiederci un consiglio che può valere una vita normale: «Sono irregolare, ho terminato il contratto da stagionale quattro mesi fa, ma ho tra le mani la carta per ottenere di nuovo un permesso stagionale. Che cosa devo fare?». Tornare in India per poi rientrare come stagionale per poi ricadere nuovamente nel limbo? Rifiutare il permesso stagionale e lavorare in nero, sperando nella sanatoria? Intanto il datore di lavoro ha già messo le mani avanti: «Io i contributi non li pago». Nella gabbia del lavoro stagionale sono in molti: significa una permanenza regolare temporanea seguita da un lungo periodo di impiego e di presenza non regolare fino alla stagione successiva. In attesa di una sanatoria, pagata a caro prezzo, un’indulgenza per ottenere una vita regolare e acquisire la possibilità di avere una casa, una macchina, una famiglia, o più semplicemente dei sogni. Per ora alle domande sul futuro la risposta univoca è uno sguardo abbassato e un sussurrato «non lo so».
E nei treni regionali che percorrono le vie del mare, materassi e viveri dei braccianti si alternano alle valigie degli italiani vacanzieri, in una normale cecità.