Ci siamo già connessi con l’importante esperienza della Home Based Women Workers Federation, la prima organizzazione sindacale delle lavoratrici a domicilio pachistane formalmente riconosciuta dal governo in seguito a un’imponente campagna di mobilitazione che ha coinvolto, a partire dal 2006, un numero crescente di lavoratrici. Oggi siamo orgogliose di pubblicare un’intervista a Zehra Akbar Khan, segretaria generale della HBWWF, convinte che l’esperienza di cui è protagonista sia una dote importante per chi raccoglie la sfida di organizzare l’inorganizzabile, rompendo l’isolamento di quanti vivono la condizione globale della precarietà.
I villaggi del Sindh e del Balochistan nei quali questa storia è cominciata non sono luoghi marginali né arretrati rispetto ai centri più sviluppati della produzione globale. Il racconto di Zehra ci accompagna invece nei suoi laboratori più segreti, chiusi allo sguardo dalle porte di quelle case in cui milioni di donne ogni giorno producono merci per il mercato locale e internazionale, e che in questa forma specifica sono connessi nel sistema globale del capitale. Per osservare meglio l’esperienza della HBWWF, allora, ci conviene guardare avanti anziché indietro. Non si tratta di protocapitalismo e tanto meno di un ritorno al passato. I processi di smantellamento delle strutture sindacali e di informalizzazione del lavoro avviati negli anni Settanta in Pakistan per questa organizzazione sono storia, ma sono al contempo la contemporaneità e un futuro possibile per quei luoghi che, ancora, qualcuno si ostina a chiamare «Primo mondo». A guardarla dall’Europa – attraversata ormai da tempo dalla crisi dei sindacati – o dagli Stati Uniti – dove questi coinvolgono solo il 12% dei lavoratori, l’esperienza della HBWWF ha molto da raccontare. In primo luogo dal punto di vista delle pratiche, che coniugano un’attività organizzativa capillare – la comunicazione «porta a porta» in questo caso è letteralmente l’unico modo per entrare nei luoghi di lavoro – al più ampio intervento di pressione nei confronti di governo e istituzioni. Se isolamento e frammentazione sono la cifra della precarietà come fatto sociale globale, la capacità di queste donne di abbattere quelle fragili porte producendo momenti di visibilità e di presa di parola va ben al di là di qualunque forma di concertazione. In questione è piuttosto un processo che sta lentamente modificando i rapporti di forza, non solo perché è capace di ottenere risultati concreti dal punto di vista delle rivendicazioni salariali, ma anche per la trasformazione che sta innescando all’interno di quella stessa struttura patriarcale che rende possibile lo sfruttamento intensivo del lavoro delle donne, ostacolando la loro mobilità.
Qui un rovesciamento è in atto davvero, e prende forma all’interno di una situazione paradossale. Da una parte, l’erogazione domiciliare del lavoro è ciò che indebolisce queste donne e lavoratrici, isolandole e mantenendo la loro condizione di invisibilità domestica. Dall’altra parte, il fatto che esse ricevano direttamente un salario è la condizione di possibilità per scuotere l’immobilità delle norme comunitarie, innesca processi di individualizzazione che non soltanto rendono possibile il successo dell’organizzazione sindacale, ma anche minano le fondamenta del potere sessuale dei capi famiglia. Ma qui non si tratta soltanto della concessione di un «permesso» per superare la soglia di casa e prendere parte ai gruppi di formazione politica, alle assemblee, alle manifestazioni organizzate dalla HBWWF. Qui si tratta della conquista del potere di parlare, pretendere, decidere. E di indicare la strada. Sono donne coloro che, per prime, hanno affrontato con successo la sfida di produrre un’organizzazione delle lavoratrici all’interno del settore informale. Sono donne coloro che stanno uscendo dalle anguste realtà locali per connettersi ad altre lavoratrici, su scala regionale e al di là delle categorie. Oggi, al loro seguito, anche gli uomini vogliono adottare questo modello. Le donne della HBWWF costringono a guardare avanti anche loro.
Puoi descrivere la condizione del lavoro a domicilio nella tua regione?
Il fenomeno del lavoro a domicilio non è nuovo nel nostro paese. Il termine è stato introdotto negli anni ’70 quando le politiche di globalizzazione hanno colpito duramente la nostra regione. Lo Stato ha declinato le sue responsabilità e seguito i dettami del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale (globalizzazione e neo-liberalizzazione) che hanno avuto come effetti alti tassi di inflazione, disoccupazione e instabilità economica. Il governo del Pakistan ha svenduto beni di Stato e privatizzato più di trecento proprietà pubbliche a favore di multinazionali che hanno licenziato ottocentomila lavoratori. Queste politiche hanno limitato il diritto di associazione nel “settore formale” e bandito i sindacati dalle fabbriche. I sussidi nel settore sociale da parte del governo sono stati tagliati, creando in ogni ambito una situazione anche peggiore in termini di inflazione.
Il processo di liberalizzazione ha prodotto anche un’enorme crescita del settore informale a scapito di quello formale, il che ha determinato l’assunzione di molte più donne che uomini nel lavoro a domicilio. Più del 75% di donne e bambini, soprattutto bambine, sono coinvolti nel settore dell’economia informale. La ragione è che le donne sono meno consapevoli e organizzate nella nostra società, e i valori culturali, i costumi e la religione impediscono la loro mobilità, conferendo ai datori di lavoro e agli investitori la possibilità di sfruttare più intensamente le lavoratrici pagando salari più bassi, assumendole senza garantire alcuna sicurezza sul lavoro, forzandole a lavorare per molte ore e senza garantire l’accesso a benefici sociali come la salute, l’educazione e le pensioni di vecchiaia.
Il lavoro a domicilio è impiegato nei settori più diversi, dall’industria dei bracciali alla cimatura, dalla tessitura di tappeti alla realizzazione di vasellame e zardozi – particolari ricami tradizionali –, dalla costruzione di componenti per auto all’industria dei prodotti sportivi. In tutti questi settori i lavoratori, e soprattutto le lavoratrici, non hanno diritti: hanno lunghissime giornate lavorative, sono pagate di meno e non godono di alcun sostegno da parte del governo o degli investitori. Oltretutto, in molti settori, il lavoro è fonte di gravi rischi per la salute, come dolori alle articolazioni, agli occhi e alla schiena, problemi polmonari, tubercolosi, allergie e malattie della pelle. La maggior parte di questi lavoratori e lavoratrici non ha alcun accesso ai servizi sanitari.
Per di più, non sono riconosciuti come lavoratori e lavoratrici dal nostro diritto del lavoro, così che non sono registrati all’interno degli schemi di social security garantiti dal governo. Noi stesse non abbiamo dati precisi per quanto riguarda gli uomini e le donne impiegati in lavori di questo tipo, soprattutto nel settore informale. Secondo le statistiche ufficiali, sembra che il 65% dei lavoratori sia ingaggiato all’interno del lavoro informale, e di questi 12 milioni sarebbero donne. Né il governo né altre fonti hanno in realtà dati accurati sulle donne che lavorano a domicilio. Il governo, peraltro, non ha mostrato alcun interesse rispetto all’opportunità di ratificare la Convenzione n. 177 sul lavoro a domicilio dell’Organizzazione internazionale del lavoro; per ottenere questo risultato, le donne che lavorano a domicilio dovranno mostrare la loro forza e il loro potere attraverso azioni coordinate.
Per affrontare questa situazione, alcune lavoratrici a domicilio con una consapevolezza di classe hanno cominciato a lavorare su due piani. In primo luogo, hanno cominciato a collaborare con le organizzazioni che si occupano di lavoro a domicilio, per organizzare insieme strategie di lobbying nei confronti dei dipartimenti di governo coinvolti e dei corpi legislativi, allo scopo di formulare leggi per la garanzia dei diritti di questi lavoratori e lavoratrici. In secondo luogo, hanno cominciato a organizzare le lavoratrici a domicilio all’interno di una struttura sindacale, premendo affinché i sindacati più importanti incorporassero nella loro agenda le questioni legate al lavoro a domicilio.
In questo processo organizzativo, le lavoratrici a domicilio hanno dato vita a tre sindacati, uno nel Sindh e due nel Baluchistan. Il primo è quello delle produttrici di braccialetti, istituito nel novembre del 2009, la Home Based Women Bangle Workers Union Hyderabad (HBWBWU); gli altri coinvolgono le produttrici di ricami tradizionali e sono stati istituiti nel settembre del 2009 – la Hunarmand Baluchistan Democratic HBWW Union di Quetta (HBDHBWWU) e la Al-Hayat Progressive HBWW Union di Quetta (APHBWWU). Le lavoratrici a domicilio sono riuscite a ottenere il riconoscimento delle loro organizzazioni sindacali nel settore della produzione di braccialetti e ricami per via di una situazione particolarmente favorevole, dovuta ad anni di attività di lobbying con gli appaltatori e gli investitori del settore, e anche nei confronti dei dipartimenti di governo.
Dopo la registrazione dei tre sindacati è cominciato un processo di federazione. Secondo il diritto pakistano, due o più sindacati possono federarsi. Abbiamo registrato i nostri tre sindacati presso il dipartimento provinciale del lavoro e dopo aver completato quel processo siamo andate avanti per la registrazione a livello federale. La Home Based Women Workers Federation del Pakistan è stata riconosciuta il 30 dicembre del 2009 dalla National Relation Commission (NIRC) di Islamabad, l’istituzione governativa incaricata del riconoscimento delle federazioni sindacali a livello nazionale. È stato un momento unico nella storia del lavoro pachistana. Le donne lavoratrici, per la prima volta, si sono organizzate all’interno di sindacati e di una federazione a livello nazionale.
La Home Based Women Workers Federation, come espressione delle istanze delle lavoratrici a domicilio, è stata in prima linea nella lotta per il loro riconoscimento e per il diritto a godere della sicurezza sociale, delle pensioni di vecchiaia e di ogni altro schema di welfare. Attualmente, la HBWWF è l’unica organizzazione ufficiale di lavoratori domiciliari in Pakistan, e tutte le sue attività sono state organizzate su base volontaria e attraverso l’autonoma raccolta di fondi. Oggi abbiamo 4500 membri nel Sindha e in Balochistan. Dove non c’è il sindacato si diventa direttamente membri della federazione. Il costo minimo del tesseramento è di 5 rupie, ma poiché si tratta di qualcosa di nuovo per le lavoratrici domiciliari, sono davvero poche quelle che pagano la quota di iscrizione.
Quali sono le condizioni salariali delle lavoratrici a domicilio e qual è il rapporto tra il lavoro a domicilio e le imprese multinazionali?
Queste lavoratrici lavorano nelle loro case per imprese diverse, sia locali sia multinazionali, ma sfortunatamente non conoscono i loro veri padroni perché sono assunte tramite appaltatori e caporali. Nella maggior parte dei casi il lavoro destinato all’esportazione è quello dei sutis ricamati realizzato dalle lavoratrici domiciliari a salari minimi. Secondo quanto affermano i nostri membri, i salari che le lavoratrici ottengono dagli appaltatori e dai caporali in cambio del lavoro per le merci destinate al mercato locale o internazionale sono i seguenti:
– Tessitura di sacchi per riso e cipolle per gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita: da 100 a 125 Rupie per 100 pezzi piccoli; da 60 a 80 Rupie per 100 sacchi grandi senza manici.
– Realizzazione di gioielli per il mercato locale: da 1 a 2 Rupie per la coppia di orecchini; da 5 a 15 Rupie per un set completo, a seconda del disegno.
– Abbigliamento per bambini per il mercato locale e internazionale: da 28 a 60 Rupie per i piccoli pezzi; da 120 a 140 Rupie per completi pantalone.
– Ricami (Balochi o Sindhi) realizzati a Karachi per il mercato internazionale (Arabia Saudita ed Europa): da 1000 a 3000 Rupie per un set completo, per la cui realizzazione è necessario un mese di lavoro a domicilio.
– Cimatura per il mercato locale e internazionale: 2 Rupie ogni dieci pezzi; da 25 a 30 Rupie per 100 pezzi.
– Produzione di calze (taglio) per il mercato internazionale: 2 Rupie al kg.
– Ricamo zardozi, su commissione per il mercato locale, prodotto finito per il mercato internazionale (Dubai ed Europa): da 200 a 300 Rupie per lavori meno raffinati da 1000 a 2500 per i lavori più raffinati.
– Ricamo Balochi/Sindhi e Kandhari realizzati in Balochistan per il mercato locale e internazionale (Dubai, Arabia Saudita, Sri Lanka ed Europa): da 1000 a 3000 Rupie.
– Lenzuola, patchwork, mantelle ricamate (con ricami e perline) per il mercato locale (Quetta) e internazionale (Iran): rispettivamente da 200 a 300 Rupie, da 200 a 1000 Rupie e da 70 a 120 Rupie per 15 giorni/un mese di lavoro.
Gli appaltatori pagano il salario direttamente alle donne che lavorano per loro. Per loro non è difficile convincere le donne che non possono pagare loro tutta la cifra pattuita perché a loro volta non sono stati pagati dai padroni. Alcune volte gli appaltatori rispondono alle donne che avranno il salario solo quando la merce sarà venduta, così spesso le lavoratrici non sono pagate al momento dovuto. In altri casi, gli appaltatori abbandonano il luogo dove le lavoratrici si trovano senza informarle e senza pagarle. Perciò ci sono anche casi in cui le donne non vengono pagate affatto perché gli appaltatori hanno cambiato residenza.
Com’è nata l’idea di istituire un’organizzazione come la HBWWF? Qual è la sua attività? Qual è il tuo ruolo nella federazione?
Il processo di organizzazione delle lavoratrici a domicilio è cominciato nel 2005 con l’organizzazione di circoli di studio su temi diversi assieme a loro nelle diverse aree di Karachi, Hyderabad, Hub e Quetta. Nel 2006 abbiamo creato cooperative per le lavoratrici domestiche a Karachi – con tessitrici, sarte e ricamatrici – e a Hyderabad – con le produttrici di braccialetti di perline. Da quel momento il nostro obiettivo è stato quello di realizzare un sindacato per portare avanti le loro rivendicazioni, e il processo di sindacalizzazione è cominciato con il sostegno del Dipartimento del lavoro. L’idea di formare un sindacato è partita da Nasir Mansoor, un sindacalista marxista della National Trade Union Federation (NTUF), che ha fornito il supporto giuridico per l’istituzione del nostro sindacato e della nostra federazione.
Nelle aree dove il rapporto di lavoro è visibile, abbiamo lavorato per la sindacalizzazione e l’istituzione dei tre sindacati di cui parlavo prima, e su questa base abbiamo registrato la nostra federazione. Dove il rapporto di lavoro non è visibile, come a Karachi, Sanghar, Moro, Thatta, Multan, Hub, Gwader, Pasni e altri luoghi, abbiamo fatto in modo che le lavoratrici entrassero direttamente a far parte della federazione.
Io sono la segretaria generale della federazione. Stiamo continuando a organizzare assemblee e gruppi di studio con le donne che ne fanno parte, come pure momenti di formazione per sviluppare la loro consapevolezza. Si tratta di sessioni interattive su tematiche specifiche che coinvolgono gruppi di 10-15 donne. Nei gruppi di studio discutiamo di questioni sociali, economiche e politiche come la situazione attuale del paese, delle donne e del lavoro, dei rapporti di genere, delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro, di globalizzazione, del sistema di classe, di privatizzazione, sindacato, delle responsabilità dei funzionari, di leadership, dei processi decisionali, di comunicazione, della raccolta di dati ecc.
Stiamo anche formando diversi comitati: quelli del lavoro – responsabili di prendere contatti con le fabbriche e gli appaltatori per la contrattazione sui salari e le condizioni di lavoro – comitati sulla salute e di area – responsabili di trattare questioni come quelle relative all’acqua, alle carte di identità, all’elettricità – core group responsabili di questioni relative al matrimonio e ai problemi domestici e familiari. Ma ci occupiamo anche di corsi di formazione per aumentare le competenze delle lavoratrici e di fare pressioni sui dipartimenti del lavoro e delle politiche per le donne in modo da sollevare le questioni relative al lavoro a domicilio.
Siamo parte di un gruppo sul lavoro a domicilio che coinvolge diverse organizzazioni che si occupano di questo tema e che hanno abbozzato delle direttive relative alle politiche nazionali sul lavoro a domicilio in Pakistan. Siamo anche coinvolte in una task force formata dal Ministro del lavoro per riformare le politiche sul lavoro a domicilio in modo che sia incluso nella più generale legislazione sul lavoro. Il ministro delle politiche per le donne ha visitato le nostre cooperative a Karachi e ha incontrato direttamente le lavoratrici.
Abbiamo organizzato molte manifestazioni e raduni delle lavoratrici a domicilio, ma anche conferenze stampa e convention. Dal 2006 siamo mobilitate in una campagna per la riorganizzazione delle lavoratrici a domicilio e ora la società in generale e il governo in particolare cominciano a recepire le loro rivendicazioni. Il governo ha cominciato a formulare una politica nazionale per le lavoratrici a domicilio, e tutte le assemblee hanno portato avanti la rivendicazione di una legislazione per la loro tutela, che in questo momento è il maggiore traguardo che intendiamo conseguire. Noi raccomandiamo alcuni cambiamenti essenziali – come la ridefinizione delle categorie di lavoratori e datori di lavoro, che sono terribilmente datate, nell’Industrial Relation Act (IRA) – in modo da incorporare il lavoro a domicilio come parte integrante del comitato IRA.
La possibilità di organizzare il lavoro a domicilio sembra particolarmente complicata, visto l’isolamento delle donne che lavorano negli spazi chiusi delle case. Come avete fatto a coinvolgere queste donne nelle vostre lotte?
In primo luogo, abbiamo fatto un lavoro porta a porta per convincere le donne a partecipare alle nostre assemblee e discutere insieme le questioni relative alla loro condizione di donne. In alcune aree abbiamo una referente tramite la quale entriamo nella comunità e cominciamo a organizzare assemblee e gruppi di studio con le donne. Grazie alla regolarità di queste assemblee e gruppi di studio, ora queste donne partecipano anche alle nostre manifestazioni e alle forme di agitazione che organizziamo. Questi incontri sono stati fondamentali per fare luce sulla loro condizione sociale, economica e politica e per consentire una presa di parola e un’organizzazione diretta.
In che misura il fatto di essere donne determina tanto la possibilità di essere sfruttate nella particolare forma del lavoro a domicilio, quanto i limiti o le prospettive della lotta e della partecipazione politica? In che modo la loro lotta sta avendo effetti sui rapporti domestici e sociali tra i sessi?
Attraverso i nostri gruppi di studio e di addestramento la questione della differenza sessuale è emersa in molti modi. Si è trattato di un’acquisizione di consapevolezza che ha accresciuto il senso di fiducia delle donne che fanno parte della nostra federazione, che ora partecipano ad attività diverse come manifestazioni e presidi e danno voce alle loro istanze. L’organizzazione ha anche incrementato la loro forza, nel momento in cui hanno acquisito il potere di rivendicare i loro diritti. Ha anche cambiato la situazione all’interno delle case, perché le donne prendono parte ai processi decisionali e, se all’inizio la maggior parte degli uomini impediva alle donne di partecipare alle nostre attività, ora partecipano loro stessi ai nostri programmi. Dopo la registrazione del sindacato HBWW di Hyderabad, i lavoratori maschi hanno deciso di creare una loro organizzazione per rivendicare i loro diritti, e questo mostra la forza che siamo state in grado di accumulare in aree dove le donne non avevano alcun potere ed erano confinate in casa, ma dove ora anche gli uomini stanno seguendo la strada che abbiamo indicato e ci chiedono di lavorare anche per loro.
Siete connesse ad altri movimenti e organizzazioni nella vostra regione?
Sì, abbiamo delle connessioni con la NTUF a livello nazionale e una rete più ampia nella regione del sud asiatico. La NTUF ci ha supportate dal punto di vista legale per costituire i nostri sindacati, e a livello regionale siamo in contatto con altre organizzazioni che si occupano di lavoro a domicilio. E vale sicuramente la pena ricordare le Lady Health Workers, che hanno lottato e continuano a lottare per la loro regolarizzazione, ma anche le lotte delle infermiere e delle donne contadine.
Quali sono gli obiettivi dell’HBWWF per migliorare le condizioni delle lavoratrici a domicilio? Pensi che sia possibile un’organizzazione più generale delle lavoratrici che non sia semplicemente legata alla loro categoria ma che le coinvolga come donne?
I nostri obiettivi sono di ottenere una legislazione sul lavoro a domicilio, coinvolgere i media nelle nostre diverse attività, coinvolgere il dipartimento del lavoro affinché si attivi sulla situazione delle lavoratrici a domicilio, organizzare una campagna per la sicurezza sociale, i diritti e l’aumento dei salari, lavorare per lo sviluppo delle competenze e delle qualifiche delle lavoratrici . Oggi la HBWWF rappresenta già diverse categorie di lavoratrici coinvolte nella manifattura locale e nell’industria per l’esportazione, ma in futuro potremmo provare a formare un network di lavoratrici donne del settore formale e di quello informale.