«A Francoforte non ci sono più soldi», ci ha raccontato una compagna alla fine del corteo. Persino le banche della periferia hanno chiuso, preoccupate dell’arrivo di manifestanti da ogni parte d’Europa. Nonostante le prime due giornate siano state segnate dall’azione metodica della polizia per scoraggiare la mobilitazione, il corteo oggi non lascia dubbi su chi abbia vinto in questo scontro di forze. La polizia parla di 25000 partecipanti, noi sappiamo che la stima è in difetto, ma sappiamo anche che i numeri non sono l’unica misura politica di questo evento, per quanto oggi siano stati imponenti. Hanno vinto i compagni tedeschi che, nonostante i dubbi di qualcuno, sono riusciti a organizzare tre giornate la cui importanza va anche oltre i confini europei.
Ci sono diverse immagini da ricordare di questa giornata. Una fra tutte, la decisa e decisiva compattezza del corteo. Nonostante fosse animata da uno spettro assolutamente composito di forze politiche – dalla sinistra parlamentare a quella anticapitalista, da alcune forze sindacali ai collettivi antifascisti – in nessun momento si è ceduto alla strategia di «isolare» i blocchi più marcatamente antagonisti. Centinaia di poliziotti vestiti a festa che «scortano» interi pezzi di corteo in fila indiana, o si insinuano tra i manifestanti con interventi mirati agli individui ritenuti più pericolosi – è una pratica comune della polizia tedesca, ma può comunque risultare provocatoria. Eppure per quattro ore, ogni volta che un gesto di questo tipo ha aperto un varco tra i diversi spezzoni, la risposta è stata unanime. Quelli che avanzavano tornavano indietro, richiamati da un passaparola rapido ed efficace mentre la polizia dai suoi altoparlanti allarmava: «manifestanti, state andando nella direzione sbagliata». In effetti.
Il significato politico di quest’immagine è forte. Il processo organizzativo che ha portato a questo evento non si è limitato a stringere alleanze, e neppure a pianificare un’eruzione di rabbia da opporre alla cosiddetta dittatura finanziaria della UE. Si è trattato invece di un lavoro che ha cercato di allargare il più possibile lo spazio della visibilità e del protagonismo di quanti – persino nel paese più ricco d’Europa – si oppongono alla sovranità del denaro.
Anche per questo, #Blockupy Frankfurt ha prodotto uno spazio realmente transnazionale. Transnazionale perché da ogni paese europeo sono accorsi qui per esprimere chiaro il loro rifiuto dello sfruttamento e della precarizzazione, rafforzato ai piani alti della Troika. Transnazionale perché ha imparato da esperienze che vengono da fuori i confini dell’Europa, imparando da alcuni protagonisti della primavera araba o di #Occupy Wall Street. Transnazionale perché ha dato centralità alle lotte dei migranti contro il regime dei confini e per la libertà di muoversi dentro e fuori l’Europa. Transnazionale, infine, perché non ha scelto, come invece capita altrove, il sistema politico tedesco ed europeo come proprio referente, evitando così di misurare la propria azione esclusivamente sulle sue convulsioni. Il «cattivo», qui, lo hanno chiamato col suo nome globale: capitalismo. E hanno dato il segno di una possibilità di lotta aperta ed espansiva, che riempie e va oltre questo evento.
La rabbia c’era, ed era tanta. L’assenza di scontri durante queste giornate transnazionali del maggio globale non ha significato una mancanza di radicalità o autonomia, ma l’esatto opposto. Qui migliaia di uomini e donne sono riusciti a negare ogni tipo di legittimità ex post alle scelte di governo poliziesco di questo evento. E questo va ben oltre il quadro di movimento di questo paese, perché dalla cancelleria poteva partire un’indicazione precisa per gli altri governi della UE; da oggi, invece, sarà un po’ meno semplice ostacolare le lotte di precarie, migranti e operai «con ogni mezzo necessario». Valeva la pena esserci.