Sabato 10 marzo, a Bologna, oltre cento donne e uomini hanno partecipato all’assemblea Contro le fabbriche della precarietà. Precarie, operai, migranti, studentesse hanno parlato e si sono parlati, dando voce ai percorsi che hanno condotto a questo primo momento pubblico.
Gli operatori e le educatrici del welfare precario hanno raccontato l’esperienza di un lavoro sempre più disperso, della difficoltà di individuare il proprio nemico quando trionfa la sussidiarietà e proliferano grandi e piccole cooperative di servizi, e quando il rapporto di lavoro coinvolge persone, e non solo utenti; ma hanno anche indicato l’urgenza di un’organizzazione che manca, e la necessità di connettere i diversi anelli della catena del welfare precario, dai dipendenti pubblici dei servizi sociali fino ai cosiddetti utenti, per rompere l’isolamento in cui sono immerse le operaie del welfare e per accumulare forza.
Le operaie e gli operai metalmeccanici hanno spiegato che la precarietà è entrata prepotentemente in fabbrica, sia con l’impiego di cosiddetti lavoratori somministrati, sia con il ricatto padronale e l’aumento dell’autoritarismo; ma hanno anche indicato la necessità di costruire nuovi percorsi che sappiano usare le loro capacità di mobilitazione, mostrata anche nello sciopero del 9 marzo, dentro e contro la precarietà, dentro e fuori le fabbriche, e di costruire processi di comunicazione nella precarietà al di là delle categorie.
I migranti e le migranti hanno portato l’esperienza del ricatto della Bossi-Fini e del permesso di soggiorno, che attraversa tutti i luoghi di lavoro e tutte le categorie, e che intreccia insieme la precarietà giuridica e quella lavorativa; ma hanno anche indicato la possibilità di costruire su questo terreno una lotta generale, così come è stato il primo marzo 2010 e 2011, con gli scioperi del lavoro migrante. Respingere l’ipoteca del razzismo istituzionale vuol dire prima di tutto contrapporre al punto di vista dei precarizzatori il nostro interesse comune contro le altre fabbriche della precarietà.
Le studentesse e gli studenti di Scienze della formazione hanno spiegato che questa facoltà è diventata la fucina di produzione dei futuri precari del welfare, studenti che fanno tirocini non pagati, che già lavorano o che sono destinati a lavorare secondo modelli sempre più affini al volontariato, con alte qualifiche che corrispondono a bassi salari e nessuna sicurezza; ma hanno anche indicato la necessità di un percorso di comunicazione all’interno di quella facoltà che prepara al welfare precario, come è avvenuto nell’assemblea dello scorso 7 marzo, e tra i precari dei servizi di oggi e quelli di domani.
E precari e precarie della ricerca hanno sottolineato che l’Università vive di una precarietà che investe la formazione – perché precario è il lavoro e precaria la scienza prodotta e trasmessa – ma passa anche per le condizioni delle addette alle pulizie o dei responsabili della logistica. Figure diverse del lavoro, certo, ma connesse da quella condizione che accomuna e che divide, che si chiama precarietà.
Più di cento precarie, operai, migranti e studentesse hanno preso parola non come esponenti di questa o quella categoria, ma per costruire connessione tra le diverse fabbriche dove, in modi diversi, la precarietà viene prodotta. Precarie, operai, migranti, studentesse, hanno dato voce alle loro esperienze e rilanciato in avanti: il 10 marzo hanno dato vita a un percorso collettivo aperto, hanno dato il segno che si può rompere l’isolamento, costruire comunicazione, ribaltare i ricatti. Questo percorso collettivo ambisce ad allargare ancora ciò che è stato fatto fin qui, portandolo nelle realtà sociali, nelle organizzazioni sindacali, in ogni luogo di studio e di lavoro.
Questo percorso collettivo guarda avanti, non indietro. Riconosciamo l’urgenza di conquistare qualcosa di più in termini di denaro, garanzie e stabilità, e che tutto questo non lo otterremo con l’estensione delle tutele del lavoro attualmente esistenti. La precarietà è la condizione ormai generale di tutto il lavoro, e non ci sarà un governo più comprensivo o una riforma più gentile a cambiare questa situazione.
Nel cuore della crisi globale sappiamo che non ci sono età dell’oro alle quali ritornare e che lo sfruttamento non è un’invenzione dei nostri giorni, anche se non si può ignorare che il lavoro si è trasformato, che non ha più un luogo esclusivo, un tempo uniforme, forme di rappresentanza o di organizzazione già date. Noi sappiamo che ogni futuro miglioramento delle nostre condizioni dipenderà dalla nostra capacità di produrre lotte di tipo nuovo. Ci poniamo l’obiettivo di contrastare spregiudicatamente lo stato di cose presente, dove l’unico punto di vista è quello dei precarizzatori e sembra che non esistano alternative a lotte puramente difensive. Lo facciamo come risposta ai ricatti: quello vissuto dai migranti a causa del permesso di soggiorno e dei CIE, quello conosciuto dalle donne come operaie del welfare o quando sono colpite dalla precarizzazione dei servizi, quello che l’abbattimento dei salari o l’esternalizzazione della catena fa arrivare nelle fabbriche, quello del debito che pesa sulle studentesse e le loro famiglie, che per avere un futuro se lo devono ipotecare.
Contro questi ricatti noi stiamo costruendo connessioni per un punto di vista precario: una prospettiva autonoma che è capace di scegliere e che pretende di dettare i propri tempi. Questo percorso non sarà la somma delle singole vertenze nelle quali tutte e tutti siamo impegnati, anche se dovrà essere in grado di offrire loro solidarietà e appoggio. Questo percorso dovrà attraversare queste vertenze per farle diventare qualcosa di più, dovrà costruire la propria piattaforma misurando la propria capacità di produrre iniziative.
Ci poniamo come primo obiettivo un tempo medio, e guardiamo verso la prima metà di maggio quando, insieme al resto d’Europa e rispondendo all’esperienza del movimento Occupy, potremo produrre forme di sperimentazione dello sciopero precario: uno sciopero dentro e contro la precarietà, che sappia connettere le differenze di condizioni e possibilità, che sappia inceppare in punti diversi la catena lungo la quale, per incrementare i profitti, si i impoveriscono salario e reddito. Per questa ragione continueremo con la “precaria inchiesta”, che fino a oggi ci ha dato la possibilità di aggiungere tasselli al complicato puzzle del punto di vista precario e di connettere sempre nuovi precarie, migranti, operai e studentesse. Per questa ragione, individueremo quei luoghi in cui la precarietà è in conflitto, per farne una leva su cui premere per abbattere le fabbriche della precarietà.
Sono messi a disposizione di questo percorso i diversi strumenti di comunicazione delle realtà presenti e quelli collettivi offerti dal sito http://fabbrichedellaprecarieta.wordpress.com/
e della pagina Facebook “Contro le Fabbriche della Precarietà”
http://www.facebook.com/profile.php?id=100003576224529.
Contro le Fabbriche della precarietà – controfabbricheprecarieta@gmail.com