Secondo stime ufficiali del 2009, in Pakistan ci sono otto milioni e mezzo di lavoratori a domicilio, dodici milioni, secondo le organizzazioni di supporto ai lavoratori. Il 65% sono donne, e producono da sole, ogni anno, una quota pari a 4,5 miliardi di dollari dell’intero PIL del paese. Soltanto nel 2011 la National Industrial Relation Commission di Islamabad ha riconosciuto a queste donne lo statuto di lavoratrici, in seguito alle lotte della Home Based Women Workers Federation (HBWWF), la prima organizzazione – solo recentemente riconosciuta dalla Trade Union Federation pachistana – che si è fatta carico di dare visibilità politica alle condizioni e alle rivendicazioni di questo segmento della forza lavoro globale.
Si parla di lavoro a domicilio – come quello erogato dalle Lady Health Workers (LHW), le operatrici che si occupano di garantire un minimo livello di cura e informazione socio-sanitaria alle famiglie e alle comunità – ma non si parla di lavoro domestico e riproduttivo. Questo lavoro a domicilio non è un residuo storico dovuto a rapporti di produzione arretrati. È vero che è stato ampiamente diffuso in Italia e in Europa nei decenni passati. Nella ristrutturazione di settori importanti come il tessile, esso è però tornato a essere un’occupazione di molte donne e anche di molti uomini, perché il lavoro a domicilio consente ovviamente alle imprese di scaricare su lavoratrici e lavoratori una serie di costi fissi. Il lavoro a domicilio, ben lungi dall’essere un residuo del passato proto industriale, s’inserisce invece nella precarizzazione globale del lavoro. Esso non è una sorta di porta di accesso verso lavori riconoscibili per gli spazi in cui sono erogati, per i diritti che li accompagnano, per il salario che garantiscono. Essi sono la manifestazione più evidente della condizione presente del lavoro. Anche queste donne pachistane, infatti, sono impiegate nel settore tessile, in quello alimentare, nella produzione di bigiotteria o nella lavorazione dell’incenso, e forniscono un lavoro altamente specializzato in cambio di un salario che non raggiunge un terzo degli standard minimi previsti dalla legislazione sul lavoro. Il mancato riconoscimento del loro statuto di lavoratrici ha fatto sì che fossero escluse dal versamento dei contributi sociali, da ogni garanzia previdenziale e dalla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. Una questione di non poco conto, dal momento che molto spesso il loro lavoro comporta l’uso di prodotti chimici altamente nocivi, all’interno di uno spazio chiuso e destinato contemporaneamente ad altre attività domestiche, prima di tutto la cura dei figli.
Le lavoratrici a domicilio lavorano a cottimo, impiegate attraverso una rete di caporalato che, in molti casi, è al servizio di imprese multinazionali attratte dalle export processing zone, zone franche che garantiscono alti livelli di profitto grazie alla disponibilità di una forza lavoro flessibile e non sindacalizzata. Il rapporto di lavoro non è sanzionato da un contratto di impiego, e ciò impedisce loro di rivendicare i propri diritti anche solo in sede giudiziaria. Nonostante le dichiarazioni di intenti del governo e il programma di legislazione a tutela del lavoro a domicilio, la natura informale del lavoro è il primo ostacolo all’effettiva attuazione di ogni genere di intervento istituzionale. Che, in ogni caso, non mette in discussione l’erogazione a domicilio del lavoro stesso.
Si parla di lavoro produttivo, ma il lavoro domestico delle donne, la loro “normale” attività di riproduzione – sia essa di natura gratuita o salariata – può essere letta come il paradigma del lavoro informale nel suo complesso. L’informalità non ha a che fare semplicemente con l’assenza di un regolare contratto di lavoro, non coincide con il lavoro in nero. Si tratta, piuttosto, della destinazione di tutto il lavoro dal momento che, al di là di ogni forma di regolazione giuridica, la definizione delle sue condizioni è demandata interamente ai rapporti di forza tra le parti. Da questo punto di vista, che queste lavoratrici siano donne fa la differenza, perché la loro possibilità di uscire dalle case/officine e di entrare nello spazio pubblico della visibilità e della presa di parola è resa ancora più complessa dalle gerarchie sessuali. Per questa ragione l’esperienza della HBWWF, la sua capacità di rompere l’isolamento domestico e di produrre momenti di lotta efficaci, ha molto da raccontare alle esperienze che scommettono sulla necessità di connettere le diverse figure del lavoro, di rompere quella condizione di isolamento che chiamiamo precarietà. L’autrice di un’interessante inchiesta del Tribune Express sulle condizioni delle lavoratrici a domicilio ha sottolineato che queste donne sono coraggiose perché convinte di poter vincere la corsa del lavoro a cottimo, costruendo per se stesse una dote. Noi prendiamo in dote il loro coraggio, e un’esperienza che avanza la pretesa di scrivere una nuova pagina delle lotte delle donne nel lavoro. Cominciamo a raccontare quest’esperienza a partire dalla traduzione e pubblicazione dell’appello lanciato dalla HBWWF e dalla LHW per una grande manifestazione di lavoratrici domani, 8 marzo, a Karachi.
Una nuova pagina di lotte
Le Home Based Women Workers (HBWW) e le Lady Healt Workers (LHW) si preparano a celebrare con entusiasmo, a Karachi, la giornata internazionale delle donne.
Negli ultimi tempi abbiamo cominciato a scrivere una nuova pagina di lotte, e a dare coraggio ad altri segmenti di lavoratori e lavoratrici oppressi affinché combattano per i loro diritti.
Le HBWW si sono mobilitate affinché le lavoratrici a domicilio fossero riconosciute come tali, e fossero perciò tutelate dal sistema di sicurezza sociale. Le LHW hanno dato il via a un potente movimento di lotta per la loro regolarizzazione e per ottenere aumenti salariali.
È un grande risultato che le lavoratrici domestiche abbiano dato vita alla loro prima organizzazione nazionale,la Home Based Women Workers Federation, finalmente riconosciuta dalla Commissione nazionale per le relazioni industriali del Pakistan (NIRC). È un grande risultato che le operatrici sanitarie domiciliari si siano organizzate nella All Pakistan Lady Health Workers Employees Association (APLHWEA) per difendere i loro diritti.
Insieme, la HBWWF e la APLHWEA, con il supporto della Trade Union Federation, organizzano una manifestazione delle donne lavoratrici in occasione della giornata internazionale delle donne, giovedì 8 marzo. Partecipate tutte alla manifestazione, e portate con voi le bandiere rosse di una lotta per il cambiamento rivoluzionario!
Home Based Women Workers Federation
All Pakistan Lady Health Workers Employees Association