martedì , 5 Novembre 2024

Un delirio organizzato. V., impiegata in un museo tramite un’associazione culturale

Mettiti calmoChe lavoro fai? Da quanto lavori?

Sono V., ho 27 anni e lavoro all’associazione culturale *** come operatrice didattica, educatrice, da un anno. Sono socia di quest’associazione e tramite di essa lavoro al museo ***, con cui l’associazione ha stipulato un contratto di un anno. Il mio lavoro mi piace moltissimo, è il lavoro che volevo fare: infatti non lavoro solo al museo, ma abbiamo anche progetti esterni. I soci all’interno di quest’associazione hanno in pratica lo stesso potere decisionale, è chiaro che chi ha più esperienza, chi è dentro all’associazione da più tempo gestisce i progetti più grandi. Mentre noi che siamo arrivate dopo ci occupiamo di quelle minori oppure facciamo delle sostituzioni nei progetti più grandi. Di fatto però nelle riunioni siamo sempre tutti insieme, quindi tutti conoscono il lavoro che fanno gli altri e tutti possono partecipare e dire la propria riguardo alle decisioni che vengono prese.

Esattamente cosa significa essere soci?

Siamo un’associazione culturale, con un proprio statuto: ti iscrivi pagando una quota annuale. Una volta che sei socia puoi lavorare. Unici prerequisiti sono avere una laurea specialistica.

Come singoli lavoratori siete pagati direttamente dove fate progetti, oppure sono passati dei soldi all’associazione che poi vi dividete?

Il museo non c’entra nulla, ci paga l’associazione con i fondi che l’associazione riceve da fondazioni private, la Fondazione Del Monte e la Fondazione Carisbo e solo una piccolissima parte dal museo. Quindi di base veniamo pagate dall’associazione pur lavorando all’interno del museo. Il museo è pubblico e l’associazione di fatto è privata: il discorso è che il museo paga solo poche persone interne. Tutti gli educatori sono pagati dall’associazione.

Se siete tutti soci, quindi lavorate sempre?

Sì, però il nostro lavoro dipende da quanto ci passano le fondazioni. Se la fondazione x non ci passa più soldi, noi non possiamo fare niente perché non possiamo essere pagate. Quindi tu sei socio fin quando c’è lavoro.

Quanti siete?

Siamo in nove.

Quali sono gli altri progetti che state seguendo?

Seguiamo progetti dappertutto, non solo a Bologna ma anche in altre città in Italia. Quindi ci stiamo un po’ espandendo e soprattutto lavoriamo anche all’interno delle scuole, nei centri culturali, nelle biblioteche. Il museo è solamente una parte del lavoro.

All’interno delle scuole che tipo di attività portate avanti?

O i doposcuola, quindi i pomeriggi d’attività, cioè i bambini finita la scuola rimangono lì a mangiare e dopo fanno due ore al pomeriggio in cui noi facciamo dei laboratori, non so laboratori d’arte. Oppure facciamo dei moduli che comprano le scuole in cui noi andiamo a scuola per un tot di volte e facciamo degli incontri con un tema specifico. In alcune scuole seguiamo proprio il modulo d’arte, sempre al pomeriggio. Tutto questo è a discrezione delle singole scuole.

Ma sono ore sostitutive o in aggiunta che la scuola decide di fare con i bambini?

Quando facciamo il modulo d’arte i bambini scelgono se partecipare al modulo. Quindi se farlo o meno o scegliere un’altra cosa che può essere danza, calcio o altre attività integrative. Quando facciamo lavoro in classe è la maestra che decide di chiamarci, quindi tutti i bambini devono fare l’attività. Dipende dalle scuole, molto spesso però vengono fatti pagare i singoli bambini per le attività perché le scuole non hanno i soldi. Teoricamente le spese sarebbero a carico della scuola, ma in pratica si chiede un contributo alle famiglie. Considera che un’attività costa, non so, 40 euro, sono venti bambini: quindi ogni bambino dà due euro e fanno due ore di attività. Quando invece è il modulo scolastico, lì pagano sempre i genitori ma all’interno delle tasse scolastiche. Però sono scuole private quelle che fanno i moduli d’arte di solito, mentre i modulini piccoli li facciamo spesso nelle scuole pubbliche.

Ma anche nelle scuole pubbliche si chiede un contributo alle famiglie?

Generalmente si usano i soldi avanzati da gite, recite o altro: di fatto sono sempre i bambini che pagano, così come quando fanno le uscite al museo. Cioè pagano loro.

Come associazione quanto avete a disposizione e quanto le fondazioni private vi passano?

Ci passano tutto. Praticamente noi riusciamo ad andare avanti in base ai soldi che le fondazioni private ci danno. In base ai soldi che abbiamo facciamo progetti per tre mesi, sei, un anno. Dipende…

Ma ricevete più o meno un “salario” fisso o questo dipende dalle attività che vengono fatte?

No, non riceviamo una quota fissa al mese. O meglio la maggior parte di noi non ce l’ha, a parte la presidente che ce l’ha. Lei però è pagata dal comune, ma non lo so, non ne sono certa. Però la maggior parte degli operatori sono pagati a chiamata: quindi vanno lì, fanno il loro laboratorio, la loro attività e vengono pagati. È un buon compenso. Sia per le attività dentro il museo, sia per quelle fuori. Lavorando lì da non troppo, non ho tantissime attività, e quindi ogni mese è variabile: sono andata da un massimo di 750 euro al minimo di 250 euro. Quindi alla fine devi fare un altro lavoro, per forza.

Per come è strutturato il lavoro, riuscite ad instaurare una certa continuità con i bambini?

Ci sono progetti a lungo termine. Tipo un progetto che sto portando avanti adesso con una scuola, è iniziato a ottobre e finirà a giugno. Quindi ci vediamo tutte le settimane, due volte a settimana e quindi lì c’è un rapporto continuativo. Molto spesso si riesce a creare una certa continuità quando fai progetti nelle scuole, nei quartieri. Quindi progetti principalmente esterni perché poi i bambini che frequentano i progetti di fatto sono sempre gli stessi. I bambini che vengo al museo per fare una visita cambiano sempre, però secondo me anche un solo incontro di due ore incide comunque. Dal mio punto di vista credo che sia un lavoro essenziale nell’ambito della cultura perché se si sensibilizzano questi bambini da quando sono piccoli, dopo un po’ di tempo ne avranno comunque bisogno e quindi non permetteranno che la cultura venga del tutto dismessa. È una sorta di lavoro sociale, perché è una sorta di necessità che si imprime all’interno del bambino e quindi vuole tornare. In generale i bambini sono sempre molto contenti quando fanno queste attività e non è vero il fatto cha al museo vengano solo bambini di famiglie benestanti. Vengono scuole di ogni genere e tipo, da quelle private a quelle di periferia come le scuole del Pilastro. Quindi in realtà c’è una vastissima gamma e secondo me anche il singolo incontro è importante. È chiaro che se poi si può continuare un lavoro a scuola o se le maestre sono così brave da proseguire è molto meglio.

Con quanto anticipo sapete che lavoro dovrete fare ogni settimana?

Noi all’inizio del mese facciamo il calendario con tutte le prenotazioni delle scuole più i calendari esterni con i progetti fuori e ci dividiamo i compiti tra gli operatori. Poi è chiaro che c’è sempre un imprevisto, si aggiunge sempre della roba e quindi capita che ti dicono che devi andare a lavorare tre giorni prima e devi essere pronto. Però se tu dici che non puoi perché o stai lavorando da un’altra parte o devo fare altro va bene, pazienza. Chiaro che ci sono delle situazioni limite in cui è necessario che tutti lavorino. Per esempio c’è stata una giornata particolare in cui tutti i musei erano aperti gratuitamente ed era assolutamente necessario che fossimo tutti presenti, perché altrimenti non sarebbero bastate le guide. Di base all’inizio del mese sai su quanti soldi puoi contare, sapendo sempre che almeno 150 euro in più alla fine del mese li avrai: per una sostituzione di un’altra persona o così.

Fai un altro lavoro vero? E se non sbaglio stai ancora studiando?

Sono iscritta a una specialistica [oltre ad avere già un’altra laurea specialistica ndr]. Faccio pure la babysitter, e riesco a prendere il necessario per essere autosufficiente dai miei genitori. In media 850 euro al mese, poi c’è stato il famoso mese in cui ho preso 750 euro con l’associazione e più o meno altrettanti con la bambina. Quindi erano 1600 che mi bastano per due mesi. Da un punto di vista esistenziale tutto ciò è il delirio organizzato. Fai molta fatica, devi coordinare tutto, devi essere una persona assolutamente metodica, o se non lo sei devi importi di esserlo, perché altrimenti non riesci a fare altro. E quindi per riuscire ad avere una vita privata e sociale, per uscire, è necessario che tu stia all’interno di tempi e ritmi molto serrati. Ce la fai per un periodo limitato. Infatti il secondo lavoro che ho sto iniziando a lasciarlo un po’. Quindi lavoro meno con la bambina.

Visto che hai partecipato alla prima assemblea del Laboratorio, posso chiederti come ti è sembrato? Soprattutto il confronto con precari e precarie che vivono una situazione lavorative completamente diversa.

Secondo me l’incontro è stato assolutamente essenziale perché capire un po’ le diversità è necessario per riuscire magari a trovare un paradigma comune, una condivisione di una condizione. Il punto di contatto c’è: è il fatto di non essere sicuri assolutamente di niente, di essere in ballo tutti i giorni. Però c’è una diversità di fondo enorme: una prima è tra chi lavora magari in un’associazione o nel pubblico e chi lavora in un’azienda. Questa è una differenza enorme, infatti si è parlato tanto di privato, di azienda, di padrone e io non mi ci rispecchiavo assolutamente in questo tipo di discorso. Gli incontri sono essenziali e forse a lungo termine sarà possibile trovare un piano di azione comune. Per quanto riguarda l’idea di sciopero, quindi di scesa in piazza la vedo molto difficile. Nel senso che per me potrebbe anche essere semplice, perché non metto la disponibilità per quel giorno per andare al lavoro. Io non sono obbligata a star lì tutti i giorni ma c’è un calendario con delle disponibilità.  Però immagino che per tantissime altre persone non sarebbe così, quindi anche l’efficacia del mio sciopero è così… in realtà è come se io non scioperassi affatto perché dico: “non vengo al lavoro” e vado da un’altra parte. Quindi lo sciopero non ha efficacia per noi. Poi bisogna considerare che quando non segnali la disponibilità non prendi i soldi, mi pagano a prestazione esattamente: per scrivere i progetti, tutta la parte di allestimento, il laboratorio di per sé. E poi nel momento in cui lavori a disponibilità e ci fosse uno sciopero tu potresti non dare la tua disponibilità e partecipare allo sciopero, in questo modo però magari impediresti a un’altra persona di partecipare a questo sciopero. Anche se, mi viene da dire, se una persona dà disponibilità vuol dire che lo sciopero non le interessa

E se tutti nove prendeste la decisione collettiva di non lavorare?

In quel caso sarebbe un bel casino, perché non ci sarebbe nessuno che potrebbe coprire i turni. Lì entra in gioco in discorso etico di un altro tipo, perché essendo un’associazione e cercando sempre di pararci il culo è come se noi lavorassimo per noi, in privato. Quindi se scioperiamo ci mettiamo nella merda noi da soli. Tutti allo stesso modo. E quindi se tu non lavori e dici: “Ok nessuno va a fare il laboratorio al Pilastro”, è l’associazione che ci rimette e quindi l’associazione non la chiameranno più, non le daranno più del lavoro. E quindi ci rimettiamo noi come soci, perché l’associazione siamo noi. L’associazione rischierebbe di chiudere: siccome le persone non partecipano più, non ci verrebbe garantito il lavoro dalla scuola e magari la scuola non ci chiama più. Però per noi perdere delle scuole così significa fallire, anche perché considera che è un lavoro in cui tu credi. Visto che c’è un interesse, e una volontà perché ci credo fortemente in questa cosa, altrimenti non la farei, probabilmente qualcuno che dà disponibilità ci sarebbe sempre. Se poi non facessimo il laboratorio in una scuola per un giorno, beh questo è un danno assolutamente relativo: i bambini farebbero altro. O magari la scuola si rivolge a un’altra associazione che gli fa la stessa cosa allo stesso prezzo, perché più o meno i prezzi sono standard. Noi però spesso lavoriamo anche gratuitamente per il curriculum dell’associazione. Perché se l’associazione ha un buon curriculum ti chiamano di più, perché è una condizione particolare del lavoro.

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