di MIMMO PERROTTA e DEVI SACCHETTO
«Le cose vanno crescendo, anche se non nel modo in cui ci aspettavamo, ma vanno crescendo», cosi Yvan, camerunense, uno dei portavoce della protesta di Nardò. Ieri mattina quasi 150 lavoratori sono tornati nelle campagne a raccogliere i pomodori, mentre quasi altrettanti hanno deciso di continuare l’astensione dal lavoro. Gli scioperanti hanno deciso di non effettuare più i blocchi «dissuasori» intorno alle strade della masseria Boncuri alle tre del mattino, che hanno caratterizzato l’ultima settimana.
In compenso però i caporali hanno iniziato a regolarizzare la posizione contrattuale dei lavoratori e alzato il prezzo del cassone fino a 6 euro, entrambe richieste della prima ora degli scioperanti. Nei fatti è uno scardinamento della compattezza fin qui dimostrata, sebbene le discussioni anche con questi immigrati ritornati al lavoro siano continue da parte degli scioperanti. Quanti lavorano godono così dei primi effetti dello sciopero e soprattutto dello sforzo di continuarlo da parte di molti migranti. I pomodori sui campi stanno marcendo e non è sempre possibile attingere a fondi statali o europei per ripianare le perdite. «Vogliamo cambiare qualcosa nel sistema di lavoro e di questo siamo orgogliosi» afferma Gharib, uno dei tunisini che più si sono esposti in questa vicenda. La regolarizzazione contrattuale penalizza le poche decine di persone senza documenti, alcune delle quali lavorano però sotto falso nome. La combinazione tra la normativa Bossi-Fini e le sue appendici successive e la legislazione sul mercato del lavoro hanno un effetto devastante sui migranti.
Ma aziende e caporali hanno capito che qualcosa è cambiato e che, almeno per quest’anno, occorre arrangiarsi. I caporali al momento mantengono un ferreo controllo sull’organizzazione del lavoro, sebbene abbiano dovuto accettare momentaneamente una situazione per loro incontrollabile. James, un ghanese che già era passato di qui l’anno scorso, chiarisce: «i caporali nei giorni scorsi si nascondevano, adesso si sono messi in regola e vengono qui alla mattina senza paura perché sanno che incorrono in una semplice sanzione amministrativa; all’inizio pensavano che questa campagna li avrebbe fermati, mentre adesso le multe che ricevono sono di 40, 50 euro e per loro che guadagnano 20, 25, 30 mila euro in una stagione, non gliene frega niente. Vengono qui in tutta libertà e si vantano anche dicendo che: ‘lo sciopero non serve a niente, vedete che le forze dell’ordine non riescono a fermarci, venite a lavorare’».
Eppure le minacce, dirette e indirette, da parte dei caporali continuano nei confronti di Yvan come degli altri protagonisti di questo sciopero estivo, che disturba poiché pur privo della violenza facilmente mediatizzabile, è assolutamente determinato nei suoi obiettivi. Nella riunione con il Prefetto di lunedì prossimo, ottenuta dopo la manifestazione di giovedì mattina alla prefettura di Lecce, i punti da discutere sono già chiari: contratti di lavoro «reali»; l’affidamento al Centro per l’impiego dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro; mezzi di trasporto gratuiti e adeguati per andare al lavoro; aumenti salariali; un medico e un infermiere a disposizione dopo il lavoro. Sono richieste apparentemente moderate, ma che nell’agricoltura meridionale sembrano incompatibili per le aziende che devono cercare di «rimanere nel mercato». Resta da capire quali sono le aziende su cui puntare per provare a siglare degli accordi, perché le tre, quattro associazioni di categoria locali non sempre sono rappresentative.
Qualche tensione tra braccianti di diverse nazionalità è ripresa dopo sette giorni di sciopero: sudanesi e tunisini, che possono contare su caporali che controllano di fatto il mercato del lavoro, si sentono più penalizzati di altri. Senza dubbio gli «spassionati suggerimenti» dei caporali incidono tra chi sperava in qualche giorno di salario. Gli organizzatori dello sciopero sono consapevoli di queste divisioni e di questi risentimenti. Anche ieri sera si sono svolte lunghe discussioni tra i lavoratori, con qualche momento di tensione. Ma uno dei risultati più importanti della mobilitazione è proprio il fatto che nel campo si sia rotto l’isolamento tra i braccianti: «Prima ognuno andava a lavorare e poi tornava a dormire e non sapeva nemmeno quello che succedeva nel campo. Da quando è iniziato lo sciopero c’è più comunicazione e discussione», afferma contento Mohammed, sudanese.
In effetti le discussioni sono continue sia sullo sciopero e le richieste da portare avanti, sia sull’attenzione mediatica, sia soprattutto sulle prossime campagne di raccolta che aspettano questi lavoratori: «A Foggia hanno gli stessi problemi che abbiamo noi e che ci sono in tutto il sud Italia», ricorda Tarek. E un altro lavoratore afferma: «vogliamo estendere la nostra lotta a tutta la Puglia e, se possibile, al sud Italia perché finisca questo fenomeno di sfruttamento soprattutto dei migranti». Anche la Flai-Cgil regionale sembra intenzionata a mobilitarsi per le prossime raccolte, ma occorrerà poi misurare sul campo i margini di manovra.
Intanto prosegue silenziosa la solidarietà. Anche ieri sono arrivate due signore di Galatina, un paese a 15 chilometri da Nardò, che in uno splendido anonimato portano una decina di sacchetti della spesa. «Una solidarietà per la lotta, non carità», tengono a sottolineare.
Stamani alcuni lavoratori della Fiom-Cgil sono venuti a discutere con i lavoratori in sciopero, mentre le riunioni auto-gestite dai migranti sono continue. Oggi, sabato, alle 16.30 è prevista un’assemblea di realtà antirazziste pugliesi, lucane e calabresi per discutere anche delle prossime raccolte.