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Ucraina. Aspettando gli europei di calcio

di FRANCESCA A. VIANELLO

Ucraina aspettando gli europei di calcioLeopoli, Ucraina. Aprile 2012. Atterro sulla solita pista bucherellata ma, guardando fuori dal finestrino, noto qualcosa di diverso: è il nuovo aeroporto internazionale costruito in vista del campionato di calcio europeo che tra giugno e luglio si giocherà in alcuni stadi dell’Ucraina e della Polonia. La nuova pista, tuttavia, non è ancora pronta, per questo l’atterraggio avviene nel vecchio aeroporto sovietico decorato con statue e murales che rappresentano il lavoro contadino e operaio.

La città si sta preparando da diversi anni al campionato europeo. Ristoranti, caffè e ostelli sono spuntati come funghi per accogliere le masse di tifosi. Ma le infrastrutture saranno forse pronte solo just-in-time: oltre all’aeroporto anche la strada che porta alla stazione ferroviaria è in via di ristrutturazione. D’altra parte non esiste in tutta Leopoli una mappa dei mezzi di trasporto pubblici, mentre l’inglese è una lingua in buona misura sconosciuta al personale delle strutture ricettive e turistiche.

Per accogliere il campionato europeo di calcio sono stati spesi negli ultimi cinque anni ben 65 miliardi di hryvna (circa 6 miliardi di euro) in gran parte provenienti dalle casse delle amministrazioni statali, sia nazionali sia locali. Chi ci ha guadagnato invece sono stati soprattutto i grandi costruttori, mentre i lavoratori ucraini hanno ottenuto un misero impiego a breve termine, spesso in nero, mal pagato e pericoloso: tra l’Ucraina e la Polonia sono morte venti persone durante la costruzione degli stadi, di cui otto solo a Kiev. D’altronde si tratta di lavoratori con scarso potere contrattuale e facilmente ricattabili, visto che anche in Ucraina il settore dell’edilizia è stato fortemente colpito dalla crisi economica globale.

I campionati di calcio non sono riusciti infatti a frenare la crisi economica che anche qui ha colpito pesantemente la vita quotidiana degli ucraini. Nel 2008 la moneta nazionale ha subito una svalutazione di oltre un terzo del suo valore rispetto al dollaro (-38%), producendo un effetto devastante su chiunque, e in Ucraina sono in molti, avesse contratto un prestito in dollari. Le rate da rimborsare sono aumentate in egual misura e per molti ucraini è stato sostanzialmente impossibile far fronte agli impegni. Come altrove le banche sono diventate proprietarie di auto e case. Non è ancora chiaro quali saranno gli effetti della disoccupazione maschile e dell’insostenibilità dei prestiti, anche se è ipotizzabile che tali processi possano costituire una spinta a nuove migrazioni femminili verso quei settori dell’economia dell’Europa occidentale che non sono stati ancora toccati dalla crisi, come la cura e l’assistenza socio-sanitaria.

Ma la crisi economica ha costretto alla chiusura anche numerose imprese straniere che avevano recentemente de-delocalizzato in questo paese, in fuga dall’incremento dei salari e dalla conflittualità operaia in altri paesi dell’Europa orientale. La chiusura sembra essere dovuta soprattutto alla riduzione dei consumi nei paesi dell’Europa occidentale, poiché le fabbriche straniere erano orientate prevalentemente a questi mercati. Al contrario in Ucraina si sta affermando una nicchia di consumo di lusso, segnale che nella crisi economica qualcuno si sta arricchendo. Le vie del centro di Leopoli sono invase da SUV dei marchi più costosi (Lexus, Mercedes, Bmw, Jaguar). Tale nicchia di mercato sta attirando i produttori di beni di lusso stranieri, tra cui anche gli italiani, che sperano che l’accordo di integrazione politica ed economica tra Unione Europea e Ucraina recentemente siglato possa rendere più fluido il commercio.

Per la gran parte dei lavoratori però i salari medi negli ultimi anni sono sostanzialmente bloccati, mentre i prezzi sono continuati ad aumentare, incidendo in modo rilevante sul bilancio familiare. Nel 2011 il salario medio era di 2.633 hryvna (circa 260 euro), con le paghe più elevate per i lavoratori del trasporto aereo e del settore finanziario, e stipendi miserabili in agricoltura, ristorazione e sanità. Il costo della vita a Leopoli è nettamente aumentato: un chilo di riso costa poco meno di 1,50 euro, il formaggio attorno ai 4-5 euro al chilo e il pollo sui 3-4 euro.

Nelle regioni occidentali solo le rimesse garantiscono a molte famiglie la possibilità di vivere in modo dignitoso. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni nel 2010 sono arrivati 5,3 miliardi di dollari in rimesse, un flusso di denaro pari a quello degli investimenti diretti stranieri. Le regioni da cui si emigra sono Uzhorod e Chernivtisi, seguite da Leopoli, Ivano Frankivsk, Ternipil, Khmelnytski, Lutsk e Cherkasy. Le principali destinazioni sono la Federazione Russa, l’Italia, la Repubblica Ceca e la Polonia. Nonostante, le donne costituiscano solo il 33% dell’intero flusso, il dibattito scientifico e pubblico è concentrato sull’emigrazione femminile, poiché si ritiene che incrini l’ordine sociale. La partenza delle donne è così considerata una minaccia per l’istituzione della famiglia – nucleare ed eterosessuale – “bene supremo” e colonna portante della società ucraina. Sociologi, psicologi, sacerdoti e giornalisti denunciano in coro le ripercussioni negative della partenza delle donne – villaggi desolati, bambini e anziani abbandonati a se stessi, mariti alcolizzati e diffusione di matrimoni misti tra donne ucraine e uomini stranieri – e cercano di individuare i meccanismi che permettano di superare le minacce all’integrità morale della famiglia e del paese. Le voci critiche, che sottolineano quanto tale discorso sia stigmatizzante per le donne nonché per i loro figli, e che si interessano anche delle condizioni di lavoro delle migranti in Occidente, sono una netta minoranza, sebbene determinate a farsi sentire. Alcune ONG italiane e ucraine mettono in campo approcci meno normativi e più attenti ai bisogni concreti delle famiglie transnazionali nella loro pluralità di forme e legami. Spesso infatti una connessione skype, un buon sostegno psicologico e informazioni precise relative al ricongiungimento familiare permettono di affrontare con meno ansie le difficoltà e le incomprensioni legate alla lontananza.

Mentre i riflettori sono puntati sulla famiglia, le lavoratrici migranti rimangono nell’ombra con i propri problemi sociali, economici e psichici. La prima generazione di migranti ucraine sta invecchiando e inizia a porsi la questione della pensione. Come faranno queste donne a sopravvivere quando non saranno più in grado di lavorare presso le famiglie italiane? Tra Italia e Ucraina non esiste ancora un accordo di reciprocità perciò i contributi pensionistici versati in Italia vengono sostanzialmente persi nel caso si decida di ritornare nel paese di origine. È, tra l’altro, uno dei motivi per cui molte lavoratrici accettano di lavorare in nero in Italia. Al momento è limitato il numero di migranti che ha accantonato sufficiente denaro per garantirsi una vecchiaia dignitosa e la maggioranza delle donne che decide di tornare in Ucraina deve accontentarsi di una pensione assai magra (la pensione minima è di circa 80€), sperando di poter contare sull’aiuto dei propri figli e sui prodotti del proprio orto. Ecco perché molte migranti prolungano la permanenza all’estero, nonostante siano numerosi i figli e le figlie ormai adulti che chiedono loro di tornare e non solo per motivi affettivi. Le 50-60enni ucraine rimangono fondamentali anche nel paese di origine nella gestione del lavoro di riproduzione, poiché sostituiscono uno stato sociale sempre più snello e familista in una società caratterizzata da una distribuzione dei carichi di cura profondamente diseguale tra uomini e donne.

Le migranti che tornano in Ucraina vengono subito messe “al lavoro” dalle proprie famiglie: la cura dei bambini e della casa sono le attività più comuni. In genere, esse sono felici di potersi rendere utili e di accudire finalmente i propri familiari dopo aver trascorso anni a prendersi cura di persone estranee. Tuttavia, le migranti lamentano profondi problemi di comunicazione con i mariti, quando ci sono, con i figli e con gli amici. Si sentono incapaci di riadattarsi alla nuova vita in Ucraina e incomprese dalle persone che le circondano. Il malessere è così profondo che da alcuni anni un’associazione di migranti di ritorno, molto vicino alla Chiesa greco-cattolica, organizza attività per favorire il dialogo tra migranti e non migranti. A quanto pare i migranti di ritorno hanno difficoltà a raccontare la propria esperienza di vita e di lavoro all’estero, perciò questi momenti sono finalizzati a creare un clima di fiducia in cui le persone possono esprimersi liberamente, senza la paura di essere giudicate.

Dopo le delocalizzazioni produttive, l’Europa occidentale delocalizza anche le ripercussioni di uno dei lavori di cura più usuranti, ossia quello dell’assistenza familiare in coabitazione. Il malessere psico-sociale di molte ex-migranti non è dovuto solamente alle difficoltà del ritorno, ma è anche il risultato degli anni trascorsi a stretto contatto con le sofferenze dei loro assistiti. Per qualche centinaio di euro alle assistenti familiari viene delegato il compito di accompagnare alla morte i “nostri vecchi”, senza preoccuparsi troppo di cosa ne sarà di loro quando diventeranno a loro volta anziane. Ma i tifosi di calcio non si devono preoccupare troppo perché a loro verranno risparmiate le tristi storie delle migranti e le ricadute della crisi economica. Ad attenderli troveranno invece fiumi di birra e al massimo una protesta delle ben più note Femen, un gruppo femminista che organizza proteste in topless contro il turismo sessuale, le agenzie matrimoniali internazionali e il sessismo.

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