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Intervista a ZHENG NINGYUAN (gruppo WUXU)
Pubblichiamo una lunga intervista a Zheng Ningyuan, artista e attivista cinese che vive a Bologna ed è tra i fondatori del gruppo WUXU e del progetto 4xDecameron, lanciato in occasione della pandemia da coronavirus Covid-19 per condividere riflessioni e pensieri sulla quarantena tra Italia e Cina. Zheng ci racconta dal punto di vista particolare di attivista e studente migrante cosa sta accadendo in Cina, soffermandosi in particolare sulle forme di tensione che caratterizzano le misure straordinarie introdotte dal governo cinese per arginare la pandemia. Dall’intervista emerge uno spaccato della situazione cinese utile per chiunque voglia capire meglio la realtà di un paese che non è solamente il primo luogo nel quale è scoppiata l’epidemia, ma anche un indiscusso protagonista globale del capitalismo contemporaneo. Se anche solo il lockdown imposto nella regione dell’Hubei, di cui Wuhan è la capitale, prima che il coronavirus si diffondesse in tutto il mondo, ha prodotto un contraccolpo quasi immediato nelle catene della produzione globale, questo significa che non possiamo guardare alla Cina né come a un posto lontano, né semplicemente come a un esempio per capire come frenare l’epidemia. Al contrario: comprendere ciò che accade in Cina, tanto nelle forme del governo, quanto per quello che riguarda le forme di conflitto, è decisivo per sviluppare una capacità di invenzione politica transnazionale, tanto più oggi, quando la dimensione globale dei processi nei quali siamo immersi è resa evidente da una pandemia che non li cancella, ma li modifica, a volte li rafforza o a volte impone svolte repentine. Questa intervista offre alcuni spunti sui quali ragionare. Ne emerge uno spaccato della società cinese molto diverso dall’immagine compatta offerta dallo scontro in atto tra gli Stati per conquistare la medaglia di «modello» in una lotta globale. D’altra parte, non siamo interessati né alla celebrazione di una presunta efficienza cinese, né a una polemica sui diritti umani che cancella le forme del potere, le differenze e le fratture politiche che attraversano la società cinese. Da quanto ci racconta Zheng possiamo osservare come la complessità amministrativa dello Stato cinese e la forte decentralizzazione siano alla base tanto di momenti di confusione nelle linee politiche, quanto di una spinta politica al protagonismo del governo centrale che sarebbe però sbagliato interpretare come espressione di un equilibrio omogeneo e intoccabile. Al tempo stesso, se le misure prese per il controllo della pandemia rafforzano in modo deciso strumenti di controllo già ampiamente sviluppati dallo Stato cinese, e che si basano su pratiche sociali diffuse, ciò non impedisce di osservare le molteplici forme di conflitto e mobilitazione che attraversano la Cina e i cinesi. È in particolare attraverso Internet, dove la continua censura non riesce ad arginare l’altrettanto continuo emergere di voci dissonanti, che molte di queste tensioni si rendono visibili. Ma l’intervista mostra anche l’attualità cinese di questioni politiche globali come la condizione dei migranti, dei lavoratori precari e delle donne. Tuttavia, crediamo anche che da questa intervista emerga la difficoltà di leggere e interpretare la realtà globale semplicemente applicando schemi o rivendicazioni che si affermano all’interno di ambiti ristretti di mobilitazione. Ci sembra invece più fruttuoso pensare al lavoro che ancora deve essere fatto per trovare dei modi di agire e un nuovo linguaggio capace di affrontare l’insieme di queste questioni. Questo riguarda anche i cinesi nel mondo e, in particolare, in Italia, ai quali Zheng invita a guardare evitando quello che potremmo definire uno sguardo limitato dalla pandemia.
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∫connessioni precarie: Si parla molto di «soluzione cinese» in relazione alle misure di contenimento adottate in Italia. Ma spesso il racconto delle misure attuate in Cina è molto superficiale. Ci puoi descrivere brevemente in che modo è stata affrontata l’epidemia in Cina? Una larga parte delle politiche del governo cinese fa ormai un ampio uso di strumenti digitali. È stato così anche per il contrasto della pandemia attraverso l’uso di droni, app dedicate, intelligenza artificiale, etc. E’ cambiato qualcosa nell’operato del governo cinese, o si tratta di un uso intenso di metodi già utilizzati?
Zheng Ningyuan: L’inerzia della governance verticale, ovvero centrale, ha reso l’amministrazione locale incapace di affrontare l’emergenza coronavirus, per questo la Cina ha perso molte opportunità di prevenzione. Solo successivamente, per porre rimedio, il governo centrale ha deciso di attuare misure drastiche di lockdown a Wuhan. Quindi l’intero paese è entrato in “codice rosso”, la risposta messa in atto solo per le emergenze di salute pubblica più gravi. Anche molte province e città fuori dalle zone rosse hanno implementato il lockdown come a Wuhan. L’eccessiva centralizzazione ha però paralizzato le amministrazioni locali. Abbiamo così visto una varietà di strumenti di controllo per contrastare l’epidemia, mentre i cambiamenti nella struttura economica hanno fatto sì che i capitali iniziassero ad adattarsi a questo stile di vita. Penso che la Cina sia una frontiera globale nello sviluppo di strumenti di controllo digitale, e la gestione e il controllo in questo stato di emergenza è in realtà una modifica di dispositivi che già esistono e sono utilizzati quotidianamente. Un aspetto che potrebbe essere interessante è il fatto che noi cinesi facciamo già molto affidamento sui sistemi di pagamento digitali di Alibaba (Alipay) e Tencent (WeChatpay), anche per la colazione in una bancarella sulla strada. Oltre a fornire servizi di pagamento, Alipay conduce valutazioni del credito attraverso la piattaforma “Sesame Credit” e collabora anche con la Corte suprema del popolo e altri dipartimenti governativi. La Cina ha iniziato a effettuare un sistema di valutazione del credito dei cittadini proprio perché l’uso quotidiano dei sistemi di pagamento online lo ha reso più fattibile. In questa epidemia, è stato rafforzato il sistema del “codice sanitario (健康码)” per monitorare lo stato biologico allo scopo di evitare possibili minacce alla salute pubblica. Questo sistema può limitare direttamente tutti movimenti delle persone. Poiché il “codice sanitario” è gestito dalla provincia, i cittadini devono transcodificare i loro dati quando attraversano il confine provinciale. Ciò significa anche il trasferimento di responsabilità per la prevenzione della diffusione dell’infezione, un fatto che ha anche aumentato la pressione sulle forze dell’ordine. In questo momento, la gestione dei dati della popolazione dell’Hubei è molto delicata, come mostra il conflitto violento tra la polizia dello Jiangxi e la polizia dell’Hubei scoppiato il 27 marzo al confine tra i due stati. Pertanto, se dovessi dire che cos’è il più grande cambiamento nella tecnologia di controllo in questa situazione epidemica, direi che è la raccolta di informazioni biologiche. L’altra parte da considerare è la cosiddetta “guerra dell’opinione pubblica” nell’epidemia. Con questo mi riferisco principalmente al controllo della libertà di parola su Internet. Il 1 ° marzo sono stati implementati dei severi “Regolamenti sulla governance ecologica dei contenuti delle informazioni su internet (网络信息内容生态治理规定)”. Ma ritengo che i nemici in questa guerra dell’opinione pubblica siano fittizi. Le fake news e le parole contro lo stato sono progettate solo per creare questa guerra. Questo ha avvicinato gli interessi di diversi soggetti su Internet, e oggi anche l’amministratore di una chat di gruppo deve “autocensurarsi” per evitare sanzioni.
Si parla molto delle conseguenze macroeconomiche della pandemia. Sappiamo che la produzione in molte regioni cinesi si è fermata, si parla del più grave blocco della crescita da quando la Cina è diventata un protagonista nel capitalismo globale. Tuttavia, si sa poco dell’impatto sociale delle misure di contenimento. Ci puoi raccontare qualcosa su questo?
Da quello che so, il coronavirus ha un grande impatto sulla vita quotidiana. Per molto tempo dopo l’inizio del lockdown di Wuhan, la fornitura di materiali di prima necessità è stata inadeguata e i prezzi sono aumentati notevolmente. Ma il problema dei prezzi non è solo nelle zone rosse. Faccio un esempio: la mia famiglia si trova a Fuzhou, dove la situazione non è grave, ma i prezzi di verdure e carne sono quasi raddoppiati. Ricordo che molti villaggi delle altre province nella Cina rurale hanno donato le verdure a Wuhan poco dopo il blocco della città. Molto spesso, in quel momento, a Wuhan sono anche arrivati convogli di volontariato auto-organizzati per il trasporto, comprese le operazioni di logistica a lunga distanza. Ma molti gruppi vulnerabili non hanno modo di ottenere aiuto, come i lavoratori migranti e i senzatetto. Una cosa simile sta succedendo anche in Italia. Inoltre, risorse mediche inadeguate impediscono alle donne incinte e alle persone con altre gravi malattie di sottoporsi a ispezione e trattamento, mentre ci sono bambini e anziani i cui parenti sono stati bloccati al di fuori di Wuhan. L’impatto dell’epidemia sui negozi fisici è indubbiamente enorme, ma significa anche che il passaggio dal settore retail fisico all’economia digitale è stato notevolmente rafforzato. Naturalmente, questo si basa anche sulla finanza digitale e su un sistema logistico urbano altamente sviluppato, quindi la vita di un rider è molto difficile in questo periodo. La quarantena è totale, sotto la sorveglianza “a rete”, come definita da Xiang Biao in un recente articolo su mobilità e restrizioni durante le epidemie di SARS e COVID-19, la gestione di ciascuna “rete” o mini-quartiere è molto severa. Le piattaforme di shopping online hanno compensato questo limite portando beni di prima necessità. Anche l’industria d’allevamento ha sofferto molto: poiché il mangime è a volte irraggiungibile e ci sono diversi focolai di influenza aviaria, su Internet circolano video di agricoltori che buttano ogni giorno un gran numero di pulcini. Alla fine di gennaio, molte città hanno ristretto e chiuso i mercati di pollame vivo, quindi molte società in questo settore stanno fallendo, anche i liberi professionisti stanno affrontando un periodo difficile per mancanza di capitale liquido. Sebbene il governo abbia successivamente introdotto sussidi, riduzioni fiscali e misure di prestito, non so se questo avrà l’effetto desiderato.
Un’altra dimensione poco nota è la reazione della popolazione in Cina. Come sono state accolte in Cina le misure adottate? Sei a conoscenza di forme di resistenza o di protesta contro le decisioni del governo in queste settimane? Se sì, puoi raccontarci come si sono svolte e se queste forme di resistenza e protesta sono una novità per la Cina, o già prima si potevano osservare forme di contestazione nei confronti delle autorità.
La parte che mi ha colpito di più questa volta è una forma di auto-organizzazione del popolo per salvarsi. Oltre ai volontari nella città di Wuhan che organizzavano la distribuzione di cibo, ci sono molte «piattaforme» temporanee. Un lavoro sulla donazione verso Wuhan è stato anche incluso nel nostro progetto «4xDecameron». Una cosa che ci ha sorpreso molto è stato scoprire che i cittadini hanno cominciato ad organizzare tutti i livelli di distribuzione. In particolare, un gruppo di programmatori ha creato una piattaforma in grado di fornire informazioni sulle esigenze ospedaliere in tempo reale e informazioni logistiche affidabili; il team di volontariato auto-organizzato di Wuhan aiutava a trasportare materiali a Wuhan e forniva assistenza ai gruppi più vulnerabili; le comunità online alla ricerca di materiali di consumo hanno utilizzato «Shimo Document», una società con sede a Wuhan che produce delle suite per condividere dati e comunicare in cloud, per scambiarsi informazioni (e allo stesso tempo eludere la censura) sui servizi gratuiti forniti durante l’epidemia. Certamente, ci sono molti conflitti in questo spazio di governance fuori posto. Ma sia gli strumenti che l’influenza delle esperienze di lotta sono limitati, il che è anche legato ai dispositivi di controllo quotidiano esistenti in Cina. In effetti, negli ultimi anni in Cina ci sono state molte pratiche di conflitto, di tipo diverso: dall’incidente di Jasic a Shenzen (un conflitto operaio durato da giugno a luglio del 2018 che ha visto il tentativo di istituire un sindacato autonomo nella fabbrica di macchinari per l’edilizia Jasic Technology), allo scontro sulla 996 (un regime di lavoro dalle nove del mattino alle nove di sera, per sei giorni alla settimana, adottato da molte aziende informatiche cinesi, contro il quale nel marzo del 2019 è partita una campagna attraverso un archivio di esperienze sul repository on-line GitHub, che è riuscita ad imporre l’esclusione delle aziende che applicano la 996 dai servizi di GitHub), fino al movimento di Hong Kong. Ma la strategia di «mantenimento della stabilità» del governo sta diventando sempre più aggressiva ed efficace. Tutto ciò rende lo spazio di lotta sempre più stretto, e diverse azioni messe in atto durante l’epidemia si sono svolte a Hong Kong. Uno dei maggiori eventi durante questa epidemia è stato l’impatto, senza precedenti, della morte del dottor Li Wenliang. Il dottor Li aveva avvertito i suoi colleghi già nel dicembre 2019 di un possibile scoppio di una malattia in seguito riconosciuta come COVID-19. Quando i suoi avvertimenti sono stati condivisi pubblicamente la polizia di Wuhan l’ha ammonito per “aver fatto commenti falsi su Internet”. Li è tornato al lavoro, si è ammalato ed è morto di coronavirus il 7 febbraio 2020, all’età di 33 anni. Questo ha prodotto un lutto spontaneo dei cinesi su Internet, ma va sottolineato che anche molti conservatori hanno criticato il governo, esprimendo pubblicamente le loro posizioni (anche se un gran numero di persone non ha alcuna esperienza di intervento politico). L’enorme impatto della pandemia ha prodotto una importante risposta tra gli intellettuali e alcuni esponenti, come il giurista Xu Zhangrun, hanno partecipato al lancio di una lettera congiunta. La pandemia ha anche prodotto una reazione tra i cinesi all’estero, soprattutto tra gli studenti. A New York, Berlino, Parigi, Londra, e altre città, intorno all’8 febbraio sono state lanciate attività commemorative di diverse dimensioni. In Italia, io ed alcuni amici abbiamo commemorato il dottor Li. Il 10 marzo, la rivista cinese «Portrait (人物)» ha pubblicato a marzo un articolo intitolato «Whistle-Giver» (发哨子的人): l’articolo è stato successivamente cancellato, ma per eludere la censura i cinesi su Internet hanno condiviso l’articolo utilizzando delle parole in codice. In generale, le piattaforme Internet e dei social media offrono ai cinesi molto spazio per parlare, ma sono ancora molto limitate. Tuttavia, è ancora difficile per noi trovare un modo di agire chiaro e divulgabile come pratica di lotta. Se guardiamo all’intreccio di interessi tra capitale e politica, vediamo come sia che si tratti della versione cinese di Twitter, Facebook, YouTube o di altri siti Web, gli interessi politici dell’autorità e i loro interessi economici sono direttamente correlati. Quasi tutte le principali piattaforme richiedono ora la “registrazione attraverso il nome reale”, è richiesta almeno la verifica del numero di cellulare e le tre società di telecomunicazioni sono di proprietà statale. Tutto questo aumenta il rischio per ogni presa di posizione personale su Internet, e la censura nelle piattaforme di informazione su Internet talvolta supera la censura dei media: ad esempio, a gennaio un articolo postato su in WeChat (di Tencent) dall’account ufficiale del People’s Daily, un giornale governativo, è stato in seguito eliminato. In queste condizioni, Internet offre a noi un certo grado di libertà di espressione in Cina, ma ha anche il suo opposto, perché permette di influenzare l’opinione pubblica in modo manovrato. Ad esempio, è stato recentemente scoperto che l’autorità impiegava, direttamente o indirettamente, un «esercito dell’acqua» (ovvero persone o bot, dei programmi che possono intervenire nelle piattaforme in modo simile agli umani) su Twitter per influenzare il giudizio degli altri frequentatori. Strumenti di questo genere nella Cina continentale hanno un’applicazione molto ampia.
Nel “socialismo con caratteristiche cinesi” il ruolo del mercato è molto forte e le differenze sociali sono cresciute molto in questi anni. L’impatto del virus sarà molto diverso. Ci puoi parlare dell’effetto sui migranti interni, sulle donne e sui migranti non cinesi? Credi che la situazione attuale stia portando dei cambiamenti nella popolazione cinese?
Un gran parte dei lavoratori migranti sono tornati nelle città di origine per il capodanno cinese (il 25 gennaio). A febbraio, a causa dei blocchi nel territorio nazionale, questi non hanno potuto rientrare nelle città dove lavoravano. Molte imprese hanno sospeso le attività e i lavoratori non possono tornare al lavoro. Ma i lavoratori migranti che sono rimasti in città non hanno l’hukou (una forma di registrazione residenziale alla quale sono legate le misure di welfare delle città), e molti di loro sono lavoratori temporanei senza tutela contrattuale, quindi non hanno nessun reddito se non lavorano. Inoltre, i requisiti per le attrezzature necessarie a vivere nel lockdown, compresa l’istruzione online, hanno aumentato i costi di formazione dei figli delle famiglie dei lavoratori migranti. Xiang Biao lo ha analizzato bene, nell’articolo che ho citato prima, il rapporto tra migrazione e misure contro l’epidemia, sostenendo che, rispetto al 2003, l’attuale livello di mobilitazione nella società cinese ha reso l’intera popolazione parte della regolamentazione dell’autorità. I lavoratori precari e la nuova generazione di giovani lavoratori migranti sono diventati nomadi nello spazio geografico e tra molteplici identità lavorative, come i lavori temporanei che vengono pagati alla giornata ritratti nel documentario sul mercato del lavoro di Sanhe (三和人才市场). In una condizione simile ci sono anche tanti giovani lavoratori della città che lavorano su piattaforme capitaliste di sharing economy e food delivery, come corrieri espresso o come influencer, un settore in crescita noto come Wanghong economy. Gli scenari affrontati da medici e infermieri a Wuhan sono estremamente crudeli, ma la situazione personale femminile è ancora più difficile. Il 15 febbraio, un ospedale di Gansu ha mandato una squadra di personale medico in Hubei, l’intera operazione è stata trasmessa dai media, compresa la rasatura dei capelli di 23 donne che facevano parte del gruppo mandato in Hubei. Inoltre, nella burocrazia patriarcale, le esigenze di prima necessità delle donne medico e delle infermiere non sono garantite. Liang Yu, una femminista, ha lanciato la campagna «Sister Campaign Relief Operation» per donare assorbenti per le donne medico e le infermiere nelle aree più colpite. La Lega giovanile comunista cinese, invece, ha lanciato una figura femminile virtuale online, «Jiangshan Jiao» («terra incantevole», un nome ricavato da un verso della poesia di Mao «Neve»), mirata al pubblico più giovane. Questa figura è stata pesantemente attaccata e su Internet ci sono state accuse feroci contro le discriminazioni che hanno subito le donne cinesi. Gli attacchi hanno fatto riferimento anche all’episodio della rasatura, chiedendo «Jiangshan Jiao, ti raderai la testa per lo Stato?» Dopo sole 5 ore, la Lega giovanile comunista cinese ha eliminato tutto il contenuto. Inoltre, anche se nel 2016 la Cina ha adottato una legge contro la violenza domestica, il coordinamento delle istituzioni pubbliche è indietro su questo. La violenza domestica è aumentata notevolmente durante la quarantena e alcuni attivisti hanno lanciato un progetto, chiamato «vaccino contro la violenza domestica», per attivare le donne contro violenza domestica. Ci sono poi organizzazioni senza scopo di lucro che forniscono assistenza contro la violenza domestica quando i tribunali sono chiusi. Per quanto riguarda gli stranieri che vivono in Cina, dopo il blocco totale agli ingressi scattato il 28 marzo in molti stanno avendo difficoltà.
La Cina ha una politica globale (pensiamo alla Belt and Road Initiative, o Nuova Via della Seta, ad esempio) e si propone come modello per il mondo. Che impatto ha la pandemia in tutto questo?
L’epidemia in Cina non è finita, ma, nella prevedibile crisi economica globale, la Cina sta già cercando di riprendere la produzione per garantire la propria competitività internazionale a livello strategico. Allo stesso tempo, il sistema cinese può effettivamente fornire un supporto pratico in questa competizione, anche se è probabile che l’epidemia si espanda nuovamente nel paese. Nel contesto della Belt and Road, se l’economia europea non riesce ad affermare la sua importanza e indipendenza, la Cina può cercare una cooperazione più approfondita con alcuni paesi europei attraverso un uso sfacciato del suo soft power. Si possono prevedere in questo senso casi simili a quanto sta già avvenendo in Europa orientale e con la Grecia, dove è stata realizzata una maggiore cooperazione nelle infrastrutture e nella logistica. Ci sono stati alcuni tentativi di affermare il principio della Belt and Road anche in Italia, ad esempio attraverso il porto di Trieste.
I cinesi che vivono in Italia sembrano aver reagito molto prima di altri alla diffusione del virus fuori dalla Cina, ma di questo si sa molto poco. Ci puoi parlare di quello che sta succedendo tra i cinesi in Italia e in Europa, in particolare tra i giovani cinesi?
Ho avuto molti scambi su questo argomento. Molti cinesi hanno dovuto chiudere i loro ristoranti e posti di lavoro durante l’epidemia. Naturalmente, penso che le ragioni qui siano complicate: non possiamo semplicemente dire che i cinesi sono più preparati. L’epidemia ha portato un grande trauma a entrambe le società, e i cinesi hanno bisogno di comunicare e devono esprimere i loro desideri e le loro esigenze alla società italiana. Molte associazioni hanno adottato il metodo di contribuire con delle donazioni nelle ultime settimane. Va poi considerato che ci sono diversi gruppi di cinesi in Italia. Per fare un elenco semplice si possono considerare: quelli immigrati prima della riforma del 1978, l’ondata migratoria degli anni ’90, gli immigrati cinesi di seconda e terza generazione nati in Italia, gli studenti internazionali, e così via. A livello politico locale in Italia, la comunità cinese che si è stabilita in Italia ha iniziato ad avere una coscienza politica: c’è stato un caso l’anno scorso nel quale i cinesi hanno eletto il consigliere Marco Wong a Prato. Questo è successo con il contributo di centinaia di giovani sino-italiani che hanno votato. D’altra parte, i cinesi d’oltremare hanno effettivamente svolto alcuni compiti politici ed economici tra Cina e Italia. Quindi, dopo l’epidemia, le relazioni tra la narrazione nazionalista cinese e l’ambiente sociale democratico dell’Italia cambieranno: politicamente, i rapporti tra i due paesi, e persino tra Europa e Cina, potrebbero essere più ambigui, mentre i cinesi residenti in Italia dovranno affrontare conflitti più specifici, che vanno dalla discriminazione contro i cinesi nella fase iniziale dell’epidemia, e ora la questione dell’aiuto alla comunità cinese all’Italia. Nel mezzo c’è una strategia di diplomazia e soft power che consiste nell’inviare medici cinesi in aiuto dei medici italiani. Penso che, in questa situazione, i cinesi in Italia debbano produrre un nuovo linguaggio per affrontare la situazione mutevole della globalizzazione.