Da «Il Manifesto» del 12 ottobre 2018
Sebbene il voto per la Brexit fosse ancora lontano, la Jaguar-Land Rover aveva già deciso di spostare all’estero una parte della sua produzione inglese. Dopo una lunga analisi di fattibilità per valutare logistica, costi ed eventuali finanziamenti, la scelta del gruppo indiano Tata proprietario dei marchi automobilistici inglesi è ricaduta sulla zona industriale di Nitra, una cittadina di 85 mila abitanti a cinquanta chilometri di Bratislava.
Lo stabilimento, a tre anni dall’annuncio ufficiale, grande 300 mila metri quadrati, dovrebbe entrare in funzione a giorni grazie a un investimento di circa 1,4 miliardi di euro di cui poco meno del 10% generosamente offerti dal governo slovacco. Un aiuto di Stato approvato dall’Ue, ufficialmente per evitare che la Tata spostasse gli investimenti in Messico e contemporaneamente per sostenere un’area svantaggiata. In realtà negli ultimi 20 anni la zona intorno allo stabilimento ha attratto un enorme sviluppo industriale costringendo le imprese a importare parte della loro manodopera attraverso le agenzie di reclutamento sia dalla Slovacchia orientale, meno industrializzata, sia da Romania, Serbia e Ucraina. Oltre alla Foxconn, che sta di fronte a quello della Jaguar e occupa circa 2 mila persone, la zona industriale di Nitra ospita un’altra decina di medie imprese chimiche, cartiere e metalmeccaniche. Venti chilometri più a ovest invece l’area di Sered è un centro logistico dotato di tre magazzini quasi confinanti: Amazon (1.000 occupati), Fm Logistics (350) e il gruppo tedesco Lidl (300). E a Trnava, a mezz’ora da Nitra, nello stabilimento della Peugeot-Citroen, dove su 4.000 lavoratori quasi 800 sono serbi, quest’anno si è cominciato a reclutare anche ucraini.
Per quanto Nicci Cook, la direttrice del personale della Jaguar, affermi che la forza lavoro in Slovacchia è più disciplinata e motivata di quella britannica, il reperimento del personale rimane un problema e già adesso le nove linee di bus predisposte dall’azienda per i pendolari coprono un raggio fino a 100 chilometri per raccogliere il personale. Con un avvicendamento che in alcune imprese raggiunge medie annue del 100%, anche la direzione della Jaguar comincia a preoccuparsi per i costi del reclutamento e della formazione, ben consapevole che in Slovacchia il numero di disoccupati non raggiunge neppure le 200 mila persone. Il governo, all’inizio del 2018, ha semplificato le procedure per drenare risorse umane da Paesi extra-Ue, provocando un acceso dibattito nella campagna elettorale per le prossime elezioni amministrative di novembre. «L’idea che qualcuno sta suggerendo è quella di sistemare i lavoratori migranti in dormitori nei paesi qui vicini, cercando di evitare che frequentino la città», ci racconta Simona, una ricercatrice del locale ateneo. Nello stabilimento della Jaguar lavorano 1.300 persone, un terzo rispetto a quelli previsti quando lo stabilimento sarà a pieno regime. Qui si produrranno inizialmente circa 150 mila automobili Land Rover Discovery che potranno raddoppiare velocemente sulla base della domanda. E probabilmente delle condizioni della Brexit. D’altra parte lo stabilimento slovacco potrà contare sull’apporto di un ampio indotto locale ormai già rodato dalle altre multinazionali dell’auto europee, asiatiche e statunitensi che si concentrano tra Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria. «Molti degli assunti sono tecnici che stanno sistemando e verificando macchinari, robot e linee di assemblaggio. Ci sono anche operai di linea, ma non fanno granché perché non c’è produzione», ci racconta Pavol, assunto un anno fa e membro del «Sindacato moderno» (Mov).
Passato per la dura prova dello sciopero vincente della Volkswagen di Bratislava poco più di un anno fa, il Mov sta cercando di superare i limiti del sindacato tradizionale, il Kovo. «I lavoratori anziani si accontentano dei servizi offerti dall’azienda e dal sindacato, ma i giovani vogliono più soldi in busta paga subito», dice Pavol. Nel 2017 proprio i giovani avevano trainato lo sciopero alla Volkswagen ottenendo un aumento del 14,1% in due anni per arrivare a salari di circa 8-900 mensili (bonus inclusi). Il salario di mille euro mensili sbandierato dalla Jaguar per attrarre manodopera è di là da venire, per il momento ci si deve accontentare di circa 720 euro, bonus compresi, per 14 mensilità. E tuttavia nello stabilimento di Nitra già i due terzi degli occupati sono membri del Mov, mentre nel vicino stabilimento di Amazon che occupa prevalentemente lavoratrici over 40 l’obiettivo è strappare un contratto aziendale nel 2019. Ad Amazon, dove i livelli salariali sono cresciuti quest’anno tra l’11 e il 20% a seconda della mansione, le questioni cruciali sono il pagamento dei bonus-presenza e la flessibilità oraria, visto che nel 2017 si è lavorato anche durante il periodo natalizio senza alcuna maggiorazione, oltre alla riduzione dei turni di lavoro da 10 a 8 ore.
Negli altri paesi di Visegrad, non solo in Slovacchia, la questione salariale rimane cruciale e anche infermieri e medici stanno protestando per ottenere forti incrementi salariali. Ma molti di fronte alla scarsa sensibilità del governo fanno la valigia e si spostano nella vicina Austria, oppure in Germania e, Brexit permettendo, in Gran Bretagna. «Il problema è che la legislazione sul lavoro slovacca ti permette di scioperare solo dopo una lunga trafila di contrattazioni che può arrivare fino a sei mesi», spiega Andrik, operaio 25enne della Jaguar. In città, per quanto tutti siano favorevoli al nuovo investimento, le trasformazioni prodotte sono profonde sia nella topografia sia nei costi della vita. Se la costruzione dello stabilimento in un’area paludosa ha costretto a modificare completamente la viabilità circostante e a deviare il corso di un fiumicello, in città i prezzi delle abitazioni sono cresciuti del 20-30% trainando anche i costi dei terreni edificabili. «Per comperare una casa con una stanza da letto ci vogliono almeno 70 mila euro e anche nei ristoranti non mangi per meno di 20 euro», ci dice Mario, tecnico italiano della vicina centrale nucleare di Mochovce di proprietà dell’Enel. Mentre gli espatriati italiani dell’Enel sono alloggiati in graziosi appartamenti individuali, i lavoratori migranti delle imprese manifatturiere si devono accontentare dei dormitori.
IL XAWAX Hotel che ospita circa 180 persone nei suoi tre piani puliti e dotati dell’essenziale è una delle migliori sistemazioni: stanze per due persone che condividono bagno e cucinino con altre due persone della stanza a fianco. I 200 lavoratori serbi sistemati poco lontano – a pochi metri dall’autostrada – sono in una situazione ben peggiore, dovendo accontentarsi di una squallida stanza con tre letti e arredi di bassa qualità. Assunti direttamente in Serbia attraverso un’agenzia di reclutamento, sono occupati alla Samsung, a 40 minuti di autobus. La loro situazione è illuminante per capire una parte della mobilità europea: mentre quanti sono dotati di doppio passaporto grazie a qualche ascendenza ungherese, croata o slovacca possono essere assunti per lunghi periodi e godono dei diritti minimi della cittadinanza europea, i molti che dispongono solo del passaporto serbo sono assunti per periodi massimi di tre mesi e non hanno diritto ad alcuna copertura sanitaria.
L’area di Nitra è diventata un luogo cruciale per comprendere i prossimi processi migratori europei, nonché le forme della nuova riorganizzazione delle imprese. Se i lavoratori hanno oggi qualche potere nel mercato del lavoro, quello che pare ancora mancare è il potere nei luoghi di lavoro. Ma certo la situazione è ben diversa da quella di soli pochi anni fa, quando nel 2012 la Foxconn, complice la crisi economica, licenziò in tronco 450 dipendenti, 250 dei quali si erano iscritti al sindacato.
[…continua]