La Commune. Jour et Nuit Debout. Da qualche giorno, questa scritta ha preso il posto di République su tutti i tracciati della metropolitana di Parigi, con l’effetto di disorientare chi, da ogni parte d’Europa, si muove verso la piazza per partecipare alla due giorni lanciata dalla Commission internationale con lo slogan #GlobalDebout. Anche più del calendario del movimento parigino – che, ispirandosi alla Rivoluzione francese, continua a scandire i giorni del lungo mese di marzo, quando la mobilitazione ha avuto inizio – il richiamo alla Comune dovrebbe dare il segno dell’intreccio tra la lotta contro la loi el Khomri e la pretesa democratica che si esprime nella piazza, tra gli scioperi che si sono susseguiti negli ultimi mesi e l’esigenza di conquistare e istituzionalizzare le rivendicazioni delle centinaia di migliaia di precarie, operai e migranti che hanno attraversato le strade della capitale francese. Interrompere la produzione, sollevarsi, vincere: di questo parla Parigi.
E di questo si è discusso nel laboratorio organizzato dalla Commission Convergences des luttes attorno alla domanda «quali nuove forme di sciopero per sconfiggere la loi travail?», a cui abbiamo preso parte venerdì sera, al nostro arrivo nella capitale francese. Oltre cento uomini e donne riuniti in circolo hanno discusso dello sciopero generale come posta in gioco niente affatto scontata di un processo che vede i grandi sindacati ancora incerti nel combinare politicamente l’organizzazione di lotte legate alla contrattazione delle singole categorie – come i lavoratori dei trasporti – e una mobilitazione politica contro il Jobs Act francese. La critica aspra che Nuit Debout rivolge ai sindacati confederali – presi dentro a logiche concertative che limitano le possibilità più radicali di opposizione alle politiche governative – va di pari passo con la necessità di portare nei posti di lavoro la spinta innovatrice della piazza. Chiedersi «come vincere?» significa trasformare quella spinta in un movimento sociale espansivo, capace di portare gli stessi sindacati a fare scelte più radicali. È chiaro che le modalità tradizionali di sciopero non sono sufficienti a coinvolgere un’enorme schiera di lavoratori e lavoratrici stretti dal ricatto della precarietà. Per questa ragione la Commission Grève générale cerca di spingere Nuit Debout fuori dalla piazza, per offrire sostegno politico alle decine di lotte in corso nella capitale francese: da quella degli insegnanti a quella dei ferrovieri e dei postini, da quella dei lavoratori che al centro commerciale di Les Halles protestano contro la liberalizzazione del lavoro domenicale allo sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici di McDonald’s, che proprio venerdì hanno occupato il locale di Opera rivendicando un salario minimo orario di 13 € l’ora. D’altra parte, neppure queste pratiche sono di per sé sufficienti a coinvolgere – nello sciopero e nel movimento di Place de la République – le lavoratrici domestiche e della cura, come pure i migranti destinati a subire non solo gli effetti della loi travail, ma anche quelli delle nuove leggi sull’immigrazione e il diritto d’asilo sostenute dal governo francese. Come segnala un’operaia che prende parola in piazza, prima di avventurarsi nella scrittura di carte – quelle dei diritti o quelle costituzionali – è necessario riconquistare un senso del potere.
Se questa è la posta in gioco e l’ambizione, è evidente che Place de la République offre un’occasione inaspettata. Ogni giorno centinaia di persone riempiono la piazza, animandola con i laboratori organizzati dalle diverse commissioni di Nuit Debout che tutte le sere riportano gli esiti delle discussioni nella partecipatissima assemblea generale. La lotta contro la loi travail ha scatenato tanto le istanze di opposizione e di rifiuto quanto le aspirazioni di una generazione di giovani uomini e donne che non sono disposti ad accettare un destino di precarietà e sfruttamento e che avanzano la pretesa di decidere sul proprio futuro. L’insistenza sul metodo assembleare di partecipazione e decisione va letta perciò come l’espressione di un’esigenza di protagonismo al di fuori delle forme classiche di organizzazione – sindacale, partitica e di movimento – considerate gerarchiche e perciò escludenti. Secondo il modello delle assemblee delle acampadas spagnole, a Place de la République chiunque può prendere parola, avanzare proposte, contribuire a un processo decisionale articolato secondo una complessa modalità di voto che prevede uno scambio continuo tra assemblea e laboratori per raggiungere una maggioranza qualificata. La lotta contro la loi travail, la lotta per lo sciopero, ha aperto uno spazio di soggettivazione che può e deve diventare un’occasione politica per il movimento in Europa.
In questo spazio si sono svolte le due giornate di assemblee e gruppi di lavoro internazionali con l’obiettivo non solo di organizzare la mobilitazione globale del 15 maggio, ma anche di creare le condizioni per una convergenza europea delle lotte. Come è inevitabile in un primo incontro tra realtà molto diverse, si è trattato soprattutto di uno scambio di esperienze di resistenza e organizzazione: dall’occupazione e autogestione di case e spazi sociali alle lotte dei migranti contro il governo della mobilità, il regime dei confini e la precarietà imposta dal permesso di soggiorno; dalle iniziative di neomunicipalismo agli esperimenti di sindacalismo sociale alle numerose iniziative di occupazione delle piazze che in molte città francesi ed europee si sono moltiplicate sull’esempio di Place de la République. Insieme a quanti in Italia hanno dato vita al percorso dello sciopero sociale e in Europa partecipano alla Transnational Social Strike Platform, abbiamo posto il problema di come sia possibile creare una connessione reale tra le lotte dentro e fuori i posti di lavoro che attraversano l’Europa. Se la loi El Khomri non riguarda solo la Francia, ma è l’espressione locale di un processo generale di precarizzazione che investe ogni paese europeo, si tratta di cogliere l’occasione della mobilitazione francese per allargare e dare slancio al processo di costruzione dello sciopero sociale transnazionale. Per questa ragione il prossimo incontro della Transnational Social Strike Platform si terrà a ottobre a Parigi.
L’esito del percorso avviato con la due giorni di Global Debout è tutt’altro che scontato. La scadenza del 15 maggio esprime l’esigenza di portare la mobilitazione al di fuori dei confini della Francia, ma si tratta di una proposta che mira a estendere una specifica forma di mobilitazione – l’occupazione e politicizzazione delle piazze – anche a prescindere dall’effettiva condivisione di contenuti, rivendicazioni, di un percorso politico di lungo periodo. Come è già accaduto a ridosso della grande mobilitazione degli indignados spagnoli – la cui sollevazione è celebrata dalla scelta della data del 15 maggio per la giornata di Global Debout – la possibilità di replicare altrove una modalità di lotta si scontra con le condizioni e i contesti particolari in cui agiscono le diverse realtà di movimento. La sfida transnazionale non può limitarsi a una replica, ma deve indicare l’obiettivo di coniugare il tempo accelerato della sollevazione con quello lungo di un’accumulazione di forza capace di incidere sui rapporti di potere che disegnano lo spazio politico europeo. Anche per questo è fondamentale individuare chiare priorità e una direzione condivisa attraverso cui far valere politicamente le differenti condizioni e istanze politiche dei soggetti coinvolti tanto a Place de la République quanto nel percorso di Global Debout. Il metodo assembleare su cui insiste la piazza offre senz’altro un’occasione di parola anche a chi non è già coinvolto in un percorso politico organizzato, ma rischia di escludere la possibilità di un confronto e di uno scontro sui contenuti che dovrebbe essere invece parte essenziale di un processo democratico capace di andare al di là dei confini della piazza. Riconosciuta l’importanza della critica a tutte le gerarchie, consapevoli e non, la democrazia non può essere soltanto la presa di parola di molti, indistinti individui, ma deve poter attivare un processo collettivo, di parte, nel quale si riconoscano anche quelle precarie, operai e migranti che ancora non hanno attraversato Place de la République.
Registrare i limiti di Nuit Debout non significa negare l’importanza di quanto avviene in questo momento in Francia, a partire dal riferimento allo sciopero come leva per un protagonismo politico di chi vive la precarietà dentro e fuori i posti di lavoro. Perché la Francia sta praticando davvero uno sciopero sociale, per il modo in cui lo sciopero ha catalizzato una presa di parola di massa e ha attivato le aspirazioni politiche di una nuova generazione che vuole decidere del proprio futuro. La scommessa di transnazionalizzare questa esperienza che nasce dalla massiccia opposizione a una legge nazionale – tanto più necessaria nel momento in cui il governo pretende ora di forzare la sua approvazione legiferando per decreto – non riguarda semplicemente l’esportazione di Nuit Debout in altre piazze d’Europa. Si tratta di costruire un’opposizione efficace al processo di precarizzazione che investe l’Europa nel suo complesso, rendendo le diverse politiche nazionali sul lavoro – dalla loi El Khomri al Jobs Act italiano all’Hartz IV tedesco – solo un tassello della normalizzazione dell’austerity e del governo della mobilità imposti dall’Unione. Ciò che sta accadendo in Francia riguarda tutti coloro che si stanno domandando «come vincere?» e che si trovano di fronte al rompicapo di intercettare e organizzare su una dimensione di massa le molteplici esperienze di insubordinazione del lavoro e di rifiuto dello sfruttamento e dei confini che attraversano lo spazio politico europeo. La scommessa è che la lotta quotidiana e transnazionale contro la precarietà – per il salario minimo, per il reddito e per un permesso di soggiorno europei – diventi il contenuto della lotta per la democrazia, ovvero per una presenza politica di massa che in Europa permetta a precarie, operai e migranti di rovesciare le condizioni materiali del loro sfruttamento e della loro oppressione.