Il primo maggio è alle porte e quello stesso giorno apriranno anche le porte di Expo. In nessun caso si tratterà di un evento. Nemmeno se qualcuno volesse prorogare i festeggiamenti al due o al tre maggio.
Expo, che si vende come un’occasione, che deve diventare un’opportunità per rilanciare l’economia, che deve essere un trampolino di lancio per il mondo del lavoro, omette di rivelare un piccolo, evidente dettaglio: per le migliaia di lavoratrici e lavoratori coinvolti questo lancio sarà in realtà un lancio nel vuoto! Infatti, tanto determinata a «nutrire il pianeta», Expo nutrirà al contrario solo se stessa. Linfa vitale per la sua sopravvivenza sarà un concentrato di lavoro precario sfruttato ad hoc e cucinato secondo le meticolose e specifiche ricette ispirate al Jobs Act.
All’atto pratico, l’unica grande opera che produrrà sarà la messa all’opera del lavoro precario, sarà la messa all’opera di chi in mobilità verrà chiamato a dare il proprio contributo, sarà la messa all’opera di un esercito di volontari, di tirocinanti e stagisti e sarà la messa all’opera di quei disoccupati provenienti da tutta Italia ‒ e non solo ‒ che sono il prodotto della precarizzazione e che probabilmente hanno visto in Expo un’occasione d’occupazione. L’occupabilità è la vera parola d’ordine di Expo e l’opportunità la sua copertura. Altro che grande opera insomma: qui il punto è al contrario che un sacco di gente sarà messa all’opera. E alla grande!
Lo sfruttamento diventa occasione e, al contrario di quel che si potrebbe pensare, Expo non è un laboratorio per sperimentare nuove modalità di sfruttamento del lavoro da estendere poi a livello nazionale. Semmai è vero proprio il contrario: è stata la scommessa sul lavoro atipico e precario come forma per fronteggiare la crisi, frutto di riforme durate anni e che hanno visto nel Jobs Act il proprio compimento, che ha permesso a Expo di avere un ampio margine di gioco sulla forza lavoro e di poter instaurare rapporti di lavoro assolutamente creativi e eccezionali. La data d’inaugurazione scelta, il 1 maggio, più che una provocazione è il classico dito che indica la luna. Non siamo affatto distanti dal «mondo del lavoro reale», dove il regime del salario regna sovrano, e le strategie messe in atto da Expo non sono affatto distanti dalle strategie che le aziende mettono in pratica ogni giorno sfruttando la forza lavoro per far fronte ai picchi di produzione, liberandosene facilmente una volta che la produzione rallenta. La differenza tra il «mondo reale» e il «mondo Expo» consiste nel fatto che Expo conosce già in partenza il giorno della sua fine ed è al corrente di essere un «evento a tempo determinato». Per questo è stato necessario siglare accordi con i sindacati per avere accesso a trattamenti specifici e del tutto particolari ‒ i famosi contratti ad hoc ‒ creando diritti giocati interamente sulla pelle dei lavoratori i quali, invece, dei diritti verranno privati.
Qualcuno dovrà pur sacrificarsi, il mondo va salvato, energie per Expo! Migliaia di operai hanno già dovuto farlo per costruirlo, Expo, senza suscitare molto interesse. Ciò è comprensibile, visto il palcoscenico offerto da un evento che promette di salvare il mondo.
Ma più che salvare il mondo si tratta di salvare faccia e profitti. Infatti, per tutta la durata dell’evento, i «lavoratori Expo» non potranno scioperare. La differenza con il «mondo reale» è davvero minima. Anche un lavoratore precario non può scioperare e non può farlo perché nell’intricato groviglio della contrattazione precaria i diritti sono ridotti al minimo e il potere del padrone è massimo.
Come potrebbe un lavoratore voucher appellarsi al diritto di sciopero quando non esiste tra lui e l’azienda nemmeno un contratto? Un collaboratore a prestazione occasionale come potrebbe mai scioperare dal momento che, anche se lavora di fatto come dipendente per l’azienda, figura come lavoratore autonomo? Sciopererebbe contro se stesso? E chi ha un contratto indeterminato a tutele crescenti che non prevede tutele per i primi tre anni, ha forse diritto allo sciopero?
La libertà di sciopero non sarà negata solo ai lavoratori interni a Expo, ma anche a quelli dei trasporti di ATM, i quali dovranno garantire quantomeno i servizi essenziali per trasportare i visitatori accorsi per l’evento. I lavoratori di ATM riceveranno il «premio Expo», nato per evitare lamentele e la trasformazione di queste in sciopero qualora fossero loro imposti straordinari durante il periodo di Expo. L’ambito premio sotto forma di frammenti di welfare ‒ come, per esempio, un bonus libri per i figli ‒ ha suggellato il patto anti sciopero. Un accordo simile è stato sottoscritto anche a Bergamo e il direttore generale Gianni Scarfone sogna già di estendere il patto a tutta la Lombardia e magari, perché no, diciamo noi, a tutta l’Italia. Questo è uno degli esempi di come Expo – facendo tesoro dell’esperienza accumulata in questi anni con le politiche intorno al salario e alla mobilità – non investa solo la città di Milano, né solo l’Italia, ma si spinga oltre i suoi confini. Un altro esempio? Un vademecum ad hoc è stato stilato per facilitare l’ingresso dei lavoratori non comunitari che si occuperanno di montare e smontare Expo. Questi migranti avranno un canale d’ingresso dedicato in relazione esclusiva con le loro prestazioni di lavoro. I loro permessi di soggiorno saranno infatti validi solo per i periodi di allestimento o di smantellamento di Expo. Al massimo entro la fine di giugno 2016 dovranno essersene andati tutti. Si avvera così il sogno più antico del governo del lavoro migrante: finché lavori ti concediamo il lusso di rimanere in Italia! Nemmeno questa però è una radicale novità rispetto a quello che accade ai migranti il cui permesso di soggiorno è vincolato al lavoro, si tratta di un’applicazione on-demand del governo della mobilità già nota agli stagionali e in altre parti del globo.
Ma andiamo a tuffarci nell’esperienza Expo, tentando quel famoso lancio nel vuoto che sperimenteranno i «lavoratori Expo» partendo dai contratti di apprendistato. Ora, l’unica norma che Expo ha rispettato riguardo a questa forma contrattuale è il limite d’età che è di 29 anni mentre è caduto, frantumandosi a terra, l’obbligo della certificazione della formazione, la quale verrà svolta direttamente on the job. L’equazione è subito fatta: forza lavoro a basso costo grazie agli sgravi fiscali dell’apprendistato, niente formazione e niente obbligo di assunzione uguale maggior profitto e, quando non mi servi più, ti rispedisco al mittente. Niente privilegi per chi lavorerà con un contratto a tempo determinato. Anche in questo caso lo stop and go, che è il periodo di pausa tra un lavoro e un altro, è stato ridimensionato e durerà non più di 10/20 giorni per permettere alle aziende di non rimanere con posizioni scoperte e di giocare a propria discrezione con la forza lavoro. I 194 tirocinanti, avranno dei rimborsi pari a 516 euro mensili che verranno spacciati come stipendi. La formazione in questo caso diventa lavoro non retribuito ed Expo l’ennesima opportunità di sfruttamento del tempo libero o di studio messo al lavoro del tutto in linea con le proposte di aumento delle ore di tirocinio per gli studenti e quelle di far lavorare i ragazzi d’estate perché tre mesi di vacanza sono troppi, come ha sostenuto il ministro e pedagogo del lavoro Poletti Giuliano. I 18.500 volontari si divideranno su turni di cinque giorni ciascuno in modo da avere 475 persone al giorno al lavoro e chi è in buona salute e in mobilità sarà chiamato a prestare il proprio contributo alla comunità per evitare il giramento di pollici e spingere avanti la produttività. Se Expo non lascerà traccia di assunzione, di certo lascerà un esercito di precari disoccupati che probabilmente tenteranno di fronteggiare il periodo post-Expo chiedendo la Naspi, il nuovo sussidio di disoccupazione esteso anche ai precari e dovranno fare a gara per chi arriva prima.
Date queste premesse sarebbe un errore politico imperdonabile affrontare l’Expo come un grande evento da contestare solo il primo maggio e dintorni. Non sappiamo quanti collegamenti siano stati costruiti con la forza lavoro che sta facendo e farà materialmente Expo. Temiamo siano pochi. Ora che Expo ci sarà, però, si tratta di decidere dove investire le energie che abbiamo a disposizione. Expo non è altro che uno dei tanti paesaggi della precarietà e ha poco di eccezionale perché non sospende le regole, ma le conferma tutte applicandole alla logica del grande evento diluito nel tempo e nello spazio. Sapendo che questa è la condizione dello sfruttamento oggi in Italia gira da mesi la proposta dello sciopero sociale. Qualche piccola prova è già stata fatta, per stabilire rapporti di forza tali da sottrarre lo sciopero al suo triste destino di diritto individuale. Quale migliore occasione per provarci di nuovo? Perché accontentarsi di un’altra Mayday e di mostrare la propria potente prestanza di militanti? L’Expo può essere un passaggio nella necessaria costruzione di percorsi autonomi di organizzazione di classe. Può individuare strade per combattere la precarietà quotidiana.
Bisognerebbe però puntare alla luna e considerare Expo per tutta la sua durata, pensando anche al deserto che alla fine produrrà, senza isolarla dalla cornice generale della lotta alla precarietà e mantenendo al centro della scena la presenza delle migliaia di uomini e di donne che vi lavorano. Per ora, girano un sacco di discorsi importanti, sintesi interessanti, accostamenti arditi, progettualità radicali, linee di condotta, mentre l’Expo rischia di essere un’altra occasione politica persa.