di PAULA MENEZES – Rio de Janeiro
L’insurrezione popolare in Brasile è un’esplosione di insoddisfazione di fronte all’insopportabile vita che stiamo vivendo. Questo movimento non ha precedenti, ma viene ampiamente criminalizzato dai mezzi di comunicazione e represso dalle forze di polizia e da quelle militari. I partiti tradizionali sia di destra sia di sinistra non hanno alcuna voce in merito a queste proteste, mentre come in altre parti del mondo l’estrema destra cerca di appropriarsi dell’insoddisfazione diffusa. In questo articolo, analizzo le manifestazioni di protesta attraverso la contestualizzazione di questo movimento e la disputa politica che si fa dei sensi e del percorso futuro di questa vera rivolta sociale. E, molto diversamente dalla valutazione di una parte della sinistra brasiliana, non classifico questo movimento come un tentativo di colpo di Stato da parte della destra organizzata, perché significherebbe sottovalutare l’insoddisfazione popolare e le forme attraverso cui si esprime. È pur vero che questo pericolo esiste, ma dipenderà dalla sinistra e da quanto essa metterà in campo sulla base della sua esperienza storica.
Cosa si ascolta della rivolta popolare in Brasile?
Nel pronunciamento ufficiale della nostra presidente della Repubblica il 21 Giugno 2013, la frase più ripetuta è stata: «Io ascolto le voci che vengono dalla piazza. Il mio governo vi ascolta». Dopo più di due settimane dalle prime proteste, la presidente Dilma Roussef finalmente si pronuncia su di esse, senza però convincere la maggior parte della popolazione, poiché mancano annunci di azione concrete in merito a ciò che produce l’insoddisfazione dei brasiliani, specialmente sulle tariffe dei servizi pubblici e le spese relative alla Coppa del mondo di calcio. Con l’arroganza di sempre, il ceto politico afferma che non può pronunciarsi, perché non capisce cosa succede e cosa chiedono le piazze. La loro arroganza fa arrabbiare anche il più paziente dei monaci.
Indubbiamente, le manifestazioni che si sviluppano in Brasile in questo momento non hanno precedenti perché mettono in crisi il sistema politico, mostrando che il recente sviluppo economico brasiliano contiene forti elementi contradditori e soprattutto forti disuguaglianze. Le manifestazioni stanno portando contemporaneamente milioni di persone nelle piazze di tutto il paese dalle principali città fino alle realtà più modeste. Oltre alle principali città brasiliane: Rio de Janeiro, San Paulo, Porto Alegre, Belo Horizonte, Belém, Salvador, Fortaleza, Brasilia, Curitiba, sarebbero più di 150 le città che hanno registrato proteste. La rivendicazione di mezzi di trasporto gratuiti, o a bassi prezzi, e di migliore qualità ha riunito i lavoratori: quelli che cambiano 2, 3 o anche 4 mezzi di trasporto per arrivare al lavoro e che sentono ancora di più l’aumento dei prezzi e la pessima qualità dei mezzi pubblici. Per alcuni studenti, provenienti dalle periferie dei grandi centri urbani, è normale alzarsi alle 4 del mattino cambiare 3 autobus per arrivare a scuola alle 7 del mattino. Una situazione simile a quella degli anni Sessanta.
Le manifestazioni sono iniziate a San Paolo il 6 di giugno, in seguito a Rio de Janeiro e in meno di una settimana si sono diffuse in tutto il paese. La manifestazione del 20 di giugno a Rio de Janeiro ha coinvolto circa un milione di persone, nonostante la maggiore rete di comunicazione privata (la «Rede Globo») parli di «poco più di 300 mila». Centinaia di persone sono state arrestate. Solo nel secondo giorno di manifestazione a San Paolo, si parla di 70 arrestati. Alla manifestazione del 17 giugno a Porto Alegre vi sono stati più di 40 arrestati.
Così ci chiediamo: che cosa ascoltano i nostri governanti di queste proteste? Allo stesso tempo, si fa vedere a tutto il mondo che la crescita economica capitalista, particolarmente in questo momento storico, non è in grado di soddisfare le necessità di base della popolazione e superare le disuguaglianze storiche brasiliane in forma democratica e pacifica, senza profonde riforme (come le riforme agrarie e urbane).
Il contesto economico e politico in Brasile
Nonostante l’immagine di un «popolo depoliticizzato» che i brasiliani hanno di se stessi, guardando alla storia del Brasile nell’ultimo secolo possiamo identificare qualche altro movimento di massa e di mobilitazione che ha portato migliaia di persone in piazza. Lo sciopero generale del 1917, il movimento anti-fascista degli anni ’30 del ‘900, le manifestazioni degli studenti e lavoratori negli anni ‘60, la nota «sfilata dei 100mila» (1968), scioperi e proteste organizzate dal movimento operaio dell’ABC paulista nel periodo della dittatura (1978), il movimento per ottenere elezioni dirette (movimento Diretas já), che ha portato al processo di ri-democratizzazione, le manifestazioni della gioventù che hanno portato all’impeachement di Fernando Collor (1992), le manifestazioni dei Sem Terra e di altre organizzazioni di sinistra contro il neoliberalismo, durante i governi Fernando Henrique (1994-2002). Le principali manifestazioni che occupano l’immaginario dei brasiliani risalgono ancora al movimento Diretas Já. Quest’ultimo è stato un movimento per la ri-democratizzazione che in due anni (1983-1984) ha conquistato elezioni dirette e una nuova Costituzione post-dittatura (1988).
Nonostante il movimento Diretas Jà abbia un ampio spazio nell’immaginario dei brasiliani, dal 2003, quando Lula ha assunto la presidenza, la frammentazione della sinistra ha portato a una stagnazione della mobilitazione della sinistra nei settore proletari. In aggiunta, abbiamo una generazione di giovani cresciuta in un clima nel quale la politica istituzionale di sinistra è totalmente scollata delle lotte quotidiane. In un momento di intensificazione della lotta di classe, questa gioventù pertanto non si trova rappresentata dai partiti tradizionali e reagisce abbracciando sia le idee di destra (contro la corruzione, la politica e i partiti, i governanti) e lasciando spazio a una svolta dittatoriale, sia idee di sinistra (per servizi pubblichi e gratuiti, per una maggiore trasparenza e responsabilità dei governanti, contro l´azione della polizia, contro le spese per la Coppa del Mondo e la politica di gentrificazione dei centri urbani). La maggioranza di quanti protestano ha una profonda sfiducia nella «politica».
L´insurrezione popolare è un’esplosione di insoddisfazione di fronte alla vita insopportabile che stiamo vivendo nelle grande città brasiliane. Nonostante la crescita economica, in termini di PIL, sia aumentata nel mondo, la concentrazione delle ricchezze è enorme. Sebbene la politica del salario minimo messa in campo dal governo del partito dei lavoratori (PT) possa essere vista come una misura positiva, questa stessa politica ha portato a una compressione dei salari dei ceti medi, colpiti dalla forte crescita dell’inflazione negli ultimi anni. Il governo Lula ha revisionato la metodologia per classificare le classi di reddito. Oggi la classe media è composta dalle famiglie con un reddito pro capite fra R$ 300 e R$ 1000 (fra 120 e 330 euro pro capite), che corrispondono al 54% delle famiglie brasiliane. Sono considerati poveri, non miserabili, quelli che vivono con circa 1 dollaro al giorno e corrispondono secondo il governo brasiliano, a poco più del 30% della popolazione. Dunque, se da un lato abbiamo una crescita esponenziale dei profitti e dei redditi da capitale, dall’altro lato abbiamo anche una compressione dei salari che ha penalizzato principalmente la cosiddetta classe media, ma che tocca in modo profondo i più poveri che abitano nelle grandi città. In particolare l’impoverimento è dovuto all’inflazione, allo smantellamento di una politica di vero trasferimento di reddito e al costo di servizi pubblichi di pessima qualità, in particolare il trasporto.
Il processo di trasformazione delle grandi città (in particolare Rio de Janeiro e San Paolo) in città globali si è perfezionato con l’arrivo dei grandi eventi: la cosiddetta Confederations Cup (2013) e la Coppa del Mondo (2014) di calcio e le Olimpiadi (2016). Che cosa rappresentano questi eventi per il paese? Per il capitale, in particolare dei settori del turismo e delle costruzioni, significano innanzitutto l’opportunità di profitti stratosferici. Per la maggior parte della popolazione, queste trasformazioni implicano una crisi della mobilità urbana e un processo di gentrificazione molto violento. Questa è la faccia più violenta della globalizzazione che, nello spazio urbano, si traduce nell’espulsione della classe media e dei più poveri delle aree centrali, la crescita esponenziale dei prezzi e di conseguenza una crisi nella mobilità urbana. L`aumento dei prezzi del trasporto pubblico da R$ 2,75 a R$ 2,95 (da 0,93 a 0,99 euro) a Rio de Janeiro e da R$ 3,00 a R$ 3,20 (da 1,02 a 1,08 euro) a San Paolo ha fatto esplodere le manifestazioni, ma riflette questo processo di polarizzazione di classe che ha ingrandito i latifondi urbani – le grandi proprietà immobiliari – e ha mercificato la città, espellendo gran parte della popolazione nelle zone periferiche.
La cosiddetta pacificazione delle favelas è stata compiuta grazie all’entrata della polizia speciale (il BOPE, addestrato ad affrontare e arrestare gruppi armati) e all’installazione di una forza di polizia permanente in questi territori. La «pacificazione» è stata fatta nelle favelas limitrofe alle zone più ricche della città e vicino ai siti turistici. La rimozione forzata di una parte degli alloggiamenti nelle favelas e nelle zone che si trovavano nel percorso dei grandi progetti immobiliari ha dato il tono violento della riorganizzazione delle città per i grandi eventi.
Sinistra e destra nel Brasile attuale
Questa insurrezione non può essere compresa senza notare il riposizionamento delle organizzazioni sia di sinistra sia di destra dopo il Governo Lula. Dagli anni ‘90, il principale partito di sinistra brasiliano, il Partito dei Lavoratori (PT), si è allontanato dalle lotte dei settori più popolari, per quanto sia rimasto ancora il partito con la maggiore partecipazione popolare. L’elezione di Lula (nel 2003), grazie all’alleanza con partiti di destra e settori abbastanza reazionari (in particolare l’agrobusiness e il capitale finanziario), ha portato a una profonda rottura nei gruppi della sinistra del PT e nella centrale sindacale con la creazione di nuovi partiti e sindacati e la divisione dei movimenti sociali. La sinistra brasiliana in questi anni si è riorganizzata, ma rimane ancora debole, frammentata e poco radicata.
Tuttavia, indignata di avere come presidente un «nordestino», la destra fascista si è organizzata fuori dai partiti tradizionali. Oltretutto, Lula è diventato presidente grazie alle «Bolse Famiglia», un programma grazie al quale chi guadagna meno di 1 dollaro al giorno riceve una sovvenzione di qualche reale per diventare «povero» e guadagnare 1 dollaro e poco più al giorno. In questo modo si dice che gli appartenenti a questo ceto sono usciti dalla «povertà estrema» e adesso sono solo «poveri». «Nordestina» è invece quella persona nata nel Nordest brasiliano, l’area più povera del Brasile. L’ideologia fascista sviluppatasi nel sud del Brasile, dove sono concentrate le aree industriali, considera i nordestini una «razza» che impedisce al paese di svilupparsi. La diffusione del «contro-lulismo» ha mobilitato parte delle classi medie che, per quanto rimangano politicamente disorganizzate, innalzano la bandiera «contro la corruzione» e contro la politica, criticando il sistema politico e le istituzioni democratiche. Senza dubbio, si tratta di una destra che ha ereditato l’amore per la dittatura e l’odio per la democrazia.
La partecipazione alle manifestazioni di questi giorni è sostenuta sia da chi è deluso dalle istituzioni politiche odierne, e lascia così spazio alla destra radicale di crescere nel suo odio, sia da chi cerca di ricostruire una sinistra frammentata un modello di democrazia in crisi. Questa stessa gente, specialmente i giovani, cerca nuovi significati politici e porta alla sinistra una riflessione sulla «unità nella diversità», ripensando il suo ripetuto errore di scommettere sulla forza della politica istituzionale.
Com’è iniziato il movimento attuale
Le recenti manifestazioni sono avvenute dopo l’annuncio dell’aumento delle tariffe del trasporto pubblico, negli ultimi giorni di maggio, e sono state ampiamente organizzate attraverso internet e sostenute da organizzazioni di sinistra. Tuttavia, la repressione, come abbiamo visto in Turchia, ha fatto crescere le manifestazioni, portando alla loro propagazione in tutto il paese e anche a un’estensione dell’elenco delle rivendicazioni. Le prime proteste, che hanno poi influenzato gli avvenimenti recenti, si sono però avute già da gennaio ad aprile a Porto Alegre contro l’aumento dei prezzi del trasporto pubblico. Dopo quasi quattro mesi di proteste, molto violente, finalmente si è ottenuta la revoca degli aumenti. Questa vittoria ha influenzato le prime proteste a San Paolo e Rio de Janeiro, dove è stata chiesta anche ai settori di sinistra una loro partecipazione. Il dibattito sui prezzi dei mezzi di trasporto si sposta rapidamente sulla trasparenza delle spese pubbliche innestandosi su una critica già diffusa: le elevate spese del governo per la Coppa del Mondo, che contrastano con la situazione degli ospedali e delle scuole pubbliche.
Questa critica era già diffusa particolarmente nei contesti delle piccole proteste che sono accadute negli ultimi due anni, mettendo in questione l’intervento violento dello Stato e del mercato per garantire la rimozione della popolazione più povera dai centri urbani. Le manifestazioni contro le spese per la Coppa del Mondo di calcio e gli scioperi dei lavoratori delle costruzioni e nel settore educativo sono state al centro dell’attenzione politica nel 2012. Manifestazioni a favore della depenalizzazione del consumo della marijuana, a favore dei matrimoni gay, per i diritti delle donne hanno portato molte persone nelle piazze negli ultimi anni. L’attuale rivolta popolare non è certo solo risultato di questo movimento, ma sicuramente quelle proteste hanno influenzato il clima di insoddisfazione popolare. Si tratterebbe allora di capire perché la sinistra brasiliana è rimasta sorpresa dalla rivolta.
Il ruolo dei mezzi di comunicazione
I grandi media brasiliani, costituiti dai grandi monopoli dei mezzi di comunicazione, sono i responsabili della disinformazione e della criminalizzazione dei movimenti sociali. Definendo i manifestanti più radicali dei «vandali» e chiudendo entrambi gli occhi sull’azione violenta della polizia, i mezzi di comunicazione cercano di «ripulire» il movimento attuale. Se all’inizio i media criticavano tutte le proteste, etichettandole come «disordini», successivamente hanno creato una «divisione»: ci sarebbero i manifestanti pacifici (vestiti di bianco che portano fiori e la bandiera nazionale) e i «vandali» che distruggono il patrimonio pubblico (incendi di macchine, furti ai negozi, graffiti e messaggi scritti sui muri). Allo stesso tempo, i mezzi di comunicazione non forniscono alcuna informazione sulle rivendicazioni e sulle discussioni messe in campo da questo movimento di protesta.
Questi stessi mezzi stimolano le manifestazioni nazionaliste e criminalizzano quelle che chiedono cambiamenti concreti: i prezzi dei servizi di base e le condizioni di vita della popolazione delle grandi città. La sensazione di non essere ascoltati e la continua paura rispetto a una polizia fascista è un elemento esplosivo che ha portato molti in piazza.
Vero è che una gran parte dei manifestanti partecipa alle proteste portando la bandiera nazionale, si vestono di verde e giallo o bianco e urlano «senza violenza». Molti di questi manifestanti, senza appartenere a organizzazioni politiche, gridano anche «senza partito» e molestano i militanti di sinistra, rimuovendo a forza le loro bandiere. La sinistra, intanto, classifica questi manifestanti come fascisti, cercando di individuare i poliziotti infiltrati per causare confusione e identificare i gruppi neonazisti. È un errore sottovalutare la rabbia popolare nei confronti del sistema politico, classificando tutte queste azioni come una violenza organizzata dalla destra. Un errore che può portare la sinistra a lasciare il movimento e questa rabbia a diventare un vero movimento di destra. La profezia che si auto-avvera.
Uno degli aspetti su cui si è prestata maggiore attenzione è l’assenza di un’avanguardia che sia in grado di guidare il movimento. Questa assenza ha permesso alle autorità politiche di stare in silenzio per due settimane e di intervenire in seguito in modo arrogante. Partiti di sinistra, organizzazioni sindacali e movimenti sociali non sono stati in grado di essere riconosciuti come direzione. Gruppi di giovani hanno attaccato le organizzazioni della sinistra durante le manifestazioni, siano essi influenzati dagli anarchici, dai fascisti o si siano organizzati di propria volontà.
I media, da parte loro, hanno già eletto i leader che più convengono, affermando che il «Movimento Tariffa Libera» (MPL), costituito da studenti medi superiori e dell’università, è il leader principale di questo movimento. In effetti MPL è stato importante nei primi momenti, ma questa rivolta popolare non ha ancora dirigenti immediati. Tuttavia ciò non significa che non ci siano tendenze visibili dall’estrema destra all’estrema sinistra.
La disputa: colpo di Stato e fascistizzazione o più giustizia sociale?
Il simbolo scelto da gran parte dei manifestanti per catalizzare le rivendicazione è stata la bandiera nazionale. Come in Turchia la bandiera nazionale è il simbolo principale insieme all’inno nazionale e agli slogan dei tifosi di calcio. Tutte le bandiere dei partiti sono state rimosse dai gruppi di manifestanti durante le proteste. Questa realtà è stata letta da una parte della sinistra come la conferma di una destra organizzata che ha dominato tutto. Non si capisce però che questo movimento rappresenta anche un cambiamento culturale oltre che politico, un momento in cui si creano nuovi discorsi e consensi. La disputa sulla fascistizzazione o sulla conquista di una maggiore giustizia sociale è in corso. La presenza delle organizzazioni comunitarie delle favelas, delle organizzazioni di sinistra, degli studenti delle scuole pubbliche, degli insegnanti e in generale dei lavoratori si sta facendo importante in questo momento. Ma la popolazione politicamente disorganizzata, repressa da anni nelle sue forme di espressione culturale e politica e delusa dalla politica istituzionale, impaurisce parte della sinistra. Alcuni intellettuali hanno affermato la loro preoccupazione per i simboli e le forme delle proteste in corso, come se l´unica cosa che manca fosse un leader carismatico per definire le attuali proteste come fascismo. Di nuovo, la sinistra si sbaglia e svaluta quanti protestano e chiedono maggiore giustizia sociale, richiedendo il riconoscimento politico e mettendo in discussione l’apparato repressivo dello Stato, l’unico servizio pubblico veramente efficiente che si conosce in Brasile.
La Rivoluzione dell’aceto: sulla violenza della polizia
Dopo la repressione della polizia nella prima manifestazione a San Paolo, i manifestanti si sono organizzati e diffondono alcune strategie per confrontarsi con la polizia durante le manifestazioni. Una delle strategie più importanti è portare con sé aceto per impregnare qualche pezzo di tessuto e poi poter respirare quando arrivano i gas lacrimogeni, ampiamente usati dalla polizia. Prima della manifestazione, intanto, la polizia ispeziona la gente nella metropolitana, negli autobus e nelle strade cercando persone che portano aceto. Questo avvenimento può far ridere, ma rivela la strategia di repressione e sorveglianza politica vissuta in questi giorni. Portare aceto adesso significa portare con sé il diritto a manifestare.
La repressione dalla polizia nelle favelas è sempre stata applaudita dalla classe media brasiliana e da quanti abitano lontano dalle favelas. È conosciuta la violenta azione della polizia che a Rio de Janeiro è identificata con la Polizia Militare e il gruppo speciale della polizia (il BOPE) che col suo Caveirão è stato il responsabile della «pacificazione» delle favelas. Il Caveirão è il blindato utilizzato dal BOPE e si chiama così perché porta come simbolo un «cranio» e le parole «portare il terrore». L‘uso del Caveirão e l’uso incondizionato di armi da fuoco per controllare le manifestazioni diffondono il «terrore», ma questa violenza dello Stato è già conosciuta dalle popolazioni delle favelas.
Il movimento attuale si caratterizza per questa violenza sistematica della polizia e dello Stato, che utilizza varie strategie compresa la «caccia» ai manifestanti anche dopo la manifestazione. A Rio de Janeiro, nell’ultima protesta, la popolazione, anche quella che stava sulla strada, è stata raggiunta dalla polizia con gas lacrimogeni fin nei quartieri vicini alla manifestazione. La strategia di guerra include circondare la manifestazione e attaccare appena i manifestanti sono circondati.
I manifestanti più radicali posizionati davanti al corteo non retrocedono. Come si è visto nell’ultima manifestazione, i manifestanti si sono confrontati con il Caveirão, un’azione mai vista in questa città, neanche da parte dei trafficanti di droga delle favelas. Confrontarsi con il Caveirão significa confrontarsi con il maggiore simbolo di repressione dello Stato ed è un avvenimento di cui i media ufficiali non hanno dato notizia. Da parte dei media e dei governanti si ascolta quotidianamente la condanna dei «vandali» che si confrontano con la polizia, ma non si sente nulla sulle azioni di una polizia fascista. Quello che abbiamo visto la settimana scorsa è stato uno scenario di dittatura e di Stato di eccezione, con il «terrore» installato nelle città. È chiaro però che il «popolo» sta ascoltando e che vede quello che non è detto.