Non ci rappresenta nessuno, tutti a casa! Uno slogan attraversa l’Italia per rimbombare nelle piazze del movimento cinque stelle. Il grillismo si propone come unico critico radicale del sistema politico, promettendo allo stesso tempo di essere in grado di rigenerarlo grazie all’onestà, alla partecipazione e una democrazia quasi diretta che arriva fino alla porta del Parlamento. Grillo pretende di rappresentare la società nel suo complesso, in quanto uniformemente vessata dall’attuale sistema politico. La mobilitazione di massa non è il segno di una contrapposizione radicale, ma l’esposizione di un’unità rappresentata contro tutte le differenze. La nuova classe politica sarà la garante dell’unità finalmente scoperta contro la frammentazione prodotta solo dai cattivi rappresentanti politici. Secondo le diverse situazioni questo simulacro di unità viene poi scambiato per il risarcimento a cui ogni individuo nella sua solitudine sente di avere diritto, per la rivincita dei produttori contro i parassiti, della vita contro il lavoro, e persino per la replica nazionale della comunità locale in lotta. La società viene così rappresentata come qualcosa avrebbe in sé un punto di equilibrio, quasi esistesse sul serio un soggetto mediano – un ceto medio – in grado di riassumere tutte le tensioni che l’attraversano. Si potrebbe osservare che questo «miracolo» è esattamente il meccanismo che da più o meno da 400 anni permette e legittima la rappresentanza politica. Come se l’indifferenziata mobilitazione di massa fosse la stessa cosa della mobilitazione e dell’organizzazione in massa di operai, migranti e precari, l’aspettativa cresce costantemente e si attende solo che il voto ne sancisca il valore assoluto. Da nord a sud, dalle valli alle città, dai precari delusi alla Confindustria veneta, dai minatori del Sulcis ai giovani startupper, tutti si aspettano qualcosa da Grillo: chi molto e chi poco, ma tutti si aspettano che Grillo risolva il loro specifico problema, che in questo modo diventerebbe finalmente un problema di tutti. Si rivela così una nuova grande comunità aperta a tutti, purché ne facciano parte. L’orizzontalità presunta della rete, che già ha illuso tanti, ritorna qui come forma di coesione comunitaria e cancellazione di ogni riflessione reale sulla democrazia. Grillo diventa il redentore del sistema politico italiano. Grillo salva il sistema politico legittimando la rappresentanza di un soggetto sociale indifferenziato che ha come unica controparte lo stesso sistema politico.
Nelle ultime elezioni statunitensi, e persino in quelle francesi e greche, all’interno di logiche rappresentative del tutto tradizionali, si è mostrata un’impronta che forse è eccessivo definire di classe, ma che rimanda comunque all’indisponibilità di una parte della società ad accettare le logiche dell’austerità, dello sfruttamento, della discriminazione razzista. Una delega controvoglia, limitata e diffidente è stata data per contrastare la virulenta affermazione del dominio incontrastato del capitale. Piccole cose non sempre di buon gusto, si dirà giustamente, ma nessuna identificazione con il capo e il movimento. Casomai un uso del voto per affermare la parzialità degli eletti, per annaffiare il seme della divisione. Nel grillismo di chiaro sembra esserci solamente l’indeterminatezza del nemico. Non che i nemici non siano nominati e indicati al meritato e pubblico disprezzo. Sarebbe però utile sapere come verrà combattuta non diciamo la guerra, ma almeno qualche piccola battaglia.
Il nemico è Equitalia! Giusto. Però è anche vero che non colpisce tutti alla stessa maniera, com’è vero che la fiscalità generale paga il welfare e in fin dei conti dovrebbe anche pagare il tanto agognato reddito di cittadinanza (che in verità nel programma grillino viene più prosaicamente indicato come un minaccioso «Sussidio di disoccupazione garantito»). Un reddito del quale ormai sembra contare solo la «cittadinanza», cioè la conferma della separazione razzista ormai consolidata tra gli italiani, che ne devono avere il diritto, e i migranti usurpatori, che devono lavorare e andarsene.
Il nemico è l’Europa! Giusto. L’alternativa però qual è? Il vecchio e vacillante Stato nazionale? L’unità della società europea contro la burocrazia di Francoforte e Bruxelles? L’alternativa vera sembra invece essere la riaffermazione dell’autonomia decisionale del sistema politico nazionale. E questa riaffermazione qualche problema rischia di crearlo, perché ogni sistema politico è in primo luogo autonomo dai suoi governati e ha l’innata tendenza ad accordarsi con gli altri sistemi politici.
Un piccolo nemico sono infine anche i migranti, ai quali oltre ai meritati ceffoni se disturbatori marocchini dell’autoctona quiete, è riservato anche l’obbligo dell’esame di lingua italiana semmai volessero chiedere la cittadinanza. Qui entriamo però in un terreno meno eclatante ed evidentemente anche poco interessante per chi cerca la risposta per le sue private aspettative. Non ci rappresenta nessuno, tutti a casa! Questo è ciò che conta.
Nessuno, così, pare interessato al fatto che in diversi punti il programma di Grillo è la continuazione della politica attuale con gli stessi mezzi. Come pretendere l’abrogazione della legge Gelmini e proporre nella stessa pagina l’integrazione tra università e aziende? Che cosa dire se gran parte delle proposte di politica economica è rivolta al funzionamento trasparente del mercato e all’abbattimento dei costi di transazione? Non c’è forse dietro l’immagine di un cittadino esclusivamente consumatore, soggetto sovrano dell’odiato neoliberismo? Bisogna però riconoscere che non è probabilmente sensato rifarsi a una cosa tanto tradizionale e burocratica come il programma. Il continuo rimando a soluzioni ragionevoli e alle competenze dei membri della comunità riecheggia tuttavia costantemente l’idea di un governo tecnico del buon senso. L’acclamazione di piazza legittima affermazioni che possono essere sempre cambiate, senza essere mai corrette. Dice Grillo che bisogna abolire i sindacati e che i lavoratori devono partecipare agli utili dell’impresa. Lo fanno anche in Germania, dice lui. A dire il vero, in Germania la cogestione è governata dai sindacati e, ben prima che in Italia, ha portato a contratti di lavoro che da noi solo Marchionne è riuscito a imporre. Qualche malintenzionato potrebbe persino dire che, visti i tempi, in Italia sarebbero socializzate solo ed esclusivamente le perdite. Ma la semantica politica di Grillo è completamente svincolata dal suo sostrato storico. Essa non è legittimata dal riferimento materiale, non deve essere dimostrata, ma creduta perché basata sulla comune attesa dell’avvento dell’onestà quale principio politico.
L’onestà, come ogni virtù, può essere solo condivisa, pena l’esclusione dalla comunità degli onesti. Essa serve a ricostruire quella fede comune che viene poi rappresentata come unità. Essa ristabilisce le basi di un vacillante sistema politico che altrimenti avrebbe dovuto confrontarsi con pretese differenti e contrapposte. Grillo ci parla di un futuro probabile ed è lo specchio di un passato recente ormai noto, dove la crisi si è imposta ricacciando molti nel loro particolare, trovando ben poche resistenze sul piano politico. In attesa del risultato elettorale, quelle piazze piene per metà di credenti e per metà di curiosi mettono in scena l’unità comunitaria e l’assenza di una politica di parte capace di vedere oltre il sistema politico. Si consuma così anche quel rifiuto della rappresentanza che s’impone da più parti quasi come rassegnazione all’impotenza. Nonostante le aperture poco lodevoli a soggetti disgustosi, nonostante gli slogan presi dagli anni ruggenti del MSI, sarebbe però fuorviante definire Grillo fascista. Ancora più sbagliato sarebbe bollare come fascista il grillismo come movimento elettorale. Il grillismo è il sistema politico che rigenera le basi della propria riproduzione. Il grillismo non è fascista. Il grillismo è Matrix.